Accadde a Parigi … testimonianze

Domenico Misiti

Dipartimento di Chimica e Tecnologie del Farmaco, Università La Sapienza di Roma


Riassunto. L’Autore ricorda due sue testimonianze parigine molto diverse fra loro: la prima durante la contestazione studentesca del maggio francese del 1968 e la seconda in un evento musicale ricco di empatia giovanile.


Premessa

L’amore per Parigi è sempre stato una costante della mia vita. Tanti gli elementi che vi hanno contribuito, sin da quando noi studenti ginnasiali del Liceo romano Torquato Tasso eravamo rimasti colpiti dal fascino della nostra professoressa di francese che con accento nostalgico ci raccontava i giorni passati nella Ville Lumière . Più tardi i racconti osé  dei miei fratelli maggiori avevano così incuriosito me e mio fratello Mario, ai primi anni di Università, da affrontare, dando fondo ai nostri modesti risparmi, un soggiorno di qualche giorno a Parigi. Ma certamente quello che mi lega maggiormente a Parigi è stato il lungo soggiorno di studio in un Centro di Ricerca nella Banlieue  parigina che vi ho passato negli anni 1959 e 1960. Da allora innumerevoli sono state le occasioni di soggiorni parigini, in maggior parte per ragioni accademiche o istituzionali. In effetti nella mia vita accademica, forse per un destino preordinato, sono stato quasi “obbligato ” per lunghi anni a ritornare a Parigi, principalmente per Congressi, o più spesso come Delegato Italiano nella Commissione della Farmacopea Europea e ancora, più tardi, come Delegato Italiano nel Comitato Ambiente dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), Istituzioni entrambe che tenevano le proprie riunioni a Parigi. Moltissimi sono i ricordi dei giorni passati a Parigi, ricordi che ci appartengono e che raccontati sicuramente potrebbero risultare ovvii e banali. Dall’album ideale dei ricordi ho voluto estrarre due testimonianze di segno molto diverso fra loro che mi hanno particolarmente “emozionato” e hanno lasciato il segno, perché riguardano il mondo degli studenti, a me da sempre particolarmente caro.

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Il Maggio Francese

Ero arrivato a Parigi Orly da Roma con un volo Alitalia nel pomeriggio di mercoledì 8 maggio del 1968 e avevo prenotato una stanza nell ’Albe Hotel  che conoscevo già, situato in Rue de la Harpe, strada adiacente alla Place Saint Michel , nel cuore del Quartiere Latino. Dovevo partecipare ai lavori della Commissione della Farmacopea Europea del Consiglio d’Europa nei giorni 9 e 10, che per l’occasione si tenevano in un palazzo in Avenue Kléber , contigua all’Arco di Trionfo. Avevo letto nella stampa italiana che a Parigi era in atto un movimento studentesco di contestazione universitaria, noto come “ Mouvement du 22 mars ”, nato nell’Università di Nanterre , dominata dalla gauche , una delle tante Università presenti nella Region Parisienne . L’onda della contestazione studentesca, nata a Berkeley e in altre Università americane agli inizi del’68, era approdata in Europa e aveva trovato a Parigi ampio seguito. In Italia arriverà con qualche ritardo, anche se sporadici segnali di insofferenza al potere accademico si erano già manifestati.

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La giornata del 9 maggio, ricordo che si svolse senza particolari incidenti, in realtà alle 8 ca. mi ero infilato nella metropolitana a Place Saint Michel  e avevo raggiunto rapidamente Avenue Kléber , dove mi ero trattenuto in Commissione sino alle 18 ca. Il ritorno in Hotel ricordo fu ritardato da un po’ di chiacchiere in un Bistrò  con il Presidente della Commissione, un anziano professore di chimica organica della Sorbonne , innamorato della bellezza di Roma che, animato da una saggezza accademica sicuramente propensa alla “conservazione”, non dava grande peso a quello che succedeva principalmente nel Quartiere Latino. Qualcosa di più appresi leggendo France Soir dove si parlava del polso duro del Generale Charles De Gaulle, dell’atteggiamento più possibilista del Primo Ministro George Pompidou , dell’intransigenza del Corpo Accademico e dello stato di allerta della Polizia Nazionale Francese CRS (Compagnie Republicaine de Sècurité) .

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Il giorno successivo si svolse in modo analogo, ma avevo la sensazione di una tensione crescente nel Quartiere Latino: i Cafés della Piazza erano in stato di allarme, la famosa Papeterie  Joseph Gilbert aveva tolto le bancarelle con i libri che normalmente erano in mostra sul marciapiede.

Gli Hotel tenevano chiuse le porte e la gente andava di fretta con aria circospetta. Si diceva che in altre parti di Parigi le intemperanze degli studenti avessero danneggiato vetrine e locali e che la Polizia avesse fatto degli arresti. Sul giornale che lessi in Metro trovai articoli che parlavano con enfasi di uno dei capi del movimento, il giovane francese di madre tedesca, rosso di capelli, Daniel Cohn-Bendit  e che, fra l’altro, mettevano in risalto le incertezze della sinistra francese e del sindacato CGT  sull’opportunità di schierarsi.

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Al mio ritorno in serata da Avenue Kléber , dove peraltro regnava un’atmosfera di tranquilla normalità, incontrai seri problemi. Nel corso della giornata la situazione si era aggravata, si parlava di scontri duri fra polizia e manifestanti, di feriti e di danni a Montparnasse  e alla Sorbonne .

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Guadagnai a fatica la porta dell’Hotel deciso a rimanerci, accontentandomi di una cena arrangiata nel bar interno. Col passare delle ore le notizie trasmesse dalla radio avevano assunto toni molto preoccupanti; in molte parti del Quartiere Latino si alzavano barricate per opporre resistenza alle forze di Polizia. Dalla finestra giungevano voci agitate, echi di cariche e di gente che scappava. La mia stanza, peraltro confortevole, era situata al primo piano ed era dotata di un balconcino con ringhiera in ferro che costituiva un ottimo punto di osservazione sulla Place Saint Michel  e sulla fine dell’omonimo Boulevard . Fu così che fui testimone della costruzione di una barricata proprio all’inizio della Piazza con i manifestanti sul  Boulevard  e gli agenti della CRS che stringevano l’assedio in un ampio quadrilatero.

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La barricata fu creata come una trincea con macchine rovesciate, con sedie e tavolini accatastati e con materiali vari sbucati da non so dove.

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I ragazzi da una parte lanciavano pietre divelte dal pavè e bottiglie incendiarie e schernivano le guardie con un ritornello ritmato che, sfruttando le assonanze, uguagliava CRS  alle SS , dall’altra parte la Polizia in forze si opponeva proteggendosi con una sorta di scudo, manganellava chiunque si trovasse a portata di mano e lanciava di continuo lacrimogeni che rendevano l’aria irrespirabile.

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Dalle finestre qualcuno gettava acqua sperando di attenuare l’effetto dei lacrimogeni e nell’intento di spegnere le fiamme che bruciavano dappertutto. Il vapore aveva generato una fitta nebbia creando un’atmosfera tragicamente surreale. Mi piace riportare come un giornale del mattino, di cui conservo ancora qualche ritaglio, descriveva la situazione:

“Gli scontri furono estremamente violenti con centinaia di feriti da entrambe le parti e nelle prime ore del mattino le forze CRS decisero di sferrare l’attacco finale alle barricate facendo uso in abbondanza di lacrimogeni. Molti degli abitanti del Quartiere Latino mostrarono solidarietà verso gli studenti inondando con getti d’acqua le strade per neutralizzare i lacrimogeni e spegnere i focolai. Molti dimostranti furono accolti nelle case vicine per proteggersi dalle granate e per evitare di essere fermati. La brutalità dei CRS fu ampiamente testimoniata e descritta dai notiziari seguiti da centinaia di migliaia di francesi. Si è trattato di una vera battaglia che si è protratta per ore e alla fine i dimostranti furono completamente sovrastati e ca. 500 di loro furono fermati. All’incirca alle 6 del mattino fu ristabilito l’ordine che lasciava un Quartiere devastato come se fosse stato colpito da un vero tornado”.

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Sfortunatamente una boule  di lacrimogeno si frantumò sul mio balconcino inondando la stanza e rendendo l’aria irrespirabile. Dalle poche nozioni che ricordavo dell’esame complementare di “Chimica di guerra” credo che si trattasse di un acrilato, liquido persistente, irritante che poteva essere attenuato con lavaggi di bicarbonato. Ciononostante, fu necessario cambiarmi stanza, non dopo essere stato vivacemente rimproverato dal Direttore per aver lasciato aperta la porta finestra della stanza. Il Direttore in fondo era una brava persona che, capii, era comprensivo delle ragioni degli studenti, ne aveva accolti con cautela un paio che erano alla ricerca di un rifugio per non essere presi dalla Gendarmerie ; con loro discutemmo a lungo perché di sonno era inutile parlare. Erano ragazzi entusiasti della borghesia illuminata, forse anche un po’ snob, che mal sopportavano l’ establishment , sicuri di essere nel giusto. Avevano con sé volantini pieni di proclami e anche opuscoli che trattavano le loro rivendicazioni con ironia, anche scherzosamente, e si dimostrarono interessati a parlare con un professore italiano curiosi di conoscere l’atmosfera che si respirava negli Atenei del nostro Paese. Ricordo che mi trovai leggermente impreparato di fronte alle loro domande sulla situazione italiana e che risposi in maniera evasiva con qualche luogo comune, senza convinzione. In effetti non avevo ancora valutato nel giusto valore questo movimento e non volevo fare affermazioni affrettate. Fra le vecchie carte ho ritrovato un giornaletto che raccontava in chiave leggera la storia del movimento e ne ho ritagliato le vignette che vedete accluse nel mio racconto.

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Con gli occhi ancora arrossati nel primo pomeriggio presi l’aereo per Roma sicuro per chi parteggiare. Qualche mese più tardi, quando il movimento studentesco arrivò nelle nostre Università trovai nel parcheggio dell’Università di Camerino, dove insegnavo Chimica Organica, le 4 ruote della mia Punto tagliate in nome del 24 politico e allora, pur conservando molta simpatia per lo spirito di quei ragazzi, qualche dubbio mi è venuto.

Une soirée inattendue

Misiti.pdf La sera in questione è stata quella dell’8 giugno del 1982 e io ero a Parigi per una riunione del Comitato Ambiente OCSE. Da diversi anni facevo parte di quel Comitato, da quando nel 1976, dopo l’incidente chimico di Seveso, ero stato nominato dal Ministero degli Esteri come Delegato Italiano in quel consesso, dove erano presenti le principali Nazioni più significative dal punto di vista economico-industriale. Le riunioni della Commissione si tenevano nella sede centrale, le Chateau de la Muette , nel 16° Arrondissement  che era a buon diritto un quartiere esclusivo e uno dei più eleganti della Capitale francese.

Le riunioni avevano cadenza trimestrale, generalmente con la durata di 2 o 3 giorni all’inizio della settimana. Quel martedì la seduta della Commissione doveva rispondere a un ordine del giorno impegnativo e conflittuale nei riguardi dei Paesi in via di sviluppo, non rappresentati nell’OCSE. La seduta si protrasse a lungo e solo poco prima delle 19 ebbe termine. Leggermente stanco e frastornato dalle lunghe ore di discussione, ero contento di uscire nella piacevole frescura della serata d’inizio estate. Con mia meraviglia mi trovai contornato da una folla di ragazzi e ragazze visibilmente allegri che procedevano compatti occupando quasi tutta la strada. Ebbi una sensazione analoga già provata in occasione dei  derby  romani e incuriosito chiesi garbatamente spiegazione di quel fenomeno. Mi resi subito conto di essere un diverso, un cinquantenne con cravatta e abito scuro   con la mia 24 ore in mezzo a studenti e studentesse in jeans  e maglietta. Credo che il mio look,  per loro non abituale, avesse incuriosito e interessato i ragazzi, perché un gruppetto di loro mi adottò all’istante. Qualcuno con tono rassicurante mi apostrofò con rispetto come si fa con una persona amica non più giovane “Venez avec nous, Monsieur,   vous aller vous amuser ”. Tentato dalla spontaneità dell’invito, prima di accettare volli saperne di più. La compagine giovanile marciava verso l’ Hippodrome d’Auteil  non molto distante, dove si sarebbe svolto il primo concerto europeo della coppia Simon e Garfunkel , riunitasi dopo un lungo periodo di separazione, interrotto con lo storico “The Concert in Central Park”  tenutosi a New York nell’anno precedente. Non ero un frequentatore di concerti da stadio o similari, esperienze in quel senso le avevo solo avute per aver accompagnato mia figlia a sentire il suo cantante preferito Francesco De Gregori.

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Considerai l’occasione un’opportunità unica, conoscevo qualche canzone della coppia come colonna sonora del film “ Il laureato ” che mi era molto piaciuto, ma immaginai che la scenografia di quella serata mi avrebbe fatto sentire più giovane, nonostante l’abito scuro e la mia 24 ore. E, in effetti, la realtà si dimostrò migliore dell’immaginazione. Il concerto iniziò alle 21 e fortunatamente riuscii a trovare un biglietto, che peraltro conservo ancora, per un posto vicino al gruppetto di giovani che mi aveva adottato, qualcuno sorridente, informato della mia qualità di professore, mi chiamava “notre papa italien” .

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Si era fatto buio e all’entrata delle due vedettes  scese un silenzio nell’ippodromo trasformato per l’occasione in una accademia di musica. Cominciarono seguendo il repertorio classico di cui non ricordo la sequenza, ma quando iniziò “ The Sound of Silence ” ci fu un momento magico: l’ippodromo fu illuminato da migliaia di fiammelle degli accendini che i ragazzi agitavano cantando in coro. Allora non c’erano i telefonini; penso, però, che il loro uso sarebbe stato meno romantico. Capii anche perché era così comune l’uso degli accendini, in quei giorni la maggior parte dei giovani fumava e dagli odori che riuscii a percepire non si trattava di solo tabacco. Il concerto andò avanti in una atmosfera sempre più partecipe e calda; ricordo ancora fra le tante ascoltate le canzoni più note da “Mrs Robinson”  a “Bridge over Troubled Water” e ancora “The Boxer”  e tanti bis in un delirio di consensi. Non posso dimenticare la magica atmosfera di quei momenti che forse ai giovani di oggi sembreranno non al passo con i tempi, perché abituati a eventi simili senza tanta retorica. L’amicizia e la simpatia dimostratami da quei ragazzi mi tolse il senso di imbarazzo e non mi sentii più fuori posto, anzi avevo una sensazione rassicurante come quando mi trovavo in mezzo agli studenti in un’aula universitaria. Il concerto terminò a notte inoltrata ed ebbi qualche problema a trovare un taxi disposto a portarmi in Hotel che per quella occasione era vicino al Consolato Italiano nei pressi di Rue Varenne.  Il giorno dopo raggiunsi di buon’ora la Commissione un po’ assonnato e raccontando la mia serata ai compassati colleghi svedesi e danesi con cui ero in buoni rapporti, li trovai increduli, forse convinti che gli italiani hanno grande immaginazione e fantasia.