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Abstract: Starting from the genesis and characteristics of the soil, the article presents the substances essential for plant nourishment and the biochemistry used by plants to perform the various functions. Concerning the underground, the mineral resources and their recycling are briefly discussed, particularly from the ecological transition viewpoint. Finally, some necessary actions to protect soil are indicated.
Keywords: il suolo; il terreno agrario; le sostanze chimiche indispensabili alle piante; il biochimismo vegetale; il sottosuolo; le risorse vegetali; la distruzione del suolo
Senza nulla togliere all’enorme importanza della funzione clorofilliana “celebrata” dal sottoscritto in un recente contributo,[1] dobbiamo però sottolineare che le radici delle piante affondano nel suolo e questo partecipa in vario modo al loro essenziale biochimismo complessivo.
Se è vero che il carbonio viene assunto dalle piante dall’aria attraverso la CO2, l’acqua e molti altri composti ed elementi vengono assorbiti dal terreno. Gli elementi principali che vengono forniti alla pianta dal terreno, detti macroelementi perché entrano nel ciclo delle reazioni della pianta in maggior misura, sono l’azoto, il fosforo e il potassio. Non a caso i fertilizzanti usati per aumentare la produzione delle piante sono appunto generalmente un mixer dei tre elementi nella forma di composti assorbibili.
C’è poi una numerosa serie di altri elementi che entrano in piccole quantità nei processi chimici delle piante, un esempio fra tutti, il magnesio, che entra nella costituzione del complesso metallo-organico della clorofilla. Vediamo qui la funzione di questi elementi.
Ricordiamo che il suolo copre gran parte delle masse continentali ed è chiamato “pedosfera”: si tratta di uno “strato vivente”, che respira ed evolve continuamente, ove rocce, suolo, acqua e organismi viventi interagiscono, si tratta di un ecosistema. Le complesse interazioni che lo caratterizzano regolano l’habitat naturale e determinano la disponibilità delle risorse che sostengono la vita, compreso i nostri prodotti alimentari e la qualità dell’acqua (National Science Foundation).
Ma andiamo per ordine.
La figura 1[2] mostra come evolve il suolo nel tempo e come si presenta quando è maturo.
Il suolo è costituito da diversi orizzonti: la roccia alterata che inizialmente lo origina, distinta da quella inalterata del sottosuolo, con il contributo di frammenti minerali e materia organica; forma un primo orizzonte che successivamente dà origine allo strato superficiale dove possono affondare le radici delle piante: l’orizzonte A. Questo evolve ancora fino a diventare la “pelle” superficiale di un suolo maturo e ben differenziato nei vari orizzonti.
Figura 1. Evoluzione di un suolo
Il suolo costituisce, dunque, una matrice complessa caratterizzata da:
una fase solida, costituita da componenti inorganici (frammenti di rocce, minerali primari e secondari, costituenti amorfi) e organici (residui vegetali e animali più o meno decomposti, biomassa, sostanze umiche);
una fase liquida, acqua in cui sono contenute sostanze inorganiche e organiche o sono dispersi, in sospensione, colloidi di varia natura;
una fase gassosa, di composizione analoga a quella atmosferica, con alcune differenze nelle proporzioni relative fra le diverse componenti.
I suoli possono avere composizioni chimiche e mineralogiche molto diverse tra loro e, quindi, le concentrazioni degli elementi possono variare anche di molto da zona a zona. Come abbiamo accennato il suolo può trasferire alla matrice vegetale sia i macro- che i micro-elementi; quello che deve essere garantito è che sia dotato di buona mobilità geochimica. Un esempio per chiarire: una stessa varietà di olivo è stata piantata in suoli diversi e l’olio ottenuto dalla spremitura delle olive ha dato sapori tra loro diversi.
Esaminiamo ora i due tipi fondamentali di componenti che costituiscono i suoli: la componente dei viventi e quella dei minerali ed elementi che rappresentano lo scheletro del suolo, senza dimenticare che il suolo contiene anche aria e acqua.
Il suolo non contiene solo minerali vitali, ma contiene, come abbiamo accennato, anche una brulicante vita. Nel suolo vive una quota, compresa fra un terzo e un quarto di tutti, gli organismi viventi.[3] La parte superficiale del suolo è un ecosistema complesso, dinamico e accanto a elementi minerali (particelle di sabbia, limo e argilla) contiene organismi viventi che vanno dai batteri e nematodi di dimensioni microscopiche, ai collemboli, agli acari, ai millepiedi, ai lombrichi, ai topi e le talpe.
I lombrichi sono considerati i costruttori dell’ecosistema suolo perché la loro attività è accompagnata da un continuo rivoltare il suolo modificandone la struttura. Questo lavoro comporta l’apertura di nuovi pori e anche la chiusura di vecchi con conseguente apporto di nuove fonti di nutrimento per gli altri organismi del suolo.
Secondo l’Earth Institute della Columbia University un acro (circa 4047 m2) di suolo può contenere 900 libbre (1 libbra = 0,45 kg circa) di lombrichi, 2400 libbre di funghi, 1500 libbre di batteri, 133 libbre di protozoi, 890 libbre di artropodi e alghe e anche piccoli mammiferi come topi e talpe.[4]
La maggior parte degli organismi presenti nel suolo dipende essenzialmente dalla sua struttura, cioè dai suoi pori, nei quali vive. La porosità del suolo è, dunque, una caratteristica molto importante per la sopravvivenza dell’ecosistema.
Le varie specie di viventi convivono e interagiscono tra loro: le specie possono alimentarsi le une delle altre, oppure le feci di una possono costituire il nutrimento di altre e queste interazioni sono essenziali per le funzioni del suolo.
È quella componente che proviene dalla degradazione delle rocce e che costituisce oltre il 95% della parte solida di un suolo.
Le diverse frazioni si distinguono per la dimensione dei granuli che le compongono:
scheletro (diametro dei granuli > 2 mm);
sabbia grossolana (diametro dei granuli fra 2 e 0,2 mm);
sabbia fine (diametro dei granuli fra 0,2 e 0,02 mm);
limo (diametro dei granuli fra 0,02 mm e 2 μ);
argille (diametro dei granuli < 2 μ).
I granuli lasciano normalmente tra loro una serie di pori che hanno, come abbiamo visto, una grande importanza per l’ecosistema suolo poiché contengono aria, acqua e organismi viventi.
Abbiamo già accennato che si tratta di due categorie, i macronutrienti e i micronutrienti. I macronutrienti sono presenti in quantità maggiore dello 0,01%, mentre i micronutrienti hanno quantità inferiori allo 0,01%.
In particolare, i macronutrienti sono: carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, fosforo, potassio, zolfo, calcio, magnesio e cloro; i micronutrienti, invece, sono: ferro, manganese, zinco, rame, boro e molibdeno.[5] Mentre carbonio, ossigeno e idrogeno non costituiscono fattori limitanti per la vita delle piante, perché sono disponibili abbondantemente nell’atmosfera e nella litosfera (come CO2 e H2O), i restanti macro- e micro-elementi, dopo una coltivazione di una qualsiasi specie di piante, devono essere integrati per mezzo della fertilizzazione. Se la fertilizzazione avviene usando i fertilizzanti di sintesi, N, P e K sono gli elementi fondamentali dei fertilizzanti in commercio, come vedremo più avanti; invece, per quanto riguarda gli altri elementi ci sono appositi prodotti commerciali liquidi o in polvere che vengono usati come integratori.
La parte superficiale del suolo, che viene lavorata per la successiva messa a dimora di semi o piantine, costituisce quello che viene chiamato terreno agrario.
L’assorbimento degli elementi nutritivi da parte delle piante dipende da diverse variabili:
- capacità di assorbimento delle radici;
- caratteristiche fisiche del terreno come tessitura e struttura;
- caratteristiche chimiche del terreno come presenza di elementi minerali e valore del suo pH;
- grado di umidità del suolo;
- caratteristiche biologiche del terreno come tasso di sostanza organica viva e livello di fertilità.
Particolarmente importante è il pH del terreno, perché la maggior parte degli elementi nutrienti risulta disponibile a pH compreso tra 6,5 e 7, poco acido o neutro. Un pH alcalino condiziona la disponibilità di calcio e fosforo, un pH acido favorisce un eccesso di elementi tossici come l’alluminio.
È molto interessante osservare che la ricerca biochimica ha individuato la funzione che gli elementi nutritivi svolgono all’interno delle piante; qui ci occuperemo solo di alcuni esempi.
Fosforo: costituisce la componente fondamentale di alcune molecole biologiche come acidi nucleici, nucleotidi, fosfolipidi delle membrane cellulari e nucleotidi fosfati essenziali per la conservazione e il rilascio dell’energia per tutti i processi metabolici cellulari; è fondamentale per la fase di sviluppo degli apparati radicali, per la fioritura e per lo sviluppo dei frutti.
Potassio: svolge numerose funzioni; è contro-ione per il trasporto di vari anioni come quello nitrato, regola il turgore cellulare, l’apertura e la chiusura degli stomi per la respirazione delle piante e ha un ruolo essenziale nella sintesi proteica.
Magnesio: è il costituente strutturale fondamentale della molecola della clorofilla, responsabile del colore verde delle foglie; ha diverse funzioni nel trasporto cellulare, regolatore del pH e cofattore di enzimi importanti; è immagazzinato come sostanza di riserva nei semi sotto forma di fitato di magnesio.
Molibdeno: è fondamentale per la fissazione dell’azoto atmosferico da parte dei batteri simbionti delle leguminose e cofattore enzimatico; in alcune piante, come la soia, aiuta la resa produttiva in semi e frutti.
Rame: è cofattore enzimatico e svolge un ruolo importante nella sintesi della lignina.
Zolfo: si tratta di un importante componente degli aminoacidi solforati e delle proteine; ha un ruolo essenziale nella sintesi proteica e come cofattore enzimatico.
Per il nutrimento delle piante è importante soprattutto la naturale dotazione del terreno in materia organica. Come abbiamo già sottolineato, gli elementi più importanti sono carbonio, azoto e fosforo,[6] che costituiscono la base della rete alimentare delle piante. Per poter essere utilizzati dalle piante i composti organici contenuti nelle foglie o nei rami morti devono essere disgregati in composti più semplici dagli organismi che vivono nel suolo. Con un lungo processo in più fasi, i diversi organismi decompongono foglie e rami morti trasformandoli in composti inorganici che possono essere assorbiti e utilizzati dalle piante. Circa il 90% delle foglie morte viene frammentato da millepiedi, lombrichi e onischi. Il ciclo dei nutrienti è di importanza cruciale per la produzione di cibo e fibra, ma ci sono anche importanti legami con il ciclo dell’acqua.
Ora, quando a un terreno coltivato vengono asportate le piante che ha prodotto, il corredo naturale degli elementi presenti nel terreno viene impoverito e, per ripristinare la sua fertilità, come abbiamo già accennato, è necessaria la fertilizzazione per poter successivamente impiegarlo in nuove coltivazioni.
La fertilizzazione può essere compiuta con la concimazione naturale del terreno: si tratta di concimare il terreno con letame maturo (lo stallatico). Questo fornisce al terreno tutte le sostanze nutritive necessarie alle piante, in particolare i macroelementi azoto, fosforo e potassio e migliora la struttura del terreno, lo rende più morbido e facilita la sua coltivazione. In alternativa al letame si può ricorrere, ad esempio nel caso degli orti, al compost (Figura 2), cioè al prodotto del riciclaggio dei rifiuti organici lasciati a sé, o prodotto industrialmente in grandi quantità.
Un tipo di fertilizzazione naturale che sta tornando all’attenzione degli agricoltori è la pratica del sovescio. Si tratta di una pratica antica quanto l’agricoltura ed è fondamentale per migliorare la fertilità chimica, fisica e biologica di un terreno, soprattutto con limitata disponibilità di concimi organici. Di cosa si tratta? Consiste nel coltivare piante destinate ad essere trinciate e interrate quando si trovano al loro massimo rigoglio, per svolgere la funzione di “concimazione verde”. Tutta la biomassa interrata nei primi strati di terreno viene gradualmente decomposta e mineralizzata dai microrganismi del terreno, che in questo modo ricevono abbondante nutrimento e si moltiplicano.
Il sovescio costituisce sicuramente un eccellente apporto di sostanza organica al terreno, soprattutto quando non è possibile avere letame e quando il compost non è sufficiente per ammendare tutta la superficie disponibile.
Figura 2. Compost
Nel caso in cui non sia possibile ricorrere alla concimazione naturale del terreno, si impiegano i concimi di sintesi, ad esempio quelli ternari che contengono al loro interno una porzione bilanciata di azoto, fosforo e potassio; sono indicati con NPK e consentono con un unico passaggio sul terreno di fornire alle coltivazioni l’apporto necessario dei tre elementi.
Naturalmente l’impiego dei fertilizzanti di sintesi (oltre a quelli indicati si impiega anche urea e il nitrato di ammonio) dipende dalla natura del terreno e dal tipo di colture che si vuol impiantare. È importante dunque disporre di un’analisi appropriata del terreno per razionalizzare la sua concimazione e conoscere le esigenze nutritive delle piante che si intendono coltivare.
Un altro fattore da tener ben presente nella fertilizzazione del terreno è quando effettuarla.
In generale la fertilizzazione va fatta a fine inverno, prima della ripresa vegetativa della pianta. Ogni pianta ha bisogno, però, del fertilizzante specifico e alcuni fertilizzanti agiscono in modo quasi immediato, altri hanno invece un’azione lenta e graduale. Il concime in granuli si scioglie lentamente e il suo effetto dura circa 3 - 4 mesi.
Ad esempio, come si fertilizza un oliveto? Per la concimazione di produzione, in autunno si deve somministrare potassio e fosforo e, tra fine inverno e metà primavera, si deve somministrare azoto. La concimazione azotata dovrebbe essere frazionata in due-tre periodi. I concimi contenenti fosforo e potassio possono essere usati anche una sola volta all’anno. Solitamente vengono forniti prima della ripresa vegetativa, assieme alla concimazione azotata, utilizzando i concimi ternari NPK.[7]
La preparazione del terreno per impiantare una qualsiasi coltura riguarda la lavorazione del terreno in modo da ottenere un sottofondo adatto alla coltivazione attraverso:
1 il controllo della flora infestante;
2 l’aratura del terreno che fornisce a questo l’ossigenazione e il ripristino della porosità;
3 erpicatura (erpice a dischi) per rendere la sua superficie uniforme;
3b la fertilizzazione del suolo (può essere fatta con l’erpicatura);
4 il riequilibrio dell’attività microbica.
Le modalità di coltivazione di un terreno dipendono dalle colture che si intendono impiantare. Tre sono i tipi essenziali di impianto: la semina (grano, mais, ecc.), il trapianto di piantine (ortaggi di vario tipo) e, infine, la piantagione di piantine singole (per i frutti come, ad esempio, barbatelle per le viti, piantine di piccoli ciliegi, olivi, ecc.).
Mentre la semina e il trapianto in pieno campo si eseguono a macchina (Figura 3, sinistra), ad esempio le barbatelle di vite vanno piantate manualmente, una ad una nel terreno opportunamente preparato (Figura 3, destra).
Figura 3. Macchina trapiantatrice
(sinistra) e barbatelle di vite (destra)
Ogni coltura ha bisogno di un terreno specifico. Consideriamo, ad esempio, la semina di un cereale. Preparare il suolo alla semina è un’operazione che viene ripetuta ogni anno e spesso più volte durante il corso dell’anno. Se, invece, il terreno è abbandonato e lasciato incolto da tempo, le cose si complicano.[8]
Nel primo caso l’operazione iniziale da compiere è quella di rimuovere le erbe infestanti; se il terreno è stato coltivato nella stagione precedente, non saranno molte e si può procedere con la lavorazione di fondo.
Questa lavorazione consiste in un’aratura (coltratura) e porta al rivoltamento delle zolle dello strato superficiale del terreno. Si esegue ad una profondità di circa 25-30 centimetri.
Le zolle che si ottengono con questa prima lavorazione devono essere frantumate con l’erpicatura che va eseguita con una macchina frangizolle, generalmente a dischi statici o rotanti, trainata da un trattore. Segue, quindi, la fertilizzazione che però è più conveniente realizzare con apposite macchine che, mentre procedono all’erpicatura (spianatura e sminuzzamento del terreno), interrano anche il concime in modo uniforme nel terreno.
A questo punto il terreno è pronto per la semina ma, per ottenere un ulteriore affinamento della superficie e una leggera ricopertura del seme, si usano seminatrici dotate di un rullo apposito che compiono entrambe le operazioni.
Lo strato roccioso profondo del suolo è un vero e proprio tesoro perché racchiude quegli elementi così importanti per le più diverse industrie.
Le ricchezze del sottosuolo, com’è noto, hanno avuto origine in ere geologiche remote e non sono distribuite in modo omogeneo sul nostro pianeta dal momento che si trovano in giacimenti di minerali spesso molto distanti l’uno dall’altro, creando paesi ricchi di risorse minerali e paesi poveri come l’Italia.
Con le risorse minerarie, in generale, siamo messi assai male: non possiamo continuare a dilapidarle come abbiamo fatto finora, anche se stiamo attraversando un periodo di trasformazione ecologica, come la chiama il prof. Armaroli in un suo recente libro,[9] che ci induce ad usare sempre di più vari minerali per la costruzione delle apparecchiature che utilizziamo diffusamente e quotidianamente. Allora come usciamo da questo gap? Non c’è che una strada, in particolare per un Paese come il nostro: riciclare.
Dobbiamo tener presente che un risultato quantitativamente significativo di riciclo si potrà ottenere per il litio ed altri elementi, solo quando, ad esempio, le batterie delle macchine elettriche avranno raggiunto una diffusione sufficientemente ampia. Il riciclo poi non arriva mai al recupero del 100% della materia impiegata nel manufatto dismesso, ma si può sempre cercare di migliorarne la resa.
Il riciclo, inoltre, non sarà sufficiente a coprire per intero i fabbisogni necessari di minerali per nuove apparecchiature perché “bloccati” e, quindi, non riciclabili: ad esempio, non tutto il ferro impiegato in manufatti è recuperabile dal momento che è in parte utilizzato in strutture stabili e permanenti come le rotaie ferroviarie, i ponti di molte città, ecc. Quindi, le estrazioni di nuovi minerali non potranno essere azzerate, ma andranno ridotte al minimo per potervi attingere più tempo possibile.
Tornando alla distribuzione mondiale delle risorse minerarie, tre soli Stati (USA, Canada e Sudafrica) detengono l’80% delle riserve di minerali accertate. USA, Russia, Australia e Canada sono insieme grandi produttori e grandi consumatori. L’Europa Occidentale e il Giappone sono grandi consumatori anche se hanno scarse riserve di materie prime. Molti Paesi in via di sviluppo dell’Africa (Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Gabon, Guinea, Namibia) dell’Asia (Indonesia, Malaysia) e dell’America Latina (Brasile, Bolivia, Perù) sono esportatori di minerali.
Le riserve minerarie sono distribuite per tipologia come segue.
Minerali ferrosi metallici: magnetite, ematite, pirite, si trovano principalmente in Canada, USA, Russia, Cina, Brasile, Venezuela, India e Australia; per quanto riguarda l’Europa provengono soprattutto da Svezia, Spagna, Francia, Gran Bretagna e Austria (Figura 4).[10]
Figura 4. Distribuzione dei
giacimenti minerali nel mondo
Minerali metallici non ferrosi: rame, alluminio, stagno, piombo e zinco sono localizzati fondamentalmente in Canada, USA, Messico, Cile, Perù, Russia, Cina, Africa.
Metalli impiegati in leghe di acciai speciali: manganese, cobalto, titanio e tungsteno provengono principalmente da Cina, USA, Congo, Sudafrica, Russia e Canada.
Metalli preziosi: oro, argento e platino si trovano soprattutto in Sudafrica, USA, Cina, Canada, Russia, Perù e Messico.
L’uranio costituisce un caso particolare: nel mondo si producono (2020) 53.498 tonnellate di minerale d’uranio e i Paesi più ricchi di questo minerale sono il Kazakistan, il Canada e l’Australia.
Concludendo, visto che le miniere sono esauribili, se vogliamo proseguire le nostre attività di costruzione di apparecchiature, la trasformazione ecologica dovrà spingere sempre più ad attuare il riciclo dei minerali, in modo da rendere sempre meno importante il ricorso alle risorse minerarie naturali.
L’International Soil Reference and Information Center sostiene che il suolo è una risorsa naturale minacciata. La formazione del suolo è un processo estremamente lento: occorrono da cinquecento a mille anni o più per creare un paio di centimetri di soprassuolo. Per questi motivi il suolo è considerato una risorsa non rinnovabile: una volta distrutto, è perduto.
La sua degradazione o addirittura la sua scomparsa, può essere invece molto rapida e le ragioni di questo sono molte: in primo luogo la deforestazione,[11] l’agricoltura estensiva ad alta tecnologia, il pascolo del bestiame, le attività estrattive e soprattutto la sua copertura per costruire strade, abitazioni, industrie.
È dunque essenziale che vengano messi in atto criteri di protezione che prevengano il degrado del suolo: promuovere un’agricoltura più razionale, non solo tesa a incrementare i raccolti, ridurre drasticamente la deforestazione, limitare gli allevamenti bovini con consumo generale di minor quantità di carne e, infine, limitare il più possibile la progressiva, dirompente ricopertura dei suoli per la costruzione di nuove strade, di nuove abitazioni, ecc.
Che ruolo svolge nel PNRR il suolo? Si tratta purtroppo di un ruolo del tutto marginale, perché non vengono affrontati i problemi di una sua corretta gestione. Nelle 373 pagine del PNRR, il suolo viene nominato appena 14 volte e viene considerato solo un elemento su cui poggiare impianti green per la produzione energetica.[12]
In occasione della Giornata Mondiale del Suolo, che ricorre il 5 dicembre di ogni anno, il WWF ha comunicato che nel 2022 l’Italia ha perduto 2 metri quadri al secondo di suolo:[13] 21500 chilometri quadrati di suolo italiano sono stati cementificati e solo gli edifici occupano 5400 chilometri quadrati, una superficie pari alla Liguria. Il suolo perso in Italia dal 2012 ad oggi avrebbe garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi d’acqua piovana che, restando sulle superfici impermeabilizzate da asfalto e cemento, non sono state disponibili per la ricarica delle falde, mentre hanno gravi problemi per il loro smaltimento.
La pericolosità idraulica del nostro territorio dal 2000 al 2019 ha provocato 438 morti. Il Presidente del WWF Italia ha dichiarato “Oltre il 16% del territorio italiano si trova in aree ad elevato rischio idrogeologico e sono circa 6 milioni le persone interessate. Per non ripetere altri drammi come quello di Ischia del 2022, l’ultima cosa da fare è continuare a costruire. Invece nel 2021 abbiamo raggiunto il picco della cementificazione del territorio degli ultimi 10 anni”. Il WWF e Legambiente chiedono che venga approvata una legge contro il consumo di suolo.
Estremamente interessante è quello che emerge dal Rapporto ISPRA 2021 sul dissesto idrogeologico in Italia.[14] In esso vengono esaminati il rischio frane e quello di alluvioni, i cui dati essenziali sono riportati in Tabella 1.
Tabella 1. Il suolo italiano, rischio di frane e alluvioni (tratto da: Rapporto ISPRA 2021 sul Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio)
Particolarmente interessante è la storia del tungsteno o wolframio, da “fior di pesco” a metallo essenziale per la guerra.[15] La parola “tungsteno” proviene dallo svedese tung sten che significa “pietra pesante”. Questo elemento si trova in natura principalmente come wolframato nel minerale wolframite, miscela isomorfa di FeWO4 e MnWO4 e nella sheelite come CaWO4.
Il wolframio, o meglio il suo ossido, fu riconosciuto per la prima volta da Sheele nel 1781 nella sheelite. Poco dopo (1783) due fratelli chimici spagnoli, Juan José e Fausto Delhuyar, riconobbero che lo stesso elemento è contenuto nella wolframite. Dal nome dei due minerali in cui si trova, il metallo assunse il nome di wolframio (da cui il simbolo W) e tungsteno.
Prima della scoperta di Scheele un artigiano cinese aveva realizzato vasi di porcellana per l’imperatore di un colore straordinario che fu chiamato “fiore di pesco”. La composizione del colorante rimase un enigma fino al XX secolo, quando, il chimico tedesco Grunfeld dimostrò che si trattava di un composto di tungsteno, l’acido tungstico.
Nel 1857 l’inglese Robert Forester Mushet depositò un brevetto di una lega di ferro contenente il 7% di tungsteno che ebbe un notevole successo. Fu però all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1900, che gli acciai speciali al tungsteno riscossero un grande successo. Il wolframio, grazie al suo altissimo punto di fusione (3422 °C), il più alto di tutti i metalli, nel 1909 entrò nella produzione dei filamenti per lampade elettriche.
Nel 1914 i servizi segreti degli Alleati stimarono che lo sforzo bellico della Germania potesse durare pochi mesi per il blocco delle risorse di metalli di base. Tuttavia, Krupp, prima della guerra, aveva stoccato una gran quantità di metalli, tra i quali il wolframio, per la fabbricazione di granate. Lo stesso fecero gli industriali americani. Il chimico cino-americano K.C. Li, scoprì giacimenti di wolframio in Cina e questa diventò l’Eldorado del “prezioso” minerale.
Nel 1936 il Terzo Reich, in previsione di un possibile conflitto mondiale, importò il 35% della produzione internazionale di wolframio e quasi il 40% nel 1938. L’invasione dell’Unione Sovietica, nel giugno del 1941, ridusse drasticamente le importazioni tedesche dall’Asia e la Germania si rivolse allora al Portogallo con il quale stabilì un accordo per l’importazione del wolframio. A partire dal 1942 Franco, presidente del governo spagnolo, si rese conto che il metallo, di cui anche la Spagna era buon produttore, era fondamentale e strategico per la Germania. Il wolframio subì un forte rialzo di prezzo e allora, per correre ai ripari, gli ingegneri tedeschi, verso la fine d 1942, riuscirono a fabbricare proiettili perforanti senza utilizzare il wolframio.
Ma il metallo continuò ad essere essenziale “per la vittoria” (Kriegsentsheidend). Hitler ordinò all’artiglieria, ai carri armati e alla Kriegsmarine di utilizzare proiettili perforanti solo in casi specifici. Nel 1943 Berlino acquistò circa il 35% della produzione totale spagnola che era molto cresciuta rispetto al 1942. Nel gennaio 1944 l’ambasciatore inglese, Samuel Hoare, incontrò Franco perché sospendesse le esportazioni di tungsteno verso la Germania, ma il tentativo non riuscì e solo dopo un embargo sul petrolio verso la Spagna, Madrid accettò di ridurre le esportazioni alla Germania.
Anche dopo la guerra, il wolframio continuò e continua ad essere molto richiesto dall’industria militare e civile per le sue qualità particolari. Oggi la Cina costituisce il principale produttore mondiale.
[1] Fabio Olmi, La sfida del secolo, la transizione ecologica contro il riscaldamento globale, pag. 40-54, Aracne, Roma, 2022.
[2] Figura tratta da: http://www.osservatoriovaldagri.it/web/guest/suolo-e-sottosuolo.
[4] Jeremy Rifkin, L’età della resilienza, Mondadori, 2022, pag.95.
[6] Gli apporti di carbonio al suolo sono tutti di origine organica; i batteri del suolo trasformano poi l’azoto atmosferico in azoto minerale, di fondamentale importanza nella crescita delle piante.
[7] Come concimare il proprio oliveto in tre fasi-fertilizzare: https://agronotizie.imagelinenetwork.com.
[9] Nicola Armaroli, Un mondo in crisi, Dedalo, 2022.
[10] La miniera di Kiruna in Svezia è la più grande miniera di ferro del mondo la cui l’attività estrattiva oggi si svolge tra i 750 e i 1100 metri di profondità; è situata a circa 140 chilometri a nord del Circolo Polare Artico e molto vicina alla città di Kiruna che viene gradualmente spostata a favore della miniera.
[11] La deforestazione selvaggia che interessa soprattutto la foresta amazzonica, ma anche altre foreste tropicali, ha come scopo, secondo la Union of Concerned Scientists, la creazione di spazi sempre maggiori da destinare all’allevamento del bestiame, alla coltivazione di soia, alla produzione di olio di palma e al commercio del legname. Si tratta dunque di un doppio effetto negativo: da una parte si impoverisce la componente che cattura la CO2 e ci regala O2 e, dall’altra, si sfruttano fino a esaurimento i terreni ottenuti per alimentare un’economia distorta.
[12] http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/04/la-transizione-ecologica-del-pnrr-si-e-scordata-del-suolo-e-del-paesaggio/.
[13] https://www.ansa.it/ansa2030/notizie/green_blue/2022/12/04/giornata-del-suoloin-italia-persi-2-metri-quadri-al-secondo_0467f673-d0c7-42a0-95c6-7dacff044388.html.
[15] Tratto da: Alessandro Giraudo, Storia straordinaria delle materie prime, Torino Editore, 2019, pp. 220-224.