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Abstract: This insight on the first part of the pathway which led to the widening of the presence of disciplines dealing with applied and industrial Chemistry starts, in 1834, with the institution of the teaching of Chemistry applied to arts and trades and arrives, in 1923, to the stabilization of the school of application for engineers, as institution with legal and administrative autonomy, as premise to the Faculty of Engineering and then to the degree in chemical Engineering.
Keywords: Ingegneria chimica; Chimica applicata; tecnologie industriali; storia della Chimica
Possiamo individuare le premesse didattiche e scientifiche che diedero origine all’istituzione del Corso di Laurea in Ingegneria Chimica nell’Università di Palermo nel nascere e nel progressivo evolversi di quella parte delle scienze chimiche alla quale si accedeva per la soluzione di specifici problemi tecnici, o per la sperimentazione di nuovi processi produttivi; questa parte fu via via definita “applicata” o “docimastica” dal momento che aveva per oggetto minerali, o materiali prevalentemente di uso comune, dei quali studiare, più che le ragioni strutturali, gli aspetti macroscopici del comportamento, nonché le connesse valutazioni economiche e merceologiche.[1]
Questo percorso iniziò nel 1834, quando il Governo borbonico decise di aggiungere all’insegnamento della Chimica [2], presente nel curriculum degli studenti della Facoltà di Medicina dell’Università di Palermo fin dalla sua istituzione nel 1806, anche quello di Chimica applicata alle arti e ai mestieri. Dopo pochi anni, il nome dell’insegnamento perse prima i mestieri e successivamente le arti.
Occorsero sei anni perché la cattedra fosse attivata e primo docente fu Gioacchino Romeo, che era da alcuni anni dimostratore di Chimica, che restò sulla cattedra di Chimica applicata alle arti fino alla sua morte, nel 1844.
Nell’almanacco Reale del 1841 è riassunto il programma del corso che si tiene nel palazzo del Conte Federigo: Tratterò in questo anno de’ corpi semplici e delle loro combinazioni, giusta l’opera di Giuseppe Giulio [?] aggiungendovi le riforme, e scoverte posteriori, e praticherò gli analoghi esperimenti. La lezione si farà a mezzo giorno.
Sulla cattedra di Chimica, diventata col tempo Chimica filosofica e farmaceutica, in quegli anni si erano succeduti Giovanni Meli [3] fino al 1815 e Antonino Furitano dal 1823 al 1836. Nel 1841 Filippo Casoria vinse il concorso e tenne la cattedra fino al 1859. I “vuoti” nella copertura furono causati da scontri interni all’Ateneo per l’attribuzione della cattedra.[4]
Francesco Dotto Scribani, Filippo Casoria
Nel 1840 fu istituita e attivata la nuova Facoltà di Scienze Fisiche e Matematiche nella quale confluirono le due discipline appena citate e i connessi laboratori. L’insegnamento della Chimica restò anche nella Facoltà di Medicina.
Nel 1851 Francesco Dotto Scribani, dimostratore di Chimica filosofica e farmaceutica fu nominato professore sulla cattedra di Chimica applicata alle arti, vacante per la morte di Romeo. I contenuti del suo insegnamento sono sinteticamente esposti nel Prospetto degli studi dell’Annuario scolastico 1859-60: Parlerà delle arti industriali, che dipendono dal trattato dei metalloidi e dall’altro delle loro combinazioni [5]. Dotto Scribani si occupò della estrazione di acido citrico, della concia delle pelli, della utilizzazione di minerali solfatici e dell’industria estrattiva e della purificazione dello zolfo, ma ebbe pochi mezzi per installare un piccolo laboratorio destinato a questo ramo della chimica: due camerette nelle soffitte del Palazzo Universitario, bastevoli appena per ricevere due persone [6].
I rivolgimenti conseguenti allo sbarco di Garibaldi in Sicilia nel maggio 1860 si ripercossero anche sull’Università di Palermo. L’amministrazione provvisoria retta dal prodittatore Antonio Mordini sostituì il rettore padre Filippo Cumbo con Filippo Casoria, coadiuvato dal collegio dei presidi delle Facoltà dell’Ateneo. Casoria fu il primo rettore laico dell’Università di Palermo; morì ad appena un anno dal suo insediamento.
Stanislao Cannizzaro, Emanuele Paternò, la Scuola di applicazione per gli Ingegneri
Il 1860 fu anche un anno cruciale per lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie chimiche nell’Università di Palermo: un decreto del prodittatore Mordini istituì la Scuola di applicazione per gli Ingegneri annessa alla Facoltà di Scienze fisiche matematiche e naturali e Stanislao Cannizzaro tornò a Palermo, per prestare, ove occorresse, l’opera mia per il consolidamento della rivoluzione [7].
L’impostazione didattica della Scuola di applicazione per gli Ingegneri era conforme alla legge sulla pubblica istruzione promulgata a Torino un anno prima. La Scuola avviò i suoi corsi nel 1866. La Chimica applicata, presente nei piani di studio dell’Università da un quarto di secolo, non fu attivata per cinque anni (1862-1867), probabilmente a causa dei lavori di sistemazione del laboratorio di Cannizzaro, che furono completati nel 1867. Il corso riprese nell’A. A. 1868-69, con il titolo Chimica applicata all’Ingegneria, tenuto da Giovanni Campisi, già assistente alla Scuola di Chimica. Dopo un anno, il titolo diventò Chimica applicata alle costruzioni, ancora assegnato a Campisi. L’indecisione tra un titolo più generico e uno molto specifico si risolse nell’A. A. 1875-1876: l’insegnamento, ancora impartito da Campisi, prese il nome di Chimica docimastica e fu inserito nei due corsi della Scuola per conseguire i diplomi di ingegnere civile e di architetto. Dall’anno successivo la cattedra fu tenuta per incarico da Emanuele Paternò fino al 1893 [8].
Sotto la direzione di Cannizzaro l’insegnamento della Chimica, nelle sue diverse declinazioni, si consolidò coinvolgendo un gruppo di collaboratori molto qualificati scientificamente. In particolare, per quanto riguarda gli aspetti applicativi, Cannizzaro tenne l’insegnamento di Analisi di Chimica minerale, coadiuvato da Guglielmo Koerner e Domenico Amato, e la direzione della Scuola di Farmacia, dove Francesco Dotto Scribani insegnava Chimica farmaceutica e tossicologia e Storia naturale dei medicamenti. Tenne, inoltre, la direzione del Laboratorio di Chimica generale e Scuola pratica di Chimica di cui era vicedirettore Giovanni Campisi e preparatori Koerner, Amato e Paternò.
Nel 1872 Cannizzaro si trasferì a Roma. Nell’A.A. 1872-1873 Paternò subentrò a Cannizzaro nella maggior parte delle funzioni svolte da quest’ultimo. Nell’A.A. 1875-76 si formalizzò la divisione, di fatto già esistente, tra il “Corso che apre l'adito alla Scuola di applicazione”, biennale, afferente alla Facoltà di Scienze, e la Scuola di applicazione che diventò triennale. Il corso biennale comprendeva l’insegnamento di Chimica generale (obbligatorio) e altri come Chimica organica, Zoochimica, Chimica applicata all’Igiene (liberi); Teodoro Leone tenne quest’ultimo insegnamento dal 1892 al 1926 [9]. Nel 1891 aveva diretto il Laboratorio chimico municipale di Palermo.
Paternò fu in quegli anni una figura di grande rilievo non solo nella Facoltà di Scienze, ma nell’intero Ateneo palermitano e dal 1885 al 1890 tenne l’ufficio di rettore. Pur appartenendo, per ruolo, formazione e interessi scientifici, alla Facoltà di Scienze, ebbe un peso anche nella Scuola di Applicazione, nella quale furono attivi, come incaricati o come assistenti, ricercatori suoi allievi (Giuseppe Oddo, Vincenzo Oliveri, Gaetano Minunni, Alberto D. Peratoner, Eugenio Manzella).
Osservando la produzione scientifica di Paternò e dei suoi collaboratori negli anni palermitani si nota che quella riferibile alla Facoltà di Scienze è più ampia e diversificata rispetto a quella riferibile ai temi più applicativi delle Scuole di applicazione e di Farmacia. Una minore produzione scientifica derivava non già da disinteresse verso temi specifici della realtà isolana, come la vitivinicoltura – produzione di tartrato acido di potassio (il cremor tartaro) e di acido tartarico, messa a punto di metodi analitici appositi per l’analisi dei vini e l’utilizzazione di zolfo come antiparassitario – o l’industria dei derivati agrumari – estrazione delle essenze e produzione di citrato di calcio e di acido citrico – o ancora l’industria olearia, bensì spesso dalla riservatezza che la committenza imponeva a chi si occupava di specifici problemi aziendali. Nel 1910 Peratoner, chimico torinese assistente di Paternò fin dal 1889, brevettò un interessante metodo di produzione di essenza e acido citrico dai limoni in un unico stadio preparativo [10]. Nell'ampio ventaglio di interessi di quel laboratorio trovavano inoltre posto ricerche sulla chimica dei leganti e dei materiali da costruzione e sulle acque di corpi idrici siciliani. Tra gli assistenti del laboratorio di Chimica docimastica Oliveri, Oddo, e Manzella si occuparono con più continuità di questi ultimi temi.
Nell’A.A. 1892-1893 Paternò si trasferì a Roma. La cattedra di Chimica restò vacante per alcuni anni: ancora nel 1894, all’inaugurazione dell’Anno Accademico, il rettore Giuseppe Gugino riferì che alle richieste di assegnazione urgente di un nuovo titolare il Signor Ministro [...] dichiara, senza prendere alcun impegno, che sarà lieto, se le condizioni di bilancio gliene offriranno modo, di provvedere all'insegnamento della Chimica generale. Che cosa questo significhi si lascia di leggieri comprendere, ed è grandemente doloroso che in tal guisa si rompano le gloriose tradizioni di questo insegnamento nel nostro Ateneo, che creò la scuola chimica in Italia e diede valorosi insegnanti a tutte le Università del regno [11].
Stefano Pagliani, Eugenio Manzella
Dal 1892 la separazione tra Scienze ed Ingegneria per l’insegnamento di materie chimiche nel triennio di applicazione fu pressoché definitiva, mentre restò ancora a lungo appannaggio di Scienze l’insegnamento della Chimica generale nel corso biennale propedeutico. La Scuola di Applicazione trasferì al suo interno l'insegnamento di Chimica docimastica che fu assegnato a Stefano Pagliani, laureato in Chimica a Torino, da due anni titolare della cattedra di Fisica tecnica.[12] Tra gli assistenti alla cattedra di Chimica docimastica prima elencati, solo Manzella restò nel laboratorio di Chimica docimastica e concentrò i suoi interessi scientifici su leganti, materiali da costruzione ed acque. Manzella, laureato all'Università di Palermo in Ingegneria e in Chimica, iniziò la sua carriera universitaria collaborando con Giuseppe Oddo nelle sue prime ricerche sul confronto fra alcuni cementi nazionali ed esteri e sui fenomeni che avvengono durante la loro presa; promosse la fondazione a Palermo dell’Istituto Superiore Commerciale, nel quale insegnò Chimica docimastica, e fu consulente di industrie chimiche del palermitano. Oddo svolse importanti ricerche sia sul versante della chimica organica sia su quello della chimica applicata e industriale: Paoloni, ricordandone i meriti scientifici e il contributo dato allo sviluppo industriale della Sicilia paragona il suo ruolo innovatore a quello di Cannizzaro nel secolo precedente [13].
Nel 1900 la Scuola di Applicazione, nei locali dell’ex convento della Martorana, ospitò un Gabinetto e Laboratorio di Chimica docimastica, diretto da Pagliani, che è uno dei più ampi, comprendendo, oltre a varii locali, una lunga sala per le esercitazioni e varie stanze di lavoro, tutte montate alla moderna, essendo esso Gabinetto di data recente [14].
Sul piano didattico Pagliani affrontò con impegno la Chimica docimastica, che nel programma di insegnamento chiamò analitica: un testo di due pagine, dettagliato e orientato più su argomenti di chimica applicata e industriale che sugli aspetti dell’analisi chimica. Tra i temi trattati: combustibili, metalli e leghe, lubrificanti, materiali da costruzione, coloranti, esplosivi, e l’industria dello zolfo [15], dall’estrazione alla raffinazione. Quest’ultimo argomento era di grande attualità per la Sicilia, allora produttrice dell’85% dello zolfo mondiale. Verso la fine dell’800 cominciò a svilupparsi nell’isola l’industria di raffinazione del minerale e, utilizzando la materia prima locale, la produzione di acido solforico e di fertilizzanti fosfatici. Queste iniziative imprenditoriali, cui furono estranei i proprietari delle cave di zolfo, tradizionalmente sordi alle innovazioni tecnologiche, fecero uso di processi moderni, ed ebbero il loro momento di massimo sviluppo nel primo quarto del secolo seguente, più nella zona costiera della Sicilia orientale, a Catania in particolare [16]. È possibile che in queste iniziative siano stati coinvolti alcuni dei laureati della Scuola di Applicazione provenienti dalle province centro-orientali dell’isola, dato che nel periodo 1882-1907 si laurearono in ingegneria a Palermo una sessantina di giovani provenienti da queste province.
Pagliani lasciò l’insegnamento di Chimica docimastica dopo soli due anni, per tornare, sempre nell’ambito della Scuola, all’incarico di Elettrotecnica. Nel 1918 lasciò l’Università per fare il consulente industriale prima a Roma e poi a Genova.
Nell’A.A. 1903-04 Clemente Montemartini vinse la cattedra di Chimica docimastica bandita dalla Scuola; dopo un anno si trasferì a Torino per tenervi la cattedra di Chimica applicata. Montemartini vide la sua permanenza a Palermo così provvisoria che non cercò casa e restò alloggiato alla pensione Svizzera di via Monteleone. L’incarico venne allora conferito ad Eugenio Manzella, che nel frattempo era diventato “privato docente”[17] di Chimica docimastica e assistente ordinario, In quegli anni Manzella progettò l’Istituto di Chimica Generale e Farmaceutica in via Archirafi [18] e pubblicò un testo didattico di chimica applicata [19]. Il programma del suo corso era orientato verso i materiali da costruzione e solo in appendice forniva nozioni sulla chimica industriale dello zolfo, dei derivati del cloruro sodico e di asfalti e bitumi. Sull’asfalto siciliano Manzella pubblicò una memoria nel 1907. Lo sfruttamento dei giacimenti di bitume si sviluppò a Ragusa, nel 1918 [20]; ancora a Ragusa, negli anni ’50, fu realizzato uno stabilimento per la distillazione di idrocarburi dalle rocce asfaltiche e la loro utilizzazione per la calcinazione del residuo calcareo e la produzione di cemento [21].
Il progetto di attivare una sezione industriale nella Scuola di Applicazione, fortemente propugnato da Michele Capitò, Direttore della Scuola e professore di Idraulica, trovò la sua base normativa con la legge 14 luglio 1907, n. 571. La sezione vide la luce nel 1909, ma Capitò non vide realizzarsi il suo progetto: morì infatti il primo gennaio di quell'anno. La convenzione, citata nella legge istitutiva, prevedeva che la Scuola fosse cofinanziata da Università di Palermo, Comune di Palermo, Provincia, Cassa di Risparmio di Palermo, Camere di commercio di Palermo, Trapani e Caltanissetta, Società Navigazione generale italiana e da un privato, il Comm. Carlo Pintacuda. Il ruolo organico comprendeva un professore ordinario di Chimica industriale, con stipendio di 5.000 lire annue e due incaricati, rispettivamente di Chimica analitica e Chimica docimastica, ciascuno con stipendio di 1.250 lire annue. La Chimica docimastica rimase solo nei corsi per ingegneri civili e per architetti, affidata per incarico a Manzella.
Mario Giacomo Levi
Nell’anno accademico 1908-1909, vinse il concorso di Chimica tecnologica Mario Giacomo Levi, padovano, chimico di grande valore, appena trentenne, ma già con una ampia esperienza di ricerca sia di base sia applicata vissuta prima nell’Università di Padova e poi in quella di Pisa. Durante il periodo padovano, grazie a una borsa di studio, aveva trascorso quasi un anno in uno dei più importanti centri di ricerca sull’elettrochimica del tempo, il laboratorio di Leblanc presso l’Istituto di Chimica Fisica ed Elettrochimica del Politecnico di Karlsruhe, da dove aveva effettuato una ampia ricognizione dei laboratori di ricerca tedeschi. La familiarità verso il tema dell’industria zolfifera gli proveniva dal padre, direttore e comproprietario di una raffineria di zolfo a Padova.
Un filo di continuità collegava Cannizzaro, tramite Paternò e Nasini, a Levi e alla Scuola di Applicazione: Levi fu infatti allievo e stretto collaboratore di Nasini a Padova e, quando Nasini vinse a Pisa la cattedra di Chimica, lo seguì e venne nominato aiuto e incaricato di Chimica applicata.
Quando Levi arrivò a Palermo aveva già pubblicato trentotto tra memorie scientifiche e brevetti, con importanti contributi al campo dell’elettrochimica, sia di base che applicata, con ricerche sulla preparazione di persolfati e di iposolfiti. Tra i suoi oggetti di studio si devono menzionare anche l’azione del catalizzatore nel processo Deacon per la preparazione del cloro, la produzione di acido cloridrico per sintesi dagli elementi, la radioattività dei soffioni boraciferi in Toscana e di alcuni prodotti vulcanici della eruzione del Vesuvio del 1906. A Pisa aveva, inoltre, lavorato sulla preparazione del borace; su questo argomento aveva presentato a Londra, al VII Congresso internazionale di Chimica, una memoria sulla reazione tra cloruro sodico e acido borico, grazie a una delle prime borse di studio istituite su iniziativa di Paternò per permettere a giovani studiosi italiani di partecipare a manifestazioni scientifiche all’estero.
Levi si trovò bene nell’ambiente palermitano, che così ricordò una volta a Bologna: sarei ingrato se non rivolgessi il mio pensiero affettuoso e riconoscente a quella meravigliosa e cara città che, dopo lunga esitazione, ho lasciata per voi. Palermo mi ospitò maternamente per undici anni, avvincendomi con l'azzurro del suo mare e del suo tepido cielo, con il verde profumato dei suoi agrumeti, con la gentilezza ospitale dei suoi abitanti, con gli entusiasmi e la bontà della sua gioventù; a Palermo vissi undici anni di vita operosa nella Scuola fra Colleghi e discepoli carissimi, nell’industria e nella vita cittadina fra salde e non dimenticate amicizie [22].
A Palermo Levi svolse un’intensa attività didattica, di ricerca, organizzativa e di contatto con il mondo industriale e produttivo. Nell’ambito della Scuola di applicazione fondò l’Istituto di Chimica tecnologica dove svolse ricerche sulla decomposizione dei formiati a idrogeno e sull’utilizzazione di zolfo greggio per la lotta contro l’oidio. Nel corso per ingegneri industriali Levi tenne le lezioni di Chimica tecnologica del secondo e del terzo anno, impostando programmi moderni, in cui trovavano posto le tecnologie più aggiornate dell’industria chimica del tempo; tenne, inoltre, per incarico il corso di Chimica analitica, anche in questo caso con un programma impostato modernamente, in cui erano presenti oltre all’analisi chimica inorganica qualitativa e quantitativa per via umida, tecniche di analisi organica e di analisi dei gas. Accanto alla didattica, si occupò con passione dei problemi legati all’affermazione della professionalità del chimico, sia come analista che come addetto all’industria, propugnando la creazione di Facoltà di Chimica industriale che, più e meglio delle Scuole di Applicazione, fornissero le competenze adatte alla piena utilizzazione delle innovazioni che in quegli anni andavano registrandosi nella letteratura scientifica e tecnica [23].
Levi ebbe come aiuto Manzella, che raccolse e pubblicò le sue lezioni di Chimica tecnologica [24].
Nell’Annuario Accademico 1910-11 oltre a Levi, titolare di Chimica tecnologica ed incaricato di Chimica analitica, risultavano afferenti all’area chimica della Scuola di Applicazione: Eugenio Manzella, aiuto di Chimica tecnologica, “privato docente” di Chimica docimastica e incaricato della stessa materia per i corsi di laurea in ingegneria civile e in architettura, Vincenzo Oliveri, “privato docente” di Chimica docimastica, Amedeo Ceccherelli, assistente di Chimica docimastica. Nell’anno accademico successivo diventò assistente di Chimica docimastica anche Agide Piva. Manzella in quegli anni si occupò attivamente dell’utilizzazione delle acque madri delle saline siciliane, compiendo una visita agli impianti della «Salin de Giraud, Bouche-du-Rhône» e presentando un progetto, che non trovò applicazione, sull’estrazione dei sali potassici. Piva collaborò in quegli anni con Levi alle ricerche sulla decomposizione del formiato, sulla reattività e sulla determinazione quantitativa del monossido di carbonio, sulla determinazione del carbonio negli acciai e nelle ghise.
Levi entrò a far parte del Consiglio di amministrazione dell’officina comunale del gas di Palermo, portandovi un contributo di ampia conoscenza delle tecnologie allora adottate nel nostro Paese [25]. Inoltre, seguì lo sviluppo dell’industria mineraria e della chimica inorganica italiana, dell’industria dei sali potassici e del bromo con monografie e relazioni a convegni. Nel 1916 venne nominato componente del Comitato consultivo permanente per l’incremento delle industrie chimiche costituito presso il Ministero dell’Industria. Erano anni di guerra e all’industria chimica veniva chiesto uno sforzo produttivo nel settore degli esplosivi cui doveva corrispondere un’adeguata promozione tecnologica. In Sicilia, in quel periodo, furono attive tredici fabbriche, a Palermo la Carlo Pallme König e la R. Cappello, specializzate nella produzione di glicerina grezza da utilizzare per la produzione di esplosivi [26]; con molte di queste Levi, per la competenza chimica e per la posizione occupata nell’ambito del Comitato, dovette certamente essere in contatto. Fondò a Palermo nel 1918 l’Istituto superiore commerciale e coloniale e ne fu il primo direttore.
Nel 1920-1921, ancora una volta, dopo Cannizzaro e Paternò, un chimico di grande competenza ed esperienza lasciò l’Università di Palermo. Levi fu chiamato dall’Università di Bologna, che gli affidò la cattedra di Chimica docimastica della Scuola di Applicazione; in quella Università fondò, e ne fu il primo direttore, la Scuola Superiore di Chimica Industriale, dalla quale ebbe origine la Facoltà di Chimica industriale. Nel 1927 si trasferì a Milano, al Politecnico, dove coprì la cattedra di Chimica industriale. In quella sede fondò e diresse fino al 1953 l’Istituto di Chimica industriale. Tra il ’38 e il ’45 fu costretto a lasciare prima l’insegnamento e poi il Paese per l’entrata in vigore delle leggi razziali.
Il passaggio delle consegne da Levi a Manzella
A seguito del trasferimento a Bologna, nel marzo del 1921, Levi consegnò i beni dell’Istituto di Chimica tecnologica a Manzella: mobili e arredi per 2.093,65 lire, strumenti scientifici per 18.697,73 lire, libri per 13.676,33 lire [27].
Nell’A.A. 1922-1923 per il corso di laurea in Ingegneria industriale Teodoro Leone ebbe l’incarico anche di Chimica analitica e Antonio Romano e Francesco Occhipinti furono assistenti rispettivamente di Chimica tecnologica e Chimica docimastica.
Manzella restò direttore degli Istituti di Chimica tecnologica e di Chimica docimastica e incaricato di Chimica docimastica per i corsi di Ingegneria civile ed Architettura fino al 1928. Proseguì nello studio sulla produzione di sali potassici, e sulla razionalizzazione dello sfruttamento delle saline che avevano grande importanza nel panorama industriale dell’Isola: alla metà degli anni Venti erano attive quarantasette saline nel trapanese e undici sulla costa orientale, con una produzione complessiva annua di sale marino che nel 1925 arrivò a 214.000 tonnellate [28]. Pubblicò una ricognizione sulle principali attività industriali siciliane [29] e uno studio sulla deterpenazione delle essenze di agrumi. Nel 1925 fu nominato “professore non stabile” di Chimica tecnologica, di cui continuò a tenere i due insegnamenti al secondo e al terzo anno del Corso di laurea in Ingegneria industriale. Anche se tutta la didattica di quegli anni seguì l’impostazione tracciata da Levi, Manzella pubblicò un suo testo di appunti di Chimica tecnologica [30].
Importanti cambiamenti avvennero in quegli anni nello stato giuridico della Scuola, che, con il R.D. del 30.9.1923 n. 2012 sull’ordinamento dell’istruzione superiore fu compresa negli Istituti a carico dello Stato, con personalità giuridica ed autonomia amministrativa, didattica e disciplinare.[31]
L’avvento del fascismo ebbe ripercussioni via via più pesanti nella vita universitaria, fino alle gravi epurazioni che colpirono i docenti ebrei nel 1938 [32]; alla fine di quel ventennio la chiamata alle armi, i lutti e le distruzioni della guerra coinvolsero pesantemente l’Università di Palermo, sia per la morte di numerosi docenti e studenti sia per i gravi danni al patrimonio edilizio.
Nella seconda parte di questo excursus si riprenderanno questi ultimi temi, e in particolare si seguiranno le restanti tappe del percorso verso l’istituzione del corso di laurea in Ingegneria chimica.
[1] Vedere, per esempio, Cosmo Di Giovanni, e Lucchesi, Metallurgia, e docimastica articolo 2. del piano mineralogico formato di real comando da d. Cosmo Di Giovanni, e Lucchesi, per lo sperimento da farsi della natura delle miniere siciliane prima di entrare il real erario nelle grandi spese, Napoli, 1790.
[2] O. Cancila, Storia dell’Università di Palermo dalle origini al 1860, Editore Gino Laterza & Figli, Bari, 2006; R. Zingales, La Chimica a Palermo nel XVIII secolo, La Chimica nella Scuola 2022, 2, pp. 41-47.
[3] [2] L. Paoloni, Giovanni Meli docente di Chimica, comunicazione al Convegno Giovanni Meli tra arcadia e illuminismo, Palermo (1997).
[4] O. Cancila, Storia dell’Università di Palermo, cit. Nelle pp. 304 e segg. è riassunta la sequenza di incarichi interinali, di mancati concorsi e di litigiosi tentativi di attribuzione della Cattedra di Chimica prima dell’assegnazione a Casoria.
[5] Prospetto degli studj della R. Università di Palermo per l’Anno Scolastico 1859-1860, Tipografia Morvillo 1859, p. 11, in M. Romano (a cura di) I docenti della Regia Università di Palermo 1820-1880, pubblicazione dell’Università di Palermo, 2006, p. 111.
[6] Cenno sugli Istituti scientifici dell’Università, Laboratorio di Chimica Generale, in Annuario Accademico della R. Università degli Studi di Palermo 1899-1900, Stab. Tip. Giannitrapani, 1900, p. 93.
[7] S. Cannizzaro, Appunti autobiografici, in Stanislao Cannizzaro, Scritti vari e lettere inedite nel centenario della nascita, Associazione italiana di Chimica generale ed applicata, Tip. Leonardo da Vinci, Roma, 1926.
[8] R. Zingales, Stanislao Cannizzaro e la Scuola chimica palermitana, Boll. Accad. Gioenia Sci. Nat., 2010, Vol. 43, N° 371, pp. 27-40.
[9] T. Leone, Sopra alcune trasformazioni che avvengono nelle acque per effetto dei batteri, Atti della R. Accademia dei Lincei, 1887 (4) 284, Vol. 3.
[10] E. Molinari, Trattato di Chimica Generale ed Applicata all'Industria Vol. II, Chimica organica, Parte I, Quarta edizione, Hoepli, Milano, 1927, p. 612.
[11] G. Gugino, Relazione del rettore, in Annuario della R. Università degli Studi di Palermo 1894-95, Tipografia Lo Statuto, Palermo, 1895, p. 6.
[12] L’Annuario 1890-91 riporta le pubblicazioni di Stefano Pagliani dal 1879 al 1890: dei 24 titoli citati, 10 sono da ascrivere all’area delle Scienze e Tecnologie chimiche e i rimanenti all’area della Fisica tecnica.
[13] L. Paoloni, I progetti di Giuseppe Oddo (1865-1954) per lo sviluppo dell’industria chimica in Sicilia, VII Convegno Nazionale di «Storia e Fondamenti della Chimica», L’Aquila, 8-10 ottobre 1997, in F. Calascibetta (a cura di), Rendiconti della Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, 1997, serie V, vol. XXI, parte II, Tomo II°, 375; vedi anche: R. Noto Giuseppe Oddo: chimico “rivoluzionario” e “irriverente”. Chimica nella Scuola, 2022, 3, pp. 45-49.
[14] Cenno sugli Istituti scientifici…, rif. [4], p. 98.
[15] O. Cancila, Storia dell’Industria in Sicilia, Editori Laterza, Bari, 1995, pp. 181 e segg.
[16] E. Molinari, Trattato di Chimica generale ed applicata all'industria, Vol. I: Chimica inorganica, tomo primo, sesta edizione, Hoepli, Milano, 1939, pp. 434 e segg.
[17] Qualifica che diventò in seguito “libero docente” e rimase in uso nell’Università italiana fino agli anni ’70.
[18] D. Enea, L’architettura del polo universitario di via Archirafi, in Palermo città delle culture. Contributi per la valorizzazione di luoghi e architetture a cura di Giovanni Fatta, 40due Edizioni Palermo, 2014, p. 89.
[19] E. Manzella, Lezioni di chimica applicata, Litografia Longo, Palermo, 1904.
[20] A.A. V.V., Osservatorio economico del Banco di Sicilia, Notizie sull’economia siciliana, 1926.
[21] Nota di redazione, La Chimica e l’Industria, 1954, 36, p. 574.
[22] M. G. Levi, Discorso inaugurale della R. Scuola Superiore di Chimica Industriale, Società Tipografica già Compositori, Bologna, 1922.
[23] Vedi, ad es., M. G. Levi, Considerazioni sopra l’insegnamento della Chimica negli istituti superiori con speciale riguardo a quello della Chimica Tecnologica in L’industria Chimica, Torino, 1913.
[24] M. G. Levi, Corso di chimica Tecnologica 1910-1911, Lezioni raccolte dal prof. E. Manzella e dal Dott. A Ceccherelli, Tip. Gazzetta Commerciale, Palermo, 1911.
[25] M. G. Levi, E. Manzella, Relazione sugli impianti e sul funzionamento delle principali Officine del Gas d’Italia. Confronti, rilievi, proposte per l’Officina di Palermo. Officine Tipo-Lit. Anonima Affissioni, Palermo, 1916.
[26] F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Vol. II, 1985, p. 331.
[27] Registro inventariale dell’Istituto di Chimica tecnologica della R. Università di Palermo, anno 1921.
[28] Osservatorio economico del Banco di Sicilia, rif. [16].
[29] E. Manzella, Uno sguardo alle principali industrie di Sicilia. Tip. Castiglia, Palermo, 1925.
[30] E. Manzella, Appunti di Chimica tecnologica, raccolti e redatti dall’ing. F. Occhipinti. Corso ordinario, 1920-21, Arti grafiche G. Castiglia, Palermo. Il testo venne pubblicato anche nell’anno scolastico 1921-22.
[31] Il 22 febbraio 1926 venne firmato l’atto costitutivo del Consorzio volto ad assicurare all’Università ed alla Scuola i necessari mezzi finanziari.
[32] A. M. Maggio, R. Zingales, La chimica a Palermo tra le due guerre, La Chimica nella Scuola, Numero speciale “Fascismo, Chimica e Scienza”, 2022, pp. 100-115.