Cara/o lettrice/lettore,
ultimamente inizio i miei editoriali con riflessioni preoccupate per l’attuale crisi energetica, climatica e sociale. Questa volta, invece, torno indietro nel tempo, perché mi è venuto in mente che esattamente 50 anni fa l’Europa si è dovuta confrontare con la prima crisi petrolifera del dopoguerra, in pieno boom economico.
Per fare fronte all’emergenza dovuta alla riduzione della produzione di petrolio e all’embargo deciso dai governi arabi nei confronti degli stati filoisraeliani, furono imposte misure atte a contenere i consumi energetici. Crollarono le convinzioni sull’irreversibilità dei processi di sviluppo che poggiavano sulla crescita durata ininterrottamente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: fu la fine della “golden age”.
In Italia, il 2 dicembre 1973, cominciarono quelle che i diversamente giovani (fra i quali c’è la sottoscritta) ricordano come le “domeniche dell’austerity”.
Nei giorni festivi fu vietato l’uso di auto, di moto, di barche e di aerei privati; con un’esemplare dimostrazione di democrazia nessuno fu escluso: rimasero appiedati anche i ministri e il Presidente della Repubblica.
Potevano circolare solo i mezzi pubblici, quelli di sicurezza e di soccorso, i medici e i parroci; per tutti gli altri la multa era di un milione di lire.
Per limitare i consumi energetici le città ridussero l'illuminazione pubblica del 40% (di notte era possibile accendere solo un lampione su due), i distributori di benzina restarono chiusi dalle 12 del sabato a tutta la domenica, gli uffici pubblici anticiparono la chiusura alle 17,30, ma, soprattutto, i negozi dovevano chiudere le serrande alle 19 e i locali pubblici, cinema, teatri e locali da ballo, dovevano spegnere le luci alle 23. Anche in occasione delle feste natalizie di quell’anno le luminarie furono limitate e non fu data nessuna deroga alla chiusura dei locali, neanche per l’ultimo dell’anno, che la maggioranza degli italiani trascorse a casa con parenti e amici.
Fu sicuramente un periodo di buio, ma solo nel senso stretto della parola (città oscurate, neon di bar e cinema spenti) perché tutto sommato fu un periodo “felice”.
Gli italiani, infatti, accettarono di buon grado queste restrizioni, non ci furono sommosse popolari; anzi, misero a frutto l’inventiva e trovarono altre forme di divertimento. Impararono a organizzare gite di gruppo, scoprendo inaspettate amicizie con i vicini di casa a cui, fino a quel momento, avevano rivolto solo un veloce e asettico “buongiorno”; 11 milioni di biciclette, ma anche tandem, carrozzelle e pattini invasero le vie e le piazze per non rinunciare a trascorrere qualche ora di relax dopo una settimana di lavoro; le palestre si riempirono di novelli sportivi e gli stadi registrarono il tutto esaurito.
Insomma, gli italiani riscoprirono la propria città, muovendosi a piedi o con mezzi di trasporto “lenti”, che permettono di guardarsi attorno con calma e in tutta sicurezza, e ritrovarono valori travolti dalla vita frenetica del boom economico, come le relazioni umane, la solidarietà e l’amicizia.
Oltre a questi aspetti decisamente positivi circoscritti al nostro paese, ci furono altri segnali molto importanti e ancora più positivi che riguardarono tutti i paesi; infatti, cominciarono a emergere preoccupazioni per il modello di progresso su cui era improntata la società, si iniziò a parlare di risparmio energetico, forse per la prima volta in chiave ecologica, e partirono le ricerche per lo sviluppo di fonti energetiche alternative.
L’austerity aveva finalmente indotto l’uomo a ravvedersi e a capire la necessità di un cambio di rotta? Niente di tutto ciò, perché a marzo del 1974 l’embargo del petrolio terminò, dall’aprile dello stesso anno le restrizioni si allentarono ovunque e la crisi energetica piano piano venne dimenticata. Forse sarebbe meglio dire rinnegata, perché l’austerity cedette il passo al consumismo e cominciarono i “favolosi” anni Ottanta, chiassosi e travolgenti.
Mi viene da dire che ancora una volta non abbiamo imparato nulla dalla storia; lo dimostra il fatto che, dopo 50 anni, stiamo di nuovo affrontando una crisi energetica, più pesante e drammatica di quella degli anni Settanta, proprio perché abbiamo perso tanto tempo prezioso per correre ai ripari. Oggi, poi, ci sono due ulteriori aggravanti: la prima ha a che fare con la politica e i politici che, per paura di perdere il consenso popolare, non hanno il coraggio di promulgare leggi chiare, precise e anche dure, come fu per l’Italia il decreto Austerity del 1973, la seconda, invece, riguarda noi e il nostro comportamento. Infatti, siamo diventati sordi a qualsiasi grido di allarme, siamo diventati ciechi di fronte alle attuali e gravi emergenze ambientali e sociali e, in nome della libertà personale, non accettiamo alcun tipo di restrizione o limitazione. In poche parole, chiusi nel nostro egoismo ci siamo dimenticati che apparteniamo tutti allo stesso genere umano, che dobbiamo vivere tutti sullo stesso pianeta e che abbiamo una responsabilità diretta su tutto quanto sta accadendo.
Penso che questa storia delle “domeniche dell’austerity” dovrebbe essere raccontata ai nostri studenti non solo perché ha molti risvolti storici, economici e di costume interessanti, ma soprattutto perché permette di riflettere su aspetti etici e sociali di grande attualità.
E così, con questo mio suggerimento, siamo finalmente approdati alla didattica, la cosa che a noi docenti sta più a cuore. Nel numero del CnS che ti accingi a leggere, come sempre, troverai tanti altri spunti per attività o argomenti da portare in classe: dalla reologia dei polimeri all’uso dell’intelligenza artificiale per decifrare le proteine; dalla complessità del concetto di elemento al contributo di Thomson per l’affermazione del modello atomico della materia e l’interpretazione delle reazioni redox; dalle molte perplessità legate all’uso della fusione nucleare al ruolo insostituibile del suolo e del sottosuolo; dal contributo delle pedagogie e delle discipline per l’innovazione didattica alla storia della Chimica Industriale e Applicata all’Università di Palermo.
Quindi, non mi resta che augurarti buona lettura.
Alla prossima