La fusione nucleare: come distrarci dalle emergenze che dobbiamo affrontare[1]

Margherita Venturi

Dipartimento di Chimica “G. Ciamician” dell’Università di Bologna e Gruppo Energia per l’Italia
e-mail: margherita.venturi@unibo.it

Abstract: Recently, the idea to use the nuclear fusion for obtaining clean, safe, and inexhaustible energy and, thereby, for solving also the climate crisis, is attracting policy makers and citizens. In the present contribution, the ways to perform the fusion of deuterium and tritium (magnetic and inertial confinement) are briefly described. Then the many problems that still need to be overcome are presented and discussed. As demonstrated by the scientific reports, the nuclear fusion will fail to produce exploitable energy in a near future.

Keywords: fusione nucleare; confinamento magnetico; confinamento inerziale; deuterio; trizio; problemi aperti

Siamo in un periodo difficile per l’umanità caratterizzato da due gravi emergenze: quella energetica e quella climatica. Sono due emergenze strettamente connesse perché è ormai ampiamente dimostrato che il cambiamento climatico è la conseguenza dell’uso massiccio dei combustibili fossili. Occorre, quindi, abbandonare senza indugio questa fonte energetica e trovare soluzioni alternative. Nonostante la maggioranza della comunità scientifica sia concorde sul fatto che il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, rappresenti l’unica strada da battere, purtroppo, recentemente, è tornato alla ribalta il nucleare. Non solo si vuole potenziare il nucleare da fissione, ma addirittura si sta dando l’illusione che la fusione nucleare ci darà prestissimo energia pulita, sicura e inesauribile. Allora cerchiamo di capire perché si tratta ancora di una vera e propria illusione.

Come è noto, si possono generare enormi quantità di energia non solo dalla fissione di atomi pesanti, ma anche dalla fusione di atomi leggeri, il processo che alimenta il nostro Sole. Realizzare il processo di fusione nucleare è, infatti, stato paragonato a mettere “il Sole in bottiglia”; è sicuramente una frase d’effetto, capace di colpire la fantasia del pubblico, che però nasconde cosa in realtà ciò significhi. Allora, vale la pena confrontare quello che davvero avviene nel nucleo del Sole a 150 milioni di km da noi rispetto a quanto possiamo disporre noi sulla piccola Terra che gli ruota attorno. All’interno della nostra stella c’è un plasma di protoni, che, a quattro per volta, grazie a temperatura e pressioni elevatissime (16 milioni di gradi centigradi e 500 miliardi di atmosfere) fondono per dare un nucleo di elio, con un difetto di massa tale da produrre un’enorme quantità di energia secondo la famosa formula di Einstein E = mc2.

Poiché queste estreme condizioni non possono essere riprodotte, nei laboratori “terrestri”, neppure in quelli più avanzati, si cerca di ovviare all’impossibile replicabilità del processo di fusione solare, imitandone solo il principio. Si ricorre, infatti, ai nuclei di due isotopi dell’idrogeno – il deuterio e il trizio – che, però, non hanno alcuna voglia di fondersi perché, essendo entrambi carichi positivamente, si respingono violentemente. Tuttavia, se si riesce in qualche modo a portarli a contatto, entra in gioco una forza nucleare attrattiva che agisce solo a cortissimo raggio, ma che è molto più intensa della repulsione fra cariche uguali: i due nuclei fondono con la formazione di un nucleo di elio (He), l’espulsione di un neutrone e l’emissione di una grandissima quantità di energia che si manifesta sotto forma di calore.

Il problema, ma non l’unico, è che, al fine di “costringere” i nuclei di deuterio e trizio a scontrarsi per poi incollarsi, occorre mantenere confinato il tutto per il tempo necessario a produrre la fusione. Per ottenere ciò si utilizzano principalmente due approcci.

Uno si basa sul confinamento magnetico del plasma caldissimo formato dai nuclei di deuterio e trizio: un campo magnetico potentissimo generato dall’esterno costringe questi nuclei a muoversi lungo traiettorie circolari in modo che, giro dopo giro, acquistano l’energia necessaria per dare il processo di fusione. La difficoltà è che il campo magnetico deve essere intensissimo e per mantenerlo tale ci vogliono dei magneti superconduttori che devono lavorare a temperature molto basse (-268 °C).

L’altro approccio è quello basato sul confinamento inerziale che consiste nel bombardare con dei potentissimi impulsi laser un piccolo contenitore in cui è presente una miscela solidificata (in quanto freddissima) di deuterio e trizio: si verifica così una intensissima compressione che fa salire contestualmente la pressione e la temperatura (fino a una sessantina di milioni di gradi), tanto da innescare la fusione.

Il primo approccio è quello che si sta affrontando a Cadarache in Francia da parte di un folto gruppo di paesi, compresi USA, UE, Cina, India e Italia, noto come il progetto ITER (Figura 1): sono già stati spesi 20 miliardi di euro senza essere ancora riusciti a produrre quantità di energia maggiori di quelle utilizzate. I report scientifici dicono molto chiaramente che la strada sarà lunga e in salita, perché ogni volta che viene fatto un piccolissimo passo in avanti emergono nuovi problemi da affrontare.

Figura 1. Il Tokamak è il cuore del progetto ITER; è infatti la macchina che utilizzando un potente campo magnetico contiene il plasma caldo formato da nuclei di deuterio e trizio che vengono accelerati in modo da acquistare l’energia necessaria alla loro fusione

Presso della National Ignition Facility (NIF) del Laurence Livermore National Laboratory in California (USA) si sta invece studiando il secondo approccio. Il 13 dicembre dello scorso anno i giornali di tutto il mondo hanno riportato con grande enfasi che il gruppo di ricerca dell’NIF ha ottenuto un importante risultato (Figura 2): l’energia di 192 laser focalizzata su una sferetta (pellet) contenente deuterio e trizio ha indotto in pochi nanosecondi la loro fusione, generando una quantità di energia (3,15 MJ) leggermente maggiore a quella iniettata dai laser nella sferetta (2,05 MJ).

Figura 2. L’energia fornita da 192 laser viene concentrata in una sferetta contenente nuclei di deuterio e trizio inducendo la reazione di fusione

La cosa, però, passata sotto silenzio è che i 192 laser hanno consumato circa 400 MJ, ai quali va aggiunta l’energia richiesta dalle altre apparecchiature costruite e utilizzate per preparare e seguire l’esperimento. Oltre a vincere la sfida energetica (produrre più energia di quella consumata), per generare energia su scala commerciale si deve vincere un’altra sfida praticamente impossibile: modificare l’apparecchiatura per far sì che produca energia non per una piccolissima frazione di secondo, ma in modo continuo. La maggioranza degli esperti concorda sul fatto che con questo metodo così complicato è impossibile generare elettricità a costi commerciali competitivi. C’è allora il dubbio, certamente fondato, che i laboratori di ricerca, per assicurarsi gli ingentissimi finanziamenti pubblici necessari, cercano di “vendere” ai decisori e ai cittadini i risultati conseguiti come successi strepitosi e, anche, che la competizione presente da decenni tra confinamento magnetico e confinamento inerziale spinge a dimostrare di essere i più bravi. Bisogna, inoltre, sottolineare che nello sfondo c’è l’inquietante spettro militare, perché il compito primario del NIF non è quello di studiare la fusione per ottenere energia, ma di sfruttarla a fini bellici.

A parte ciò, la fusione nucleare ha molti altri ma.

Il primo ma riguarda il fatto che, indipendentemente dal modo con cui verrà ottenuto questo processo (ammesso che ci si riesca), occorre disporre dei due isotopi dell’idrogeno. Mentre il deuterio è abbastanza abbondante, il trizio è molto raro (è radioattivo e decade con un tempo di dimezzamento di soli 12 anni). Quindi, problema non da poco, ci si imbarca in un’impresa titanica sapendo già in partenza che manca la materia prima. Chi lavora nel settore dice che il trizio potrà essere ottenuto “in situ” bombardando con neutroni il litio 6, cosa che però aggiunge complessità a complessità.

Un’ulteriore ma è connesso alla radioattività indotta dai neutroni (prodotti assieme all’elio nella reazione di fusione) nei materiali che li assorbono, il che vuol dire che la struttura stessa del reattore diventa radioattiva e che, in fase di dismissione, crea scorie. Anche se in questo caso i tempi di decadimento degli isotopi radioattivi non sono così lunghi come quelli creati dalla fissione, è un falso in atto pubblico definire il nucleare da fusione una tecnologia pulita, perché lascia comunque il problema della difficile gestione delle scorie.

C’è poi un grosso ma legato al confinamento magnetico e, in particolare, al fatto che i superconduttori devono essere raffreddati a elio liquido, un gas molto raro e sicuramente non sufficiente per la gestione dei futuri reattori a fusione, dal momento che già ora sta scarseggiando. Qualcuno teme addirittura che a breve non sarà più possibile utilizzare la tecnica NMR, così importante nella ricerca scientifica e, soprattutto, in ambito diagnostico, proprio perché usa come liquido di raffreddamento l’elio.

In conclusione, la storia della fusione nucleare, dagli anni Cinquanta del secolo scorso ad oggi, dimostra che questa tecnologia non riuscirà a produrre elettricità a bassi costi e in modo attendibile in un futuro ragionevolmente vicino.

Nonostante ciò, a marzo di quest’anno, i giornali hanno riportato che ENI, per voce del suo amministratore delegato Claudio Descalzi, vuole puntare tutto sulla fusione nucleare “perché permette di ottenere energia pulita, inesauribile e sicura per tutti: una vera rivoluzione capace di superare le diseguaglianze fra le nazioni e di favorire la pace”. Questa affermazione lascia alquanto perplessi dal momento che non si capisce come i paesi poveri potranno accedere a una tecnologia così sofisticata e costosa.

Descalzi ha, poi, aggiunto che nel 2025 sarà pronto un impianto pilota a confinamento magnetico in grado di ottenere elettricità dalla fusione e che nel 2030 sarà operativa la prima centrale industriale basata su questa tecnologia. Un’altra affermazione che lascia ancora più stupiti, perché sembra che all’improvviso e velocemente verranno risolti i tanti problemi incontrati dagli scienziati che lavorano nel settore da decenni: un vero miracolo! In realtà si tratta di un estremo tentativo di ENI per distrarre le persone, e in particolare i politici, dalla necessità e urgenza di abbandonare l’uso dei combustibili fossili e sviluppare le già mature ed efficienti tecnologie del fotovoltaico e dell’eolico.

Ancora una volta ENI ci vuole illudere di voler cambiar tutto, senza cambiare nulla; la sua classica strategia di mettere sotto il tappeto le emergenze che dobbiamo affrontare immediatamente, per poter continuare a estrarre e vendere combustibili fossili, senza curarsi dei gravi e ben noti problemi causati dal loro uso.

Riferimenti



[1] Il contributo è apparso sul sito di Energia per l’Italia (http://www.energiaperlitalia.it) e sul blog Chimica e Società (https://ilblogdellasci.wordpress.com).