Il problema energetico: fondamentale, ma non è l’unico

Vincenzo Balzani

Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna

Margherita Venturi

Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna

Indice

Siamo entrati in una nuova epoca: l’Antropocene
L’energia e le fonti energetiche
La transizione energetica dai combustibili alle energie rinnovabili
Un inevitabile collo di bottiglia: i materiali
Dall’economia lineare all’economia circolare e dal consumismo alla sobrietà
La responsabilità che grava sulle nostre spalle
Riferimenti

Abstract: We are facing a complex crisis which is both environmental and social. Sadly, not many seem to be aware of the challenge we face. The first thing to do is to inform and educate people to build a solid cultural foundation and to implement a courageous cultural revolution. We need to change our current lifestyle to reduce waste and pollution and, most important, to stop climate change. We also need to reduce the growing inequalities between nations and within each nation. To achieve these objectives, we must create a new economic model based on ethical foundations, aimed at promoting ecological as well as social sustainability. Strategies for a solution demand an integrated approach to protecting nature and combating poverty by the implementation of three transitions: from fossil fuels to renewable energies, from a linear to a circular economy, and from consumerism to sobriety. We must protect our planet because it must also serve the next generations. There is so much to be done to improve this world. Many decisions must be made at a political level, but each of us is required to play our part.

Keywords: Antropocene; fonti energetiche; transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili; economia lineare ed economia circolare; sostenibilità

Siamo entrati in una nuova epoca: l’Antropocene

Una famosa fotografia della NASA, scattata dalla sonda Cassini-Huygens il 15 settembre 2006 a una distanza di 1,5 miliardi di chilometri, mostra la Terra come un punto blu-pallido nel buio cosmico (Figura 1).

Figura 1. Come mostra la fotografia scattata il 15 settembre 2006 dalla sonda spaziale Cassini, la Terra è un puntino nell’immensità dell’Universo

Non c’è evidenza che la Terra si trovi in una posizione privilegiata nell’Universo; non ci sono segni che facciano pensare a una nostra particolare importanza, nulla che ci induca a credere di poter ricevere aiuto da altri, nessuna indicazione di luoghi in cui eventualmente poter emigrare. Quando si guarda la Terra da così lontano ci si rende conto che il nostro pianeta, oltre a essere un sistema isolato, ha anche dimensioni finite [1, 2] e, pertanto, le risorse che ci mette a disposizione sono limitate così come è limitato lo spazio in cui collocare i rifiuti. Si tratta di una realtà innegabile sotto gli occhi di tutti, eppure, spesso, ci fa comodo ignorarla; alcuni economisti, poi, sembrano addirittura non conoscerla.

Dalla metà del secolo scorso, con la crescente disponibilità di energia fornita dai combustibili fossili e il contemporaneo sviluppo della scienza e della tecnologia, l’attività dell’uomo è aumentata in modo enorme: sono state costruite innumerevoli città, strade, ferrovie, aeroporti, mezzi di trasporto e di comunicazione, industrie capaci di produrre dispositivi e macchine di ogni genere (compresi armamenti sempre più sofisticati), si è meccanizzata l’agricoltura aumentando la produzione di cibo, è migliorato il tenore di vita in molti paesi. Partendo da queste considerazioni, nel 2002, in un articolo su Nature [3], Paul Crutzen, premio Nobel per la Chimica nel 1995, suggerì di chiamare Antropocene l’epoca attuale, perché è fortemente caratterizzata dalle attività dell’uomo. La grande accelerazione dell’attività umana ha avuto importanti conseguenze sullo stato del pianeta: il consumo, al limite di un loro esaurimento, di alcune risorse naturali (in prospettiva, anche dei combustibili fossili), la produzione di molti tipi e di grandi quantità di nuovi materiali (ad es., materie plastiche), la diffusione su scala globale di sostanze inquinanti (ad es., polveri sottili e sostanze radioattive), i cambiamenti climatici causati dalle emissioni di gas serra, la diminuzione della biodiversità con l’alterazione dei rapporti fra le specie. L’uomo ha anche esteso la sua azione fuori dal pianeta lanciando innumerevoli satelliti artificiali, collocando in orbita attorno alla Terra stazioni spaziali abitate, mettendo piede sulla Luna e inviando sonde per esplorare altri pianeti e lontani corpi celesti. Con energia, scienza e tecnologia l’uomo è diventato progressivamente più forte della Natura e, immaginando che il nostro pianeta sia una specie di astronave che viaggia senza fine nell’universo, possiamo dire che negli ultimi decenni l’uomo è entrato nella cabina di comando: non può modificare la rotta dell’astronave, ma ha cambiato e può ulteriormente cambiare le regole e il meccanismo del suo funzionamento. Se vuole, può addirittura distruggerla. Alcuni cambiamenti causati dall’attività umana dureranno per millenni, altri potrebbero essere addirittura irreversibili.

Nel 1980, le materie prime estratte dalla Terra ammontavano a 40 miliardi di tonnellate; nel 2021 sono salite a circa 100 miliardi di tonnellate, pari a 40 kg per persona al giorno. C’è poi da aggiungere che, a mano a mano che i depositi più ricchi si vanno esaurendo, si ricercano risorse più difficili da estrarre (ad es., il petrolio da sabbie bituminose) con un forte impatto ambientale [4, 5].

Le dimensioni finite del pianeta hanno conseguenze anche per quanto riguarda la collocazione dei rifiuti, che si producono ogni volta che si usano risorse; non possiamo sbarazzarcene collocandoli in un inesistente non luogo e, allora, li nascondiamo sottoterra, li accumuliamo nell’atmosfera o, ancora, li abbandoniamo nel mare; in ogni caso, le conseguenze sono poco piacevoli, lo dimostra l’enorme isola (grande come l’Europa) che si è formata nell’Oceano Pacifico dall’accumulo di rifiuti plastici. La quantità di CO2 riversata in atmosfera supera i 30 miliardi di tonnellate all’anno e, come sappiamo, è responsabile di un aumento dell’effetto serra e dei conseguenti cambiamenti climatici. Il particolato fine generato dai motori a combustione ha causato nel 2020 più di 200.000 morti premature in Europa, 40.000 delle quali in Italia. Ci sono poi le scorie delle centrali nucleari, pericolose per decine di migliaia di anni, che nessuno sa dove collocare.

Dovremmo renderci conto che l’attività dell’uomo sul pianeta deve confrontarsi, da un lato, con limiti materiali e, dall’altro, con la necessità di non superare determinati confini, oltre i quali la biosfera non sarebbe più in grado di sostenere la vita. Aver chiamato la nostra epoca con il nome Antropocene è utile per diffondere più facilmente il messaggio della responsabilità che grava sulle nostre spalle. La nostra, infatti, è la prima generazione che si rende conto della nuova situazione e dei pericoli che essa comporta ed è, quindi, anche la prima generazione ad avere la responsabilità di prendere i provvedimenti necessari affinché l’astronave Terra possa fornire una decorosa ospitalità ai suoi sempre più numerosi passeggeri e alle future generazioni.

Dal punto di vista sociale l’Antropocene è caratterizzato da forti disuguaglianze. Lo sviluppo economico ha migliorato il livello di vita dei cittadini di molti paesi, dove però un gran numero di persone vive ancora ben sotto il livello di povertà, mentre in altri paesi è in corso una crescita economica tumultuosa che lascia indietro gran parte della popolazione; in altri ancora, lo sviluppo economico non è ancora iniziato. L’attuale modello di sviluppo, che si può riassumere con la parola consumismo, non solo trasforma le risorse in rifiuti con grande velocità, ma ha anche la drammatica conseguenza di aumentare le disuguaglianze: crea ricchi che non sanno come utilizzare il superfluo e poveri che non hanno il necessario per vivere.

All’insostenibilità ecologica si affianca, quindi, l’insostenibilità sociale. Sia dove è già avvenuto, sia dove attualmente si manifesta, lo sviluppo economico ha generato e continua a generare una molteplicità di problemi che minacciano di lasciare alle prossime generazioni un pianeta fortemente impoverito, molto inquinato e soggetto a cambiamenti climatici, e una società affetta da crescenti disuguaglianze. Parecchi scienziati oggi sottolineano che il tumultuoso agire dell’uomo, accompagnato dal rapido progresso della scienza in direzioni sbagliate, ha reso il mondo molto fragile. Con riferimento all’attuale crisi energetico-climatica, qualche scienziato afferma che il mondo è sull’orlo del baratro.

L’energia e le fonti energetiche

L’energia è un’entità onnipresente nella nostra vita, ma è un concetto solo in apparenza intuitivo, cosa che vale per altri concetti importanti come quelli di tempo e di spazio. Il concetto di energia è così complesso e, allo stesso tempo, così sfuggente che per millenni gli studiosi ne hanno dato definizioni molto vaghe. Richard Feynman, uno dei fisici moderni più grandi, ha addirittura scritto [6]: It is important to realize that in physics today, we have no knowledge what energy is.

L’energia è tutto quello che permette di fare qualcosa o di generare un cambiamento: senza energia non si può fare nulla. L’energia si manifesta in forme diverse inter-convertibili e, nel trasformarsi, la sua quantità si conserva, mentre la sua qualità degrada. L’energia è il vero potere che governa il mondo ed è causa di guerre che, allo stesso tempo, alimenta. L’energia è un qualcosa di natura universale che non si può ridurre a nulla di più elementare.

Il termine energia è stato coniato dalla lingua greca unendo la preposizione «en» (in) al sostantivo «érgon» (lavoro, opera, azione). Si può, quindi, definire il concetto di energia partendo da quello di lavoro, che è semplice e intuitivo: è un lavoro, ad esempio, sollevare un oggetto pesante dal pavimento e metterlo su uno scaffale. Per fare un lavoro, pertanto, ci vuole energia, che nell’esempio sopra riportato può essere fornita da una persona, ma anche da un sollevatore meccanico. L’energia può allora essere definita come la capacità di un corpo o di un sistema a compiere un lavoro e la misura di questo lavoro è la misura dell’energia che esso richiede.

Le più importanti forme di energia (energie di uso finale) sono l’energia termica, l’energia elettrica e l’energia meccanica che l’uomo ottiene sfruttando le fonti energetiche a disposizione.

Nel linguaggio corrente si chiamano energie non rinnovabili quelle forme di energia che si esauriscono a mano a mano che vengono usate come, ad esempio, i combustibili fossili. Si utilizza, invece, il termine energie rinnovabili per quelle forme di energia le cui fonti non si esauriscono in seguito all’uso: l’esempio tipico è l’energia solare.

I combustibili fossili

I combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) quando vengono utilizzati (bruciati) forniscono energia termica (calore) che si può usare come tale o convertire, con bassa efficienza, in altre forme di energia, per esempio energia meccanica o elettrica.

Fino alla metà del secolo scorso si pensava che i combustibili fossili fossero la soluzione ideale per soddisfare i bisogni energetici dell’umanità e, ancora oggi, circa l’80% dell’energia è ottenuta dai combustibili fossili: ogni secondo, al mondo si consumano circa 250 tonnellate di carbone, 160.000 litri di petrolio e 100.000 metri cubi di gas, riversando nell’atmosfera, sempre ogni secondo, circa 1.000 tonnellate di CO2.

I fattori che hanno spinto al massiccio uso dei combustibili fossili si devono principalmente alla loro iniziale abbondanza (seppure geograficamente distribuita in modo non uniforme), alla possibilità di trasportarli e conservarli fino al momento dell’uso e alla loro elevata densità energetica [1, 2]. I combustibili fossili, però, sono una fonte di energia non rinnovabile, fatalmente destinata a esaurirsi, cosa che si sta chiaramente evidenziando in questi ultimi anni. Inoltre, da alcune decine di anni, ci si è accorti che l’uso dei combustibili fossili causa problemi molto gravi su scala globale.

Anzitutto, bruciando producono sostanze inquinanti, dannose per la salute dell’uomo. Petrolio, gas naturale e carbone sono sempre mescolati a quantità più o meno rilevanti di altre sostanze (composti solforati, metalli, composti aromatici) che soltanto in parte vengono separate dal combustibile prima del suo uso. Sostanze inquinanti (in particolare, ossidi di azoto NOx) si formano anche quando i combustibili fossili bruciano ad alta temperatura usando l’aria come comburente.

Inoltre, cosa ancor più preoccupante, la grande quantità di CO2 immessa nell’atmosfera dalla loro combustione avvolge il globo terrestre come un mantello che permette ai raggi solari di raggiungere il suolo, ma impedisce al calore così generato di disperdersi. L’accumulo di questo gas attorno alla Terra provoca, quindi, un aumento dell’effetto serra, responsabile del cambiamento climatico e di tutte le conseguenze che esso comporta: riduzione dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, avanzamento della siccità in molte regioni del mondo, eventi metereologici estremi e altri fenomeni, causando danni (chiamati esternalità) che ricadono sulla collettività oltre che sugli utilizzatori. Il costo reale dell’energia ottenuta dai combustibili fossili è, quindi, decisamente più alto di quello che viene fatto pagare al consumatore. La proposta di ENI e di altre compagnie petrolifere di catturare (solo parzialmente!) e stoccare la quantità di CO2 prodotta dall’uso dei combustibili fossili (tecnologia CCS) è un alibi per continuare a estrarre combustibili fossili, compromettendo così il percorso di decarbonizzazione e lasciando alle prossime generazioni l’onere di sorvegliare e controllare questi ipotetici depositi di CO2 che potrebbero venir danneggiati da eventi sismici.

Nel 1988 sotto l’egida dell’ONU è stato costituito un gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) per valutare, su una base globale, obiettiva, aperta e trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche rilevanti per comprendere i rischi del cambiamento climatico, i potenziali impatti e le opzioni di adattamento e mitigazione. Negli anni seguenti si è giunti alla ratifica, da parte di molti paesi, della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e, con cadenza annuale, si sono svolte conferenze (COP, Conference of the Parties) per esaminare l’evolvere del fenomeno e adottare provvedimenti.

Nella COP21, tenutasi di Parigi nel dicembre del 2015, le 195 nazioni presenti si sono impegnate ad agire per mantenere l’innalzamento della temperatura sotto 2 °C e – se possibile – sotto 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Sempre nel 2015 Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato si’, scritta con la consulenza di molti scienziati, ha affermato [7]: I combustibili fossili devono essere sostituiti senza indugio, ma la politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide.

Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è aumentata da 275 a oltre 400 ppm (parti per milione) e si prevede che, se non saranno presi provvedimenti opportuni, potrà superare il valore di 550 ppm alla fine di questo secolo, con conseguenze che potrebbero essere disastrose. Secondo l’IPCC, una tale concentrazione di CO2 nell’atmosfera causerebbe un aumento medio globale della temperatura di circa 3 °C, molto più del limite di 2 °C, che era già considerato pericoloso.

In questi ultimi 7 anni, però, non si sono fatti grandi progressi e alla COP27 il segretario dell’ONU Guterres ha ammonito: Siamo su un’autostrada diretti verso l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore; stiamo lottando per la nostra vita e stiamo perdendo. Ha inoltre lanciato un appello affinché nasca uno storico Patto tra economie sviluppate ed economie emergenti: Un Patto di Solidarietà Climatica, perché ormai si sa cosa bisogna fare e ci sono anche gli strumenti finanziari e tecnologici per farlo; è tempo che le nazioni si uniscano per agire.

Le energie rinnovabili

Come già detto, le energie rinnovabili sono quelle le cui fonti non si esauriscono in seguito all’uso; l’esempio tipico è rappresentato dall’energia solare che, come mostra schematicamente la figura 2, viene usata per generare energia elettrica direttamente (fotovoltaico) o indirettamente tramite il vento (eolico), o il ciclo dell’acqua (idroelettrico). Queste fonti energetiche sono le stesse di cui parla San Francesco nel Cantico delle Creature: frate Sole che, oltre al calore, ci fornisce luce che i pannelli fotovoltaici convertono in elettricità; frate Vento che, attraverso il movimento meccanico delle pale eoliche, genera anch’esso elettricità; sor’Acqua che si può accumulare con dighe per poi farla cadere in apposite condotte per produrre ancora una volta elettricità.

Poiché l’energia solare è rinnovabile, anche l’energia elettrica così generata viene detta rinnovabile. In realtà, come evidenzia la figura 2, per convertire l’energia solare in energia elettrica è necessario usare dispositivi, congegni e apparati (pannelli fotovoltaici, pale eoliche, dighe, ecc.) costruiti con materiali estratti dalla Terra. Poiché tali materiali sono disponibili in quantità più o meno abbondanti, ma comunque sempre limitate, l’energia elettrica che possiamo produrre con l’energia solare non può definirsi, in senso stretto, rinnovabile; tuttavia, in prima approssimazione viene considerata tale (si veda anche punto 4).

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Figura 2. Le tre più importanti fonti di energia rinnovabile, fotovoltaico, eolico e idroelettrico, forniscono energia elettrica più utile del calore che si ottiene dai combustibili fossili

Le energie rinnovabili nel loro insieme soddisfano sostanzialmente i requisiti richiesti per una fonte energetica ideale. Sono, infatti, ben distribuite e, alcune, anche molto abbondanti: il Sole, ad esempio, in un’ora manda sulla Terra una quantità di energia pari a quella che l’umanità consuma in un anno. Però, per utilizzare le energie rinnovabili del Sole, del vento e dell’acqua è necessario convertirle in energia elettrica (energia di uso finale) mediante dispositivi, congegni o apparati (pannelli fotovoltaici, pale eoliche, bacini e dighe) che, come detto sopra, dobbiamo costruire con le risorse materiali ottenibili dalla Terra che sono limitate, date le dimensioni finite del nostro pianeta. Pertanto, le energie rinnovabili che abbiamo a disposizione vengono sfruttate solo in parte.

Il vantaggio delle energie rinnovabili sta nel fatto che l’elettricità è una forma di energia molto più utile del calore generato dai combustibili fossili. L’elettricità generata dalle rinnovabili ha, però, un difetto: a causa dell’alternanza giorno/notte, il fotovoltaico non può produrre energia in modo continuo e anche vento e pioggia non sono fenomeni continui. Quindi, l’energia elettrica rinnovabile è intermittente e, allora, per renderla continua bisogna accumularla con batterie, pompaggi o altri metodi [8, 9].

L’uso delle energie rinnovabili a livello globale è in forte espansione, ma ad oggi è ancora limitato: l’idroelettrico fornisce il 4% dell’energia utilizzata e tutte le altre assieme circa il 3%. Il loro contributo, però, non è affatto trascurabile per quanto riguarda la produzione di elettricità, dove le energie rinnovabili forniscono il 28% del totale (in Italia, circa il 40%) [10].

Per ragioni di spazio, si riportano solo alcuni dati e qualche considerazione sullo sviluppo recente delle energie rinnovabili. Volutamente non viene discusso il tema dei biocombustibili, nonostante attualmente se ne parli molto anche nei mezzi di informazione, perché non sono una fonte rinnovabile efficace per attuare la transizione energetica [1]. Fra i tanti motivi che potrebbero essere citati, si ricorda con particolare riferimento ai biocombustibili liquidi che: attualmente si usano colture dedicate, il che vuol dire sottrarre suolo alla produzione di cibo; il bilancio energetico non è favorevole, dal momento che l’energia necessaria per far crescere la biomassa e convertirla in biocombustibile è spesso superiore a quella ottenuta dal biocombustibile stesso; nel complesso non sono combustibili CO2-neutri, perché per raccogliere, trasportare e convertire la biomassa si utilizza energia proveniente da fonti fossili; per dar posto alle monocolture dedicate alla produzione di biocombustibili inevitabilmente si va incontro a deforestazione e alla distruzione di ecosistemi preziosi. I biocombustibili potranno dare un contributo non trascurabile, in particolare come carburanti per il trasporto aereo, solo se si riuscirà ad ottenerli da biomasse lignee-cellulosiche e, quindi, senza togliere terreno alla produzione di cibo.

L’energia idroelettrica

L’energia ottenuta dalla caduta dell’acqua è la più nota, usata e collaudata forma di energia rinnovabile. Si stima che nei paesi sviluppati circa il 70% del potenziale sfruttabile per grandi impianti sia già operativo, mentre ampie possibilità di crescita sono ancora presenti in Asia e Africa.

Nuove prospettive, sia per i paesi sviluppati che per le zone rurali del terzo mondo, riguardano l’idroelettrico basato su piccoli impianti che possono sfruttare flussi idrici ridotti, ma costanti.

La potenza idroelettrica installata, che era di 715 GW nel 2004, ha raggiunto 1.200 GW nel 2021 [10], però la scarsità di pioggia e neve degli ultimi anni, causata dal cambiamento climatico, ha ridotto il contributo dell’idroelettrico in molti paesi, fra cui l’Italia.

L’energia eolica

Gli impianti eolici comportano un uso ridotto del territorio, si possono installare anche in mare, richiedono una manutenzione minima, restituiscono in pochi mesi l’energia utilizzata per costruirli e si possono costruire e smantellare in tempi brevi con riciclo quasi totale (80-90%) dei materiali usati. Poiché il vento è intermittente su base giornaliera e stagionale, la capacità annuale effettiva di un impianto eolico si aggira attorno al 30%.

In totale, la potenza installata è passata da 48 GW del 2004 a 845 GW nel 2021 [10], producendo un’energia paragonabile a quella generata da 150 centrali nucleari da 1.000 MW. In particolare, l’eolico offshore e il micro-eolico crescono a un ritmo annuo superiore al 20% e contribuiscono già alla produzione di elettricità con percentuali molto alte sia in paesi piccoli, come la Danimarca (44%), che nelle grandi potenze industriali, come la Germania (20%).

L’energia fotovoltaica

Il fotovoltaico è in fortissima espansione tanto è vero che la potenza installata, che nel 2004 era di 2,6 GW, è salita a ben 942 GW nel 2021 [10] (energia paragonabile a quella generata da oltre 160 centrali nucleari da 1.000 MW) e continuerà ad aumentare esponenzialmente nei prossimi anni.

La produzione di energia elettrica fotovoltaica necessita di ampi spazi di raccolta, ma non così estesi come si potrebbe pensare. Nel caso dell’Italia sarebbe sufficiente utilizzare lo 0,8% del territorio, un’estensione poco più grande dell’area che occupano, comprese le zone di pertinenza, i 700.000 capannoni già presenti sul territorio, che sono luoghi ideali per collocare pannelli fotovoltaici. Occorre poi considerare che altri posti adatti per posizionare i pannelli fotovoltaici sono i tetti degli edifici pubblici (Figura 3), i laghi e anche il mare (Figura 4).

Figura 3. Il tetto della stazione di Shanghai è coperto da pannelli fotovoltaici che forniscono elettricità ai treni

Figura 4. Pannelli fotovoltaici off-shore

Recentemente, poi, si sta sviluppando l’agrivoltaico [11, 12] che consiste nel posizionare su un terreno coltivabile pannelli fotovoltaici inclinati, a opportuna distanza l’uno dall’altro e a un’altezza dal suolo di un paio di metri (Figura 5); in questo modo si ottengono con buona resa sia i prodotti agricoli che elettricità, un risultato di enorme valore: cibo ed energia, le risorse più importanti per la vita, dallo stesso campo illuminato dal Sole.

Figura 5. Posizionando su un campo coltivabile i pannelli fotovoltaici con appropriata inclinazione, distanza e altezza dal suolo si ottengono con buona efficienza cibo ed energia

In Italia, che gode di un’ottima insolazione, nel 2021 il fotovoltaico ha coperto il 10% dei consumi elettrici e ha ormai raggiunto e superato la grid parity (cioè la competitività economica) con le centrali elettriche a carbone e anche con le turbine a gas a ciclo combinato, che sono quelle usate per produrre elettricità nelle ore di più alto consumo.

Il fotovoltaico è una tecnologia ormai collaudata: i pannelli hanno una durata di 25-30 anni, in 2-3 anni generano l’energia spesa per produrli e i materiali usati per costruirli possono essere riciclati per il 90% (Figura 6).

Figura 6. Processo di riciclo dei pannelli fotovoltaici

In futuro le celle fotovoltaiche saranno sempre più sottili e, sfruttando nuovi materiali, sarà possibile produrre, con tecnologie simili a quelle oggi usate per la stampa, pannelli flessibili, più facili da installare.

Forse non tutti sanno che l’efficienza di conversione dell’energia solare in energia elettrica da parte di un pannello fotovoltaico (circa il 20%) è più di 100 volte maggiore di quella con cui il processo fotosintetico naturale converte l’energia solare in energia chimica.

L’energia nucleare

Verso la metà del secolo scorso, ancor prima dello sviluppo delle energie rinnovabili, si è riusciti a ottenere energia elettrica dal calore emesso in una reazione nucleare, facendo nascere la speranza di fornire a tutto il mondo energia elettrica abbondante e a basso prezzo.

Nucleare da fissione

Le centrali nucleari attualmente in uso sfruttano la reazione di fissione dell’uranio-235; dopo una crescita durata una ventina d’anni, verso l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso lo sviluppo del nucleare si è arrestato e attualmente esso fornisce il 10% dell’energia elettrica mondiale, che a sua volta rappresenta circa il 20% del consumo di energia finale. Si tratta, infatti, di una tecnologia economicamente non conveniente in un regime di libero mercato, per cui si costruiscono centrali a fissione solo nei paesi dove lo Stato si fa direttamente carico dei costi e dei rischi d’impresa e dove c’è un forte collegamento con il nucleare militare.

Recentemente, però, in sede europea il nucleare è stato considerato fondamentale per combattere il cambiamento climatico in quanto non genera CO2. In realtà la quantità di CO2 emessa dal nucleare dovrebbe essere calcolata tenendo conto di tutte le fasi del ciclo di vita degli impianti – dall’estrazione dell’uranio fino alla dismissione delle centrali – senza tralasciare le emissioni legate al trasporto e allo stoccaggio delle scorie radioattive.

Inoltre, per valutare la sostenibilità ecologica, economica e sociale dell’energia nucleare non ci si può basare solo sulla quantità di CO2 emessa; è, infatti, necessario considerarne tutte le criticità, che possiamo così riassumere: 1) le centrali nucleari producono scorie radioattive pericolose per decine di migliaia di anni, la collocazione delle quali è un problema non risolto e forse irrisolvibile; 2) il combustibile nucleare, l’uranio, è una risorsa, oltre che non rinnovabile, limitata e quindi contesa; 3) la dismissione di una centrale nucleare a fine vita è un problema di difficile soluzione sia dal punto di vista tecnico che economico, tanto che lo si lascia in eredità alle prossime generazioni; 4) un incidente nucleare grave non è delimitabile nello spazio e nel tempo e, pertanto, coinvolge direttamente o indirettamente milioni di persone; 5) Chernobyl, Fukushima e, ancora prima, Three Mile Island hanno dimostrato che gravi incidenti nucleari possono accadere anche in paesi tecnologicamente avanzati e che siamo impotenti di fronte a tali drammatici eventi; 6) il nucleare civile è connesso alle applicazioni militari e può essere obiettivo o fonte di attività terroristiche; 7) il timore di incidenti o di contaminazioni con sostanze radioattive rendono difficile il reperimento di siti in cui costruire le centrali; 8) l’esperienza dimostra che la costruzione di una centrale nucleare richiede più di 20 anni e che il costo finale supera di molte volte quello inizialmente previsto.

Quindi, l’attuale tecnologia nucleare è molto costosa, pericolosa, complessa da gestire e socialmente non accettabile; lascia pesanti fardelli sulle spalle delle prossime generazioni e genera anche complicati problemi politici e sociali difficili da risolvere.

Si deve, poi, aggiungere che la prospettiva dei “mini e micro” reattori nucleari, di cui tanto si sta discutendo in questo periodo, è ancora più dannosa, perché produrrebbe una diffusione sul territorio di impianti a rischio, con accresciute difficoltà a esercitare un controllo efficace sulle scorie radioattive e, quindi, a garantire la sicurezza delle popolazioni e dell’ambiente.

Infine, per quanto riguarda l’Italia, i cui cittadini, con ben due referendum, nel 1987 e nel 2011, avevano dato a larga maggioranza parere negativo sullo sviluppo dell’energia nucleare, un ritorno a questa fonte energetica sarebbe una vera follia. Lo sarebbe non solo per tutti i motivi prima evidenziati, ma anche perché l’Italia è un territorio densamente popolato e sismico, non ha riserve di uranio e, ormai, non ha più neanche le competenze per costruire e gestire una centrale nucleare, cosa che renderebbe il nostro paese dipendente dalle Nazioni che ci danno uranio e tecnologia.

La fusione nucleare: futuro o utopia?

Come è noto, si possono generare enormi quantità di energia non solo dalla fissione di atomi pesanti, ma anche dalla fusione di atomi leggeri. La possibilità di ottenere energia elettrica dalla fusione nucleare controllata (quella incontrollata è già stata messa in opera nelle cosiddette bombe all’idrogeno) è stata annunciata per la prima volta nel 1955, preconizzando che ci sarebbero voluti due decenni per realizzarla e quindi per risolvere definitivamente il problema energetico su scala mondiale. Questa previsione (fra due decenni ...) è stata riproposta più volte, dal 1955 ad oggi, da diversi scienziati. In realtà, nonostante i grandi capitali investiti, finora non sono stati fatti passi in avanti significativi, anche se la spasmodica attesa di questo successo ha portato all’esaltazione sui mezzi di comunicazione di alcuni esperimenti molto preliminari.

L’episodio più eclatante è avvenuto il 13 dicembre dello scorso anno, quando i giornali di tutto il mondo hanno riportato che la National Ignition Facility (NIF) del Laurence Livermore National Laboratory in California (USA) aveva ottenuto un importante risultato: focalizzando l’energia di 192 laser su una sferetta (pellet) contenente deuterio e trizio (due isotopi dell’idrogeno) ha generato in pochi nanosecondi la loro fusione con formazione di elio, un neutrone e una quantità di energia (3,15 MJ) leggermente maggiore di quella iniettata dai laser nella sferetta (2,05 MJ) (Figura 7).

Figura 7. Grazie all’energia fornita da 192 laser, in una sferetta contenente deuterio e trizio avviene la reazione di fusione con formazione di elio

C’è da notare, però, che i 192 laser hanno consumato circa 400 MJ, ai quali va aggiunta l’energia richiesta dalle altre apparecchiature costruite e utilizzate nel preparare e seguire l’esperimento. Oltre a vincere la sfida energetica (produrre più energia di quella consumata), per generare energia su scala commerciale si deve vincere un’altra sfida praticamente impossibile: modificare l’apparecchiatura per far sì che produca energia non per una piccolissima frazione di secondo, ma in modo continuo, cosa che richiede, rispetto all’esperimento compiuto, un miglioramento di almeno 500.000 volte. Ad altri difficili problemi pratici, che sarebbe necessario risolvere, si aggiunge poi la necessità di disporre dei due isotopi dell’idrogeno. Mentre il deuterio è abbondante, il trizio non è presente in natura perché è radioattivo (decade con un tempo di dimezzamento di soli 12 anni). La maggioranza degli esperti concorda sul fatto che con questo metodo così complicato è impossibile generare elettricità a costi commerciali competitivi. Bisogna anche sottolineare che il compito primario del NIF non è quello di studiare la fusione per ottenere energia, ma di sfruttarla a fini bellici.

Un altro metodo per costruire centrali nucleari a fusione per scopi pacifici si sta studiando a Cadarache in Francia da parte di un folto gruppo di paesi, compresi USA, UE, Cina e India. Questo secondo metodo è basato sul confinamento magnetico per intrappolare atomi di deuterio e trizio in modo che possano dare la reazione di fusione generando energia. Sono già stati spesi 20 miliardi di euro senza essere ancora riusciti a produrre quantità di energia maggiori di quelle utilizzate.

In conclusione, la storia della fusione nucleare, dagli anni Cinquanta del secolo scorso ad oggi, dimostra che questa tecnologia non riuscirà a produrre elettricità a bassi costi e in modo attendibile in un futuro ragionevolmente vicino. Quindi, non potrà essere di aiuto per raggiungere il traguardo emissioni zero di CO2 entro il 2050: spendere miliardi di dollari nel tentativo di sviluppare la fusione genera il solo risultato di togliere risorse alle tecnologie efficienti e già in uso basate sulle energie rinnovabili.

La transizione energetica dai combustibili alle energie rinnovabili

La transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è inevitabile e anche urgente se vogliamo custodire il pianeta e noi stessi che lo abitiamo. È una transizione che richiede tempo perché è complessa dal punto di vista tecnico, economico, politico e anche culturale.

L’uso dei combustibili fossili, oltre alla nascita e al perpetrarsi di disuguaglianze all’interno di ciascuna Nazione e fra le Nazioni, ha fatto sì che si instaurassero equilibri internazionali molto complessi, basati sulla potenza economica e militare, che neppure l’avvento dell’energia nucleare a metà del secolo scorso ha sostanzialmente modificato. Tali equilibri, per quanto consolidati, verranno inevitabilmente sconvolti passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Si tratta, infatti, di sostituire fonti energetiche concentrate, localizzate in pochi paesi, pericolose, inquinanti, causa di controversie economiche e commerciali, esposte ad attentati e particolarmente adatte ad alimentare le guerre, con fonti energetiche diffuse su tutta la Terra, non inquinanti e non pericolose. Infine, ma non ultimo elemento come importanza, bisogna ricordare che nei paesi sviluppati l’abbondanza di energia ha forgiato la società consumistica dello spreco e dell’usa e getta, che non sarà facile modificare.

La transizione energetica, quindi, ancor più che un complesso problema tecnico, implica una vera rivoluzione culturale [5], perché riguarda il modo di vivere e di affrontare il futuro, interessa tutti i livelli organizzativi della società e ha profondi effetti economici e politici. La transizione che stiamo affrontando è, pertanto, una grande sfida che deve essere accettata senza indugi perché ci permetterà di vivere in un mondo più giusto, più equo e più pacifico.

La transizione energetica comporta grandi cambiamenti non solo nel modo di produrre energia, ma anche nel modo di trasportarla, distribuirla e utilizzarla. Come abbiamo visto, le energie primarie rinnovabili del Sole, del vento e dell’acqua, con le quali dobbiamo sostituire i combustibili fossili, oltre a non produrre CO2 e a non causare inquinamento, hanno un’ulteriore importante caratteristica: generano energia elettrica e non calore. L’energia elettrica è particolarmente pregiata perché può essere convertita con alta efficienza in altre forme di energia come luce, calore ed energia meccanica (Figura 8). Quindi, l’economia basata sulle fonti rinnovabili ha un’efficienza energetica molto maggiore dell’economia basata sui combustibili fossili.

Figura 8. La complessità del motore termico confrontata con la semplicità del motore elettrico

Le energie rinnovabili hanno anche altri vantaggi rispetto a quelle fossili. I combustibili fossili sono presenti allo stato grezzo, sotto la crosta terrestre e solo in certe regioni del mondo. Quindi vanno estratti scavando miniere o pozzi, poi devono essere raffinati e infine trasportati nei luoghi d’uso, operazioni tutte pericolose e spesso causa di incidenti. Invece, l’energia primaria per produrre elettricità con il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico piove dal cielo (anche se richiede, come vedremo “l’intervento” della Terra), non va trasportata né raffinata, dobbiamo solo raccoglierla, convertirla in elettricità, operazioni che non presentano pericoli (a parte l’idroelettrico), e distribuirla tramite cavi, senza eccessivi problemi.

Gli scienziati hanno dimostrato che la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili si può fare e che, oltre a eliminare inquinamento e frenare il cambiamento climatico, è anche vantaggiosa perché crea molti nuovi posti di lavoro [13]. Stime concordi di svariati economisti, fra i quali Joseph Stiglitz, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2001, valutano infatti che le energie rinnovabili, a parità di capitale investito, creano tre volte più occupati delle fonti fossili, per cui investire nelle energie rinnovabili è utile anche per rilanciare l’economia.

Il gruppo dell’Università di Stanford [13] ha condotto una dettagliata indagine sui benefici che la transizione porterà in vari paesi e, per quanto riguarda l’Italia, lo studio afferma che l’energia necessaria si può ricavare essenzialmente da fotovoltaico, eolico e idroelettrico, con un piccolo contributo di geotermico. Ha anche valutato che, per la costruzione degli impianti necessari, si occuperà non più dello 0,26% del territorio, che si creeranno 138.000 posti di lavoro per la loro costruzione e altri 140.000 per il loro funzionamento.

Nonostante ciò, oggi stiamo vivendo una strana situazione: il futuro, cioè le energie rinnovabili, è già presente, ma il passato, cioè i combustibili fossili, non vuole tramontare. Questa transizione energetica è, infatti, fortemente ostacolata dalle lobby dei combustibili fossili (in Italia, da ENI e SNAM) secondo le quali le energie rinnovabili non sarebbero ancora mature. Per smentire questa falsità basta ricordare quanto detto in precedenza e cioè che la fotosintesi naturale converte l’energia solare in energia chimica con un’efficienza energetica dello 0,2%, mentre il fotovoltaico converte l’energia solare in energia elettrica con un’efficienza di circa il 20% e, quindi, 100 volte maggiore.

Le energie del Sole, del vento e dell’acqua, però, come già anticipato, hanno due problemi: (a) vanno convertite in energia elettrica, cosa che richiede la costruzione di congegni e strutture materiali (pannelli fotovoltaici, pale eoliche, dighe, ecc.) e (b) sono intermittenti, difetto che si ripercuote sull’elettricità che esse generano, per cui occorre utilizzare sistemi di accumulo.

Quindi, sia in un caso che nell’altro, abbiamo bisogno di risorse materiali che dobbiamo estrarre dalla Terra: gli elementi chimici e i loro composti. Come è noto, alcuni elementi sono molto abbondanti (idrogeno, carbonio, ossigeno), altri sono presenti in minor quantità e altri ancora sono relativamente scarsi [14].

Anche se abbondante e ben distribuita, l’energia rinnovabile che possiamo realmente utilizzare è condizionata dalla limitata disponibilità e dalla non uniforme distribuzione delle necessarie risorse materiali, come vedremo nel prossimo punto.

Un inevitabile collo di bottiglia: i materiali

Dopo aver esaminato tutti i vantaggi che offrirebbe il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, è giusto esaminare quali possono essere i problemi che questa transizione comporta. Sarà possibile alimentare la crescente fame di energia della società umana con le energie rinnovabili? Per quanto tempo? Quali conseguenze porterà la transizione dal punto di vista ecologico e sociale?

La fonte primaria delle energie rinnovabili non ha problemi: il Sole continuerà a brillare mantenendo le sue caratteristiche almeno per alcuni miliardi di anni, inviandoci in un’ora una quantità di energia più o meno equivalente a quella che l’umanità consuma in un anno. Quindi la fonte primaria di energia è abbondante, continua, e inesauribile (cioè, rinnovabile, nella nostra scala di tempo). Ad esempio, in Italia la potenza solare media è 170 W/m2.

Come la conversione dell’energia solare in energia elettrica (Figura 2), anche l’uso, il trasporto, l’accumulo e l’ulteriore conversione dell’energia elettrica in altre forme di energia di uso finale richiedono strutture, dispositivi, congegni che dobbiamo costruire utilizzando i materiali estratti dalla Terra. Il nostro pianeta è, infatti, un “deposito” (Figura 9), anche se molto particolare, di elementi chimici e dei loro composti.

Figura 9. Una versione moderna della Tavola Periodica che rappresenta schematicamente l’abbondanza relativa sul nostro pianeta degli elementi naturali

I materiali richiesti per la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili sono molteplici (Figura 10), alcuni abbondanti, comunque sempre presenti in quantità limitata, e altri scarsi; inoltre, la loro distribuzione sulla superfice del pianeta è molto disomogenea e la loro estrazione spesso è problematica per motivi tecnici, ecologici e sociali.

Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che la superficie della Terra è occupata, in modo disomogeneo, da più di 200 Nazioni che hanno tradizioni, usi, sensibilità ambientale diversi e che spesso sono in concorrenza, se non in conflitto, per accaparrarsi le risorse.

Il sistema energetico basato sull’energia elettrica richiede, come appena detto, quantità grandi e diversificate di materiali, in particolare, molti metalli [15]; ad esempio, un’auto elettrica richiede, tipicamente, una quantità di minerali sei volte quella richiesta da un’auto a carburante. Litio, nichel, cobalto, manganese e grafite sono di importanza cruciale per le prestazioni delle batterie e alcuni elementi delle Terre Rare sono importanti per i magneti permanenti delle turbine eoliche e delle auto elettriche. Il rame è in assoluto il metallo più usato: per un’auto elettrica ne occorrono più di 200 kg, per i pannelli fotovoltaici circa 60 quintali per MW e per le turbine eoliche offshore circa 160 quintali per MW.

Per quanto riguarda i prossimi anni non è facile prevedere quale sarà la richiesta dei materiali necessari per attuare la transizione energetica, perché dipenderà dal progresso della tecnologia e dalle decisioni politiche relativamente agli obiettivi da raggiungere. Per esempio, si è valutato che la richiesta di cobalto nel 2040 aumenterà da 6 a 30 volte rispetto a quella attuale, a seconda dell’evoluzione delle batterie e delle decisioni riguardanti le politiche climatiche.

Figura 10. Alcune delle risorse minerarie più importanti per la transizione energetica

Per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi (aumento della temperatura minore di 1,5 °C nel 2050) sarà, quindi, necessario superare numerosi ostacoli [15], di seguito brevemente riassunti.

  • Le risorse minerarie più utilizzate sono localizzate in pochi paesi; ad esempio, il 70% del cobalto è prodotto nel Congo e il 60% delle Terre Rare in Cina.

  • La sempre più bassa qualità dei minerali richiede l’utilizzo di crescenti quantità di energia per l’estrazione e, di conseguenza, crea maggiori emissioni di CO2 e maggior volume di rifiuti.

  • Le comunità locali possono creare problemi a causa dei danni provocati al territorio dalle estrazioni.

  • L’aumentata esposizione a rischi climatici (scarsità di acqua, ondate di calore estreme, inondazioni) può ostacolare una produzione di materiali certa e sostenibile.

Per far fronte a queste difficoltà si dovrà sempre più ricorrere a innovazioni tecnologiche che permettano di utilizzare minori quantità di materiali e ridurre i costi. Per esempio, negli ultimi dieci anni lo spettacolare sviluppo del fotovoltaico è stato possibile grazie alla riduzione nell’uso di silicio e di rame nelle celle solari.

Il recente aumento dei prezzi di rame, di litio e di altri metalli strategici ha dato voce a chi si oppone alla transizione energetica e si è iniziato a usare il termine greenflation per sottolineare che è sempre meno probabile evitare gli effetti del cambiamento climatico. Secondo IRENA [16, 17] si tratta di preoccupazioni esagerate perché le risorse necessarie ci sono: bisogna solo aumentare la produzione, tenendo anche conto che, per certi scopi, si possono usare materiali alternativi e che un riciclo efficiente può ridurre significativamente l’uso della produzione primaria. Ad esempio, nei cavi elettrici il rame può essere sostituito dall’alluminio, seppure con maggiori costi energetici e, inoltre, si può aumentare l’efficienza del suo riciclo dal 30 al 50%.

Un aspetto più complesso, che dovrà essere tenuto in attenta considerazione con appropriate iniziative economiche e politiche, è quello della disomogenea distribuzione geografica dei materiali. Sarà, quindi, sempre più necessaria una visione globale dei vari problemi che non potranno essere risolti da accordi bilaterali, ma solo attraverso mediazioni condotte da agenzie internazionali.

La speranza è che non si passi dalle guerre, più o meno esplicite, per il petrolio a guerre per i materiali necessari alla transizione; l’aumentata consapevolezza che in un mondo globalizzato nessuno è autosufficiente dovrebbe indurre a instaurare collaborazioni proficue fra le Nazioni, rafforzando la pace.

In base a quanto detto sopra è evidente che l’Europa è fortemente dipendente dalle importazioni di litio, cobalto, nickel e altre risorse essenziali per la transizione green; molto recentemente in Svezia è stato scoperto un giacimento di oltre 1 milione di tonnellate di ossidi di Terre Rare, il più grande giacimento di questi minerali finora conosciuto in Europa.

Dall’economia lineare all’economia circolare e dal consumismo alla sobrietà

Oltre alla transizione dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili, per raggiungere la sostenibilità ecologica e sociale è necessaria un’altra transizione: quella dall’economia lineare (Figura 11), caratterizzata dall’usa e getta, all’economia circolare [2, 5, 18] (Figura 12). L’usa e getta è una pratica insostenibile: da una parte causa l’esaurimento delle risorse e, dall’altra, genera l’accumulo di quantità enormi di rifiuti, spesso dannosi. Questo tipo di sviluppo economico ci sta portando sull’orlo del baratro ecologico e, indirettamente, è l’origine delle crescenti, insostenibili disuguaglianze sociali. Papa Francesco, nella già citata Enciclica Laudato si’, ha lanciato un appello accorato [7]: Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale.

Figura 11. L’economia lineare è basata sul falso presupposto che le risorse naturali siano infinite, che non ci siano problemi per la collocazione dei rifiuti e che si possa continuare a usare l’energia fornita dai combustibili fossili

Figura 12. L’economia circolare, partendo dalla constatazione che le risorse naturali sono limitate, è basata su alcune parole chiave come risparmio, riutilizzo, riciclo e uso di fonti energetiche rinnovabili

Uno dei punti cardine di questa rivoluzione culturale è proprio il passaggio dall’economia lineare all’economia circolare, nella quale le risorse vengono usate in quantità il più possibile limitate (risparmio) e in modo intelligente (efficienza) per fabbricare oggetti programmati non solo per essere usati, ma anche per essere riparati, riusati, raccolti e riciclati in modo da fornire nuove risorse [2, 5, 13]. Una differenza fondamentale fra l’economia lineare e l’economia circolare riguarda l’energia: l’economia lineare è alimentata dai combustibili fossili, mentre l’economia circolare deve utilizzare l’energia generata dal Sole che è rinnovabile, ben distribuita, non nociva per l’uomo e non dannosa per l’ambiente. Ecco, quindi, che la seconda transizione, quella dall’economia lineare all’economia circolare, non può realizzarsi completamente se non si porta a termine la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

L’attuale economia, come già detto, è caratterizzata da un esagerato consumo dell’energia e, allora, per capire quanto questo nostro comportamento sia assurdo, possiamo porci una domanda: quanta energia è realmente necessaria per una persona? Molte ricerche mettono in evidenza che il benessere delle persone non è direttamente proporzionale all’energia che consumano, gran parte della quale viene sprecata [5, 19]. Ad esempio, ogni cittadino americano impiega mediamente l’equivalente di 12.000 watt di potenza, il doppio di un cittadino europeo (6.000 watt), ma il benessere negli Stati Uniti non è maggiore di quello nei paesi europei.

Questo ci dice che sicuramente possiamo ridurre il consumo di energia senza peggiorare la nostra condizione, ma come è possibile convincere le persone, abituate a sprecare energia, a cambiare stile di vita? Chi studia questo problema indica due strategie [18].

La prima è agire sulle cose, cioè aumentare l’efficienza energetica di tutte le apparecchiature che usiamo: automobili, caldaie, lampadine, ecc. L’esperienza dimostra, tuttavia, che l’aumento dell’efficienza spesso non porta a una riduzione del consumo di energia per diversi motivi, fra cui il cosiddetto effetto rimbalzo; può, infatti, accadere che un aumento dell’efficienza incoraggi un maggiore utilizzo dei servizi energetici.

La seconda strategia dice, invece, che, se si vuole realmente consumare meno energia per contribuire alla sostenibilità ecologica e sociale, bisogna agire sulle persone, prima che sulle cose. Occorre partire dal concetto di sufficienza, convincendo, sollecitando e, in casi estremi, anche obbligando le persone, con leggi e sanzioni, a ridurre l’uso non necessario dei servizi energetici. Per risparmiare realmente energia non basta fare con meno, bisogna fare meno: meno viaggi, meno luce, meno riscaldamento, minor velocità e così via. Se poi l’apparecchiatura che si usa è più efficiente, si avrà un risparmio ancora maggiore: è il fare meno (sufficienza) con meno (efficienza). Ovviamente, questi concetti possono essere applicati all’uso di qualsiasi risorsa, perché tutte le risorse della Terra sono, più o meno, limitate.

Quindi, occorre attuare una terza transizione per raggiungere la sostenibilità ecologica e sociale, quella dal consumismo alla sufficienza, o, meglio, alla sobrietà, una virtù quasi dimenticata, che è la qualità essenziale di ogni tipo di relazione: con le risorse, con i rifiuti, con gli altri e con sé stessi. Senza adottare stili di vita ispirati alla sobrietà precipiteremmo nel collasso ecologico e sociale perché, come dice anche Papa Francesco [7]: Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti, sporcizia.

La responsabilità che grava sulle nostre spalle

Siamo in un periodo difficile della storia. Dopo aver goduto per più di un secolo dell’energia dei combustibili fossili, abbondante e a basso prezzo, abbiamo capito che il suo uso causa la degradazione del pianeta e che, quindi, dobbiamo smettere di utilizzarla. Dopo esserci tanto esaltati per il progresso, ci stiamo accorgendo che l’attuale modello di sviluppo basato sul consumismo è insostenibile per il nostro pianeta. Lo è anche dal punto di vista sociale perché promuove la competizione, induce a non curarsi degli altri, a perdere l’idea di bene comune e ad allargare sempre più la forbice della disuguaglianza dalla quale derivano disagio, malessere, migrazioni, rivoluzioni e guerre.

La situazione in cui ci troviamo è ben espressa dalla frase di un grande filosofo, Hans Jonas [20]: È lo smisurato potere che ci siamo dati, su noi stessi e sull’ambiente, sono le immani dimensioni causali di questo potere a imporci di sapere che cosa stiamo facendo e di scegliere in quale direzione vogliamo inoltrarci. È una frase che riassume il passato, stabilisce il compito che ci assegna il presente e ricorda che siamo gli artefici del nostro futuro.

Purtroppo, non sembra che molti siano consapevoli della sfida che abbiamo di fronte. La prima cosa da fare, quindi, è informare ed educare le persone per costruire una solida base culturale [21], o meglio, per usare le parole già citate di Papa Francesco, per attuare una coraggiosa rivoluzione culturale.

Non possiamo continuare a costruire muri e confini, perché dobbiamo vivere tutti assieme sull’astronave Terra dalla quale nessuno se ne può andare. Non possiamo abbandonare i comandi, uscire dalla cabina di pilotaggio e lasciare il nostro pianeta al suo destino. Dobbiamo custodirlo, perché deve servire anche alle prossime generazioni. Bisogna porre fine a comportamenti irresponsabili per quanto riguarda il consumo di risorse e la produzione di rifiuti; dobbiamo adoperarci affinché vengano realizzate idee e attuate strategie politiche capaci di proiettarci verso un mondo sostenibile.

Non si tratta di un impossibile ritorno al passato, né di rinnegare scoperte e invenzioni; si tratta, anzi, di ampliare le nostre conoscenze e di utilizzare nel modo migliore le grandi capacità che ci vengono fornite dalla scienza e dalla tecnologia. Bisogna farlo rispettando i limiti e i confini planetari di cui oggi abbiamo piena consapevolezza, imparando a riciclare le risorse della Terra e a usare sempre di più e sempre meglio l’energia solare, la risorsa fondamentale che abbiamo riscoperto negli ultimi anni.

Se sfrutteremo con cura i beni comuni, cioè le limitate risorse del nostro pianeta e l’abbondante e inesauribile flusso di energia che ci viene dal Sole, se svilupperemo con intelligenza le conoscenze scientifiche e le innovazioni tecnologiche e, soprattutto, se riusciremo a far emergere le nostre preziosissime fonti di energia spirituale – saggezza, creatività, responsabilità, collaborazione, amicizia, sobrietà e solidarietà – riusciremo a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale.

C’è tanto da fare per migliorare questo mondo. Molte decisioni devono essere prese a livello politico, ma ciascuno di noi è tenuto a fare la sua parte. Come ha detto William James, filosofo della seconda metà del 1800, [2]: Agisci sempre come se le tue azioni facessero la differenza. La fanno.

Riferimenti

[1] N. Armaroli, V. Balzani, Energia per l’astronave Terra, Terza Edizione, Zanichelli, Bologna, 2017.

[2] V. Balzani, M. Venturi, Energia, risorse, ambiente, Zanichelli, Bologna, 2014.

[3] P. Crutzen, Nature, 2002, 415, 23.

[4] U. Bardi, Extracted: How the Quest for Mineral Wealth is Plundering the Planet, Chelsea Green, White River Junction, Vermont (USA), 2014.

[5] F. M. Butera, Affrontare la complessità, Edizioni Ambiente, Milano, 2021.

[6] R. P. Feynman, volume I, lecture 4, “Conservation of Energy”; section 4-1, “What is energy?”; p. 4-2 The Feynman Lectures on Physics, 1964.

[7] Papa Francesco, Laudato si’, Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Paoline Editoriale Libri, Milano, 2015.

[8] A. Abbotto, Idrogeno. Tutti i colori dell’energia, Edizioni Dedalo, Bari, 2021.

[9] N. Armaroli, Emergenza energia. Non abbiamo più tempo, Edizioni Dedalo, Bari, 2020.

[10] Renewables 2022, Global Status Report – REN21 (https://www.ren21.net/wp-content/uploads/2019/05/GSR2022_Full_Report.pdf).

[11] Agrivoltaics, Fraunhofer ISE (https://www.ise.fraunhofer.de/en/key-topics/integrated-photovoltaics/agrivoltaics.html)

[12] Agrivoltaics, a valuable ally in the energy transition, ENEL Green Power, (https://www.enelgreenpower.com/learning-hub/contributors/agrivoltaics-ally-energy-transition).

[13] M. Z. Jacobson, 100% Clean, Renewable, Energy and Storage for Everything, Cambridge University Press, Cambridge (UK), 2021.

[14] V. Balzani, L. Moggi, L. Prodi, M. Venturi, Chimica: fondamenti e prospettive, Bononia University Press, Bologna, 2021.

[15] The role of critical minerals in clean energy transitions, World Energy Outlook Special Report, International Energy Agency, 2022 (https://www.iea.org/events/the-role-of-critical-minerals-in-clean-energy-transitions-world-energy-outlook-special-report).

[16] Materials shortage will not stop the energy transition, if we plan ahead, IRENA, 2021 (https://www.irena.org/News/expertinsights/2021/Nov/Materials-shortage-will-not-stop-the-energy-transition).

[17] World energy transition outlook: 1.5 °C pathway, IRENA 2021 (https://fsr.eui.eu/event/world-energy-transitions-outlook-1-5c-pathway-fsr-talk-with-irena/).

[18] V. Balzani, Salvare il pianeta per salvare noi stessi, Lu::ce edizioni, 2020.

[19] N. Armaroli, V. Balzani, Energy for a Sustainable World – From the Oil Age to a Sun-Powered Future, Wiley-VCH, Weinheim (Germany), 2011.

[20] H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 2002.

[21] F. Olmi, La sfida del secolo, Aracne editrice, Roma, 2022.