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L’indagine storica della scienza è indispensabile, se non si vuole che i principi che la scienza abbraccia degenerino a poco a poco in un sistema di prescrizioni capite solo a metà, o addirittura in un sistema di dogmi.
E. Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico, 1883
Abstract: The innovation of teaching practices and the improvement of the quality of chemistry teaching, at any learning level, including university, implies reflection and research activities. The meta-reflection on chemistry makes it possible to analyze the logical processes, the cognitive practices, and the conceptual evolution of disciplinary knowledge, helping to clarify the structure and identity of chemistry. The “Ulderico Segre” School of Educational Research and Chemistry Didactics organized by the Division of Chemical education proposes itself annually as a discussion place between university professors and school teachers, aimed at deepening the foundational chemical concepts and at fostering meta-reflection on chemistry.
Keywords: Ricerca didattica; concetti fondanti; meta-riflessione; formazione docenti
La qualità della didattica e l’innovazione della prassi didattica in ambito universitario stanno acquisendo, in questi ultimi anni, sempre maggior rilievo. Molti atenei italiani hanno dato vita a iniziative di formazione allo scopo di rendere i docenti più consapevoli delle questioni in gioco nell’azione didattica e degli strumenti disponibili per affrontarle. Trattandosi di percorsi rivolti all’intero corpo docente, essi hanno assunto usualmente un carattere generalista, lasciando a latere le problematiche specifiche delle didattiche disciplinari, che restano dunque largamente scoperte.
Negli ultimi anni si è poi ampiamente dibattuto di innovazione tecnologica in campo didattico come conseguenza dell’esteso ricorso agli strumenti informatici per l’insegnamento reso necessario dall’epidemia di Covid-19. Ciò ha comportato un indubbio ampliamento delle possibilità di interazione tra studenti e docenti e sta contribuendo – nel bene e nel male – a modificare il modo di pensare la lezione universitaria, ancora troppo legata a prassi trasmissive e a modelli di apprendimento che non stimolano la partecipazione attiva del discente e lo sviluppo del pensiero critico[1].
Tali iniziative hanno il merito di tenere viva l’attenzione sulle problematiche dell’insegnamento, ma lasciano aperto il problema dell’innovazione delle didattiche disciplinari. L’innovazione, per essere realmente tale, deve scaturire da attività di riflessione e di ricerca: le didattiche disciplinari non fanno eccezione a questa regola. La ricerca didattica disciplinare in chimica è uno spazio complesso, nel quale si intrecciano tematiche di natura epistemologica, storica, pedagogica e didattica al fine di sviluppare una meta-riflessione sulla struttura del sapere chimico, la natura delle sue leggi, l’origine e l’evoluzione dei concetti fondanti della chimica, unitamente a considerazioni sulla trasposizione didattica di tali saperi e sulla costruzione di percorsi di apprendimento coerenti con il livello di maturazione cognitiva dei discenti. È evidente che la postura di ricerca di coloro che si dedicano allo sviluppo di questi temi è diversa da quella del ricercatore impegnato a sviluppare sapere chimico sul campo: quest’ultimo si posiziona dentro la disciplina e ne utilizza gli strumenti per produrre nuovo sapere e formulare nuovi interrogativi di ricerca. Viceversa, la meta-riflessione impone uno sguardo dal di fuori sulla disciplina, in quanto solo ponendo una distanza tra sé e la disciplina stessa diviene possibile analizzare i processi logici, le prassi conoscitive, l’evoluzione concettuale del sapere disciplinare. Non si tratta di un esercizio fine a sé stesso, in quanto esso contribuisce alla conoscenza della propria disciplina come espressione culturale e impresa intellettuale e umana e consente di precisare lo statuto del sapere chimico. Inoltre, si tratta di una prospettiva indispensabile al docente di qualsiasi livello formativo se, come ci ricorda Sibel Erduran “only when teachers are familiar with how knowledge growth occurs in chemistry will they be able to translate chemical knowledge into teachable scenarios where learners’ acquisition of this knowledge is scaffolded” [1].
La meta-riflessione è dunque un’attività finalizzata ad assistere il docente nel promuovere un apprendimento disciplinare mirato alla comprensione. È precisamente in questa prospettiva che si collocano le iniziative di formazione promosse dalla Divisione di Didattica della SCI.
In questa sede desideriamo riferirci in particolare alla Scuola di Ricerca Educativa e Didattica Chimica “Ulderico Segre”, che ha ormai raggiunto il suo quattordicesimo anno di età (https://www.soc.chim.it/it/divisioni/didattica/scuoladididattica).
La scuola Segre si propone di stimolare l’interesse verso la ricerca educativa come strumento per (a) affrontare in modo efficace i problemi di insegnamento/apprendimento a livello universitario; (b) sensibilizzare i docenti, attuali e futuri, alle problematiche relative al processo di insegnamento/apprendimento della chimica nella scuola e nell’università; (c) proporre strategie didattiche che favoriscano il coinvolgimento attivo degli studenti.
Negli ultimi anni questi obiettivi hanno assunto rilevanza ancora maggiore a causa dell’introduzione di corsi di Didattica della Chimica nei piani di studio di diverse sedi universitarie italiane. Dunque, la Scuola Segre si propone come luogo di confronto e di discussione tra docenti universitari (in particolare, ma non esclusivamente, quelli coinvolti nei corsi curriculari di Didattica Chimica) sul sapere chimico inteso come corpus organico di conoscenze. È, inoltre, incoraggiata la partecipazione di docenti della scuola secondaria allo scopo di favorire la continuità didattica fra scuola e università.
L’obiettivo di lungo termine di iniziative come la Scuola Segre è quello di superare un modello di apprendimento (sia specialistico che scolastico) assiomatico, dogmatico e aproblematico, che consegna al discente un sapere statico, astorico e non contestualizzato. Si vuole cioè superare un problema che Luigi Cerruti, citando Bachelard, esprimeva in termini molto chiari: “Per un eccesso di filosofia realista la didattica consegna agli allievi nozioni così nettamente delineate da privarle di ogni (necessaria) nuance, e ne risulta un “enseignement par les uniques résultats, enseignement qui nous prive de la conscience des problèmes et du déroulement historique de leurs difficiles solutions” [2].
L’edizione 2022 della Scuola Segre ha avuto per tema: Osservabili e modelli nella didattica dell’elettrochimica, e si è svolta on line nel corso di 6 sessioni pomeridiane nel periodo compreso tra il 16 e il 25 novembre 2022.
L’insegnamento dell’elettrochimica è parte integrante di corsi universitari di base dove vengono introdotti gli equilibri redox e le loro applicazioni (celle galvaniche ed elettrolitiche), mentre l’elettrochimica analitica e preparativa e i fenomeni di trasferimento elettronico sono generalmente trattati in corsi più avanzati. La ricerca didattica evidenzia numerosi problemi relativi alla comprensione dei concetti e dei modelli di base dei fenomeni elettrochimici, problemi che inevitabilmente si riverberano sugli apprendimenti più avanzati. Obiettivo di questa edizione della scuola era esaminare e discutere alcune problematiche relative alla didattica dei fenomeni redox e delle loro applicazioni, prestando particolare attenzione alla trattazione didattica dei loro aspetti modellistici. Ampi momenti di discussione plenaria hanno fatto seguito ad un numero limitato di relazioni da parte di esperti, al fine di mettere a fuoco aspetti storici, epistemologici, concettuali e didattici.
Nel pomeriggio di apertura si è voluto dare una panoramica sul tema, coniugando presente e passato, senza dimenticare le sfide sul piano didattico. Catia Arbizzani dell’Università di Bologna ha infatti proposto una relazione sulle applicazioni più avanzate della ricerca in campo elettrochimico, ponendole in relazione con la transizione energetica. Luigi Fabbrizzi dell’Università di Pavia ha ripercorso la storia dell'invenzione della pila di Alessandro Volta e ha discusso le reazioni del mondo scientifico (e non solo) alla scoperta che l’elettricità potesse essere generata da uno strumento semplice e facile da costruire (Figura 1). Infine, Georgios Tsaparlis dell’Università di Ioannina (Grecia) ha parlato dell’utilità dell’approccio didattico noto come PCK (Pedagogic Content Knowledge) per favorire la comprensione della equazione di Nernst.
La seconda sessione, a cura di Antonio Testoni ed Eleonora Aquilini, entrambi membri del CIDI e di DD-SCI, è stata dedicata alla discussione di alcuni aspetti storici. È stata ripercorsa la storia dell’elettrone, dapprima come unità di elettricità e poi come corpuscolo, mostrando gli intrecci tra elettrochimica, processi elettrolitici e modelli atomici. In particolare, è stato mostrato come l’elettrone elettrochimico di Stoney-Helmholtz e l’elettrone atomico di Thomson, inizialmente concepiti come entità distinte, siano poi divenuti la stessa cosa. È stata, inoltre, discussa la rilevanza del contributo di Faraday (1834) sui processi elettrolitici per chiarire la natura dell’elettricità, fino a quel momento ritenuta un fluido, e il contributo offerto da Arrhenius (1884) con la teoria della dissociazione elettrolitica. Sul finire dell’Ottocento, i concetti di carica unitaria, elettrone, ione (inteso come atomo di materia con la sua carica) vennero a far parte del linguaggio scientifico comune. L'elettrone di Stoney assunse poi un significato profondamente diverso con Thomson (1897-1899) e lo sviluppo dei modelli atomici, che consentirono di offrire nuove interpretazioni dei processi che avvengono in una cella elettrochimica.
Figura 1. La pila di Volta (1799) (versione Rame/Zinco) in esposizione presso il Tempio Voltiano, Como
La terza sessione, a cura di Giovanni Villani (CNR-Pisa) ed Elena Ghibaudi (Università di Torino) ha privilegiato gli aspetti di natura epistemologica. In particolare, sono stati discussi i quattro modelli utilizzati per interpretare i processi redox e le relazioni esistenti tra questi modelli. È stato sottolineato come ogni modello sia portatore di una diversa e peculiare definizione di processo redox e di criteri per riconoscere questi processi, distinguendoli da quelli non redox. È stata discussa la distinzione tra i concetti di numero e stato di ossidazione, anche in relazione alla visione quantistica del mondo subatomico. Infine, l’analisi di alcuni testi di chimica generale e di chimica organica ha evidenziato come sia invalso l’utilizzo simultaneo di modelli diversi all’interno dello stesso testo (o talvolta dello stesso paragrafo): la mancata esplicitazione del modello utilizzato e la mancata discussione della sua natura di modello può generare confusione e considerevoli problemi di apprendimento.
La strutturazione dell’insegnamento dell’elettrochimica in un corso universitario di base è stata oggetto dell’intervento di Margherita Venturi (Università di Bologna) e Luigi Fabbrizzi (Università di Pavia), protagonisti della quarta sessione della scuola. I due relatori hanno trattato varie problematiche di rilevanza didattica, in riferimento ai concetti in gioco nell’elettrochimica (i numeri di ossidazione sono un puro artificio per bilanciare un’equazione chimica redox o hanno un riscontro fisico?), alla terminologia potenzialmente fuorviante (ossidante è la specie che si riduce, riducente è la specie che si ossida) e all’opportunità di connettere la trattazione dei processi redox (come tipologia di trasformazione chimica che implica un trasferimento elettronico) nei corsi di chimica generale con il loro utilizzo, ad es., nelle celle elettrochimiche, raggruppando questi argomenti in un’unica sezione del corso.
Nella quinta sessione della scuola, Paola Ambrogi (DD-SCI), insegnante nella scuola secondaria di II grado, ha commentato le indicazioni ministeriali inerenti all’elettrochimica e ha presentato materiali sviluppati da INDIRE per la formazione dei docenti. Ugo Cosentino (Università di Milano-Bicocca) e Mariano Venanzi (Università di Roma “Tor Vergata”) ci hanno guidato attraverso l’evoluzione del concetto di elettrone, mostrando come i suoi modelli si siano storicamente evoluti in funzione delle osservabili (Figura 2).
Figura 2. Osservabili e modelli nella storia del concetto di elettrone
In particolare, i due relatori hanno discusso le potenziali incongruenze derivanti dall’utilizzo contemporaneo di descrizioni corpuscolari e quantistiche, qualora il carattere modellistico di tali rappresentazioni non venga esplicitato. In ambito elettrochimico, questo passaggio avviene in modo netto quando si passa dal trattare i processi redox nel contesto delle celle galvaniche/elettrochimiche (descrizione corpuscolare dell’elettrone) alla descrizione cinetica dei fenomeni di trasferimento elettronico (teoria di Marcus e modello quantistico dell’elettrone). Ma una situazione non dissimile si sperimenta nella trattazione del legame chimico, nel passaggio dal modello di Lewis alle teorie VB e MO. I due relatori ci hanno ricordato che “A livello didattico, il passaggio senza soluzione di continuità da un modello rappresentativo all’altro può costituire un ostacolo cognitivo, o comunque un fattore di disorientamento per uno studente che si affaccia allo studio della Chimica. Occorre sempre dichiarare le regole del gioco, esplicitando il modello che viene utilizzato e contestualizzandone i limiti di applicabilità”.
La scuola si è chiusa con gli interventi di Eleonora Aquilini e Margherita Venturi, che hanno provveduto a tirare le fila delle diverse sessioni di lavori, evidenziando le problematiche emerse, le soluzioni condivise e le questioni ancora aperte. Tutte le presentazioni della scuola sono disponibili a questo URL: https://www.soc.chim.it/it/divisioni/didattica/Segre2022.
Una caratteristica peculiare di questa edizione della scuola è stato l’ampio spazio dedicato alla discussione: in ogni sessione, dopo l’intervento introduttivo da parte dei relatori, la parola è passata ai partecipanti che sono stati invitati a formulare domande, proporre il loro punto di vista, esporre perplessità, ecc. Questa scelta ha permesso di mettere in luce numerose questioni irrisolte, riguardanti gli aspetti concettuali, le prassi didattiche, le scelte dei contenuti da proporre ai diversi livelli formativi, relativamente all’elettrochimica. Ciò ha confermato l’utilità e la rilevanza della meta-riflessione e del confronto tra pari, all’interno di quella comunità di pratiche che è la comunità dei chimici.
Nel complesso, ci sembra di poter far nostra l’osservazione di Sibel Erduran riguardo alla necessità che un insegnante – a qualunque livello formativo si trovi ad operare – sia consapevole della natura, dell’origine e dell’evoluzione storica del sapere che insegna. Ciò è tanto più urgente se applicato al personale che si sta formando alla docenza: “For chemistry teaching to be effective, prospective teachers will need to be educated about how knowledge is structured in the discipline that they are teaching. Practice and theory of future teacher education, then, will need to be informed by and about philosophy of chemistry” [3].
[1] S. Erduran, A.cA. Bravo, R.cM. Naaman, Developing epistemologically empowered teachers: examining the role of philosophy of chemistry in teacher education, Science & Education, 2007, 16, 975-989, DOI 10.1007/s11191-006-9072-4.
[2] G. Bachelard, Le matérialisme rationnel, Vrin, Paris, 1972, p. 118, cit. da L. Cerruti, Prima dell'incontro: l’ostacolo epistemologico, in AA.VV., Bachelard e le ‘provocazioni’ della materia, Il melangolo, Genova, 2012, pp.81-92.
[3] S. Erduran, Beyond philosophical confusion: establishing the role of philosophy of chemistry in chemical education research, J. Baltic Sci. Educ., 2009, 8, 5-14.
[1] Si potrebbe discutere se l’innovazione tecnologica non comporti, in alcuni casi, un passo indietro sul piano didattico in quanto potrebbe sottintendere modelli di apprendimento (ad es. quello comportamentista) largamente superati.