Acidi e basi da Arrhenius a Brønsted: una vicenda con molti protagonisti
Maria Vittoria Barbarulo1 e Franco Calascibetta2
1Liceo classico europeo Convitto nazionale; 2Gruppo Nazionale di Fondamenti e Storia della Chimica (GNFSC)
e-mail: mvbar.edu@gmail.com; franco.calascibetta@fondazione.uniroma1.it
Indice
1. Alla ricerca dei precursori
2. Le argomentazioni di Paul Pfeiffer e di Alfred Werner
3. Un altro precursore: Leonor Michaelis
4. Conclusioni: l’indiscutibile ruolo di Brønsted
Abstract. Between the two definitions of acids and bases proposed by S. Arrhenius (1887) and J.N. Brønsted (1923), several important chemists have concentrated their interest and efforts to analyze other relevant properties of these classes of compounds. This work aims to illustrate in particular the role of R. Abegg, P. Pfeiffer, A. Werner and L. Michaelis in the development of a more inclusive definition.
Keywords: definizioni di acidi e basi; Johannes N. Brønsted; Alfred Werner; Leonor Michaelis
1. Alla ricerca dei precursori
Johannes Nicolaus Brønsted nel suo articolo “Einige Bemerkungen über den Begriff der Säuren und Basen (Alcune osservazioni sul concetto di acidi e basi)” pubblicato nell’agosto del 1923 [1], ricordava nell’introduzione alcuni scienziati che, negli anni precedenti, avevano tentato di definire in maniera diversa le basi, come specie in grado di accettare ioni idrogeno, senza però sviluppare adeguatamente queste preliminari intuizioni.
Questo è stato il primo spunto per la presente ricerca, nella quale cercheremo di ricostruire quanto venne espresso sull’argomento nel periodo che intercorse tra il 1887, anno della pubblicazione della teoria della dissociazione elettrolitica di Arrhenius [2] e il 1923.
La prima nostra idea è stata quella di ricercare eventuali sviluppi della teoria a opera dello stesso Arrhenius, il quale pubblicò i suoi studi sulla dissociazione elettrolitica quando non aveva ancora raggiunto i 30 anni, rimanendo poi attivo scientificamente quasi fino alla sua morte, avvenuta nel 1927. Questa possibile traccia non ha portato però a risultati significativi. Lo scienziato svedese di fatto cessò presto i suoi studi sugli elettroliti in soluzione e si interessò ad altri temi, quali ad esempio l’influenza dell’aumento della temperatura sulla velocità di una reazione. Successivamente prese a spaziare in altri campi della scienza, verso la fisica e la chimica dei fenomeni cosmici e meteorologici e poi ancora verso lo studio dei cambiamenti climatici, dell’approvvigionamento energetico e della conservazione delle risorse naturali [3].
Durante tutti questi anni Arrhenius continuò certo a pubblicare manuali o a tenere conferenze, in cui ripresentò le sue idee sugli elettroliti e la loro dissociazione, senza però apportarvi sostanziali novità. Leggendo questi scritti, non abbiamo peraltro trovato, inizialmente con nostra sorpresa, una pagina o un paragrafo in cui egli desse di acidi e basi le definizioni che a lui sono universalmente attribuite. Esse sono beninteso implicitamente presenti nei suoi scritti, ma evidentemente non furono mai al centro delle argomentazioni di Arrhenius, costantemente focalizzate sul fenomeno della dissociazione elettrolitica in soluzione acquosa. Del resto, già la sua memoria del 1887 era intitolata “Sulla dissociazione delle sostanze disciolte in acqua” e anche la motivazione per la quale gli fu assegnato il Nobel per la Chimica nel 1903 fu “in riconoscimento degli straordinari servizi che ha reso al progresso della chimica con la sua teoria elettrolitica della dissociazione”. La definizione di acidi e basi era solo un corollario secondario all’interno della teoria. R. Abegg (Figura 1), che fu forse il principale allievo di Arrhenius e autore di un manuale dal titolo “La teoria della dissociazione elettrolitica”, dedicato al suo “carissimo maestro ed amico”, scriveva nell’introduzione [4, p. 4]:
La teoria comprende tutte quelle sostanze che chiamiamo elettroliti, cioè le sostanze che conducono la corrente galvanica … Come ha dimostrato Hittorf, possiamo formulare direttamente l’affermazione che questa conduzione elettrica è la caratteristica essenziale di quelle sostanze note come “sali” in senso più ampio, e di conseguenza gli acidi sono considerati sali di idrogeno e le basi come sali di idrossile. Con ciò è stata formulata per la prima volta una chiara concezione di «sale», di cui una lunga esperienza ci aveva fornito una nozione pratica ma comunque inesatta.
Figura 1. R. Abegg (1869-1910); fonte: Wikimedia Commons
Erano, dunque, le sostanze che in acqua si dissociavano il focus della teoria di Arrhenius, acidi e basi lo interessavano solo in quanto sottoinsiemi dell’insieme globale degli elettroliti.
Nel citato libro di Abegg si trovano comunque in maniera esplicita le formali definizioni di acido e base che scaturivano implicitamente dalla teoria di Arrhenius [4, pp. 5-6]:
La teoria della dissociazione definisce acidi o basi quelle sostanze che contengono H o OH sotto forma di ioni come risultato della dissociazione elettrolitica e chiarisce subito il modo di determinare il grado delle proprietà acide o basiche di un composto, determinando la concentrazione di questi ioni caratteristici.
Questi due ioni determinavano specifiche e peculiari reazioni che Abegg così elencava1.
Gli ioni H*:
1. Cambiano il colore degli “indicatori”; ad esempio, il metilarancio cambia il suo colore in rosso, la soluzione di fenolftaleina rosa si decolora ecc.;
2. Accelerano cataliticamente la decomposizione degli esteri da parte dell’acqua in alcol e acido, l’inversione dello zucchero di canna, l’idrolisi del maltosio;
3. Agiscono come un solvente su molti metalli, marmo, ecc.;
4. Causano il gusto “acido”;
5. Neutralizzano tutte le proprietà caratteristiche degli ioni OH’.
Gli ioni OH’:
1. Modificano il colore degli indicatori nel senso inverso degli ioni H*;
2. Agiscono come saponificanti degli esteri;
3. Accelerano cataliticamente la condensazione dell’acetone all’alcool diacetone (anche la reazione inversa), la conversione dell’iosciamina in atropina e la scomparsa della multirotazione;
4. Neutralizzano tutte le proprietà caratteristiche degli ioni H*.
Come si vede, però, a prescindere dalla definizione in termini di liberazione di ioni H+ o OH–, acidi e basi finivano così per essere definiti anche dalle loro proprietà, nel senso che, se ad esempio una soluzione di cianuro di sodio presentava le proprietà legate a un’alta concentrazione di ioni OH–, questo andava spiegato, visto che NaCN, dissociandosi, non forniva di per sé ioni OH–.
La spiegazione dell’idrolisi basica era data da Abegg in questi termini [4, pp. 76-78]:
Nella soluzione di un sale come NaCl, c’è la possibilità che gli ioni Na* si combinino con gli ioni OH’ dell’acqua per formare NaOH non dissociato, e gli ioni Cl’ con gli ioni H* dell’acqua per formare HCl non dissociato. Sappiamo, tuttavia, dalle conduttività, dai punti di congelamento, ecc., che nessuno di questi due nuovi composti possiede in misura sensibile la tendenza ad assumere lo stato non dissociato, ma che, al contrario, essi sono scissi completamente nei loro ioni.
La questione assume un aspetto diverso quando, ad esempio, è coinvolto il sale fortemente dissociato di un acido o di una base molto debole; in tali casi lo ione dell’acido o della base debole presente nel sale in grande concentrazione trova l’opportunità di unirsi allo ione di acqua necessario per formare l’acido o la base debole. In questo caso avviene la cosiddetta idrolisi, il cui risultato consiste nella scissione di una parte di un sale neutro in acido e base secondo l’equazione
KCN + H2O = KOH + HCN
La basicità della soluzione di KCN in acqua era quindi spiegata dal fatto che la possibilità di formazione di HCN indissociato “sequestrava” parte degli ioni H+, lasciando libero un eccesso di ioni OH–. Ragionamento corrispondente veniva fatto per i sali che davano in acqua reazione acida.
2. Le argomentazioni di Paul Pfeiffer e di Alfred Werner
Come anticipato, nel suo articolo del 1923 Brønsted stesso citò alcuni suoi possibili precursori. Uno di essi era Paul Pfeiffer (Figura 2) che nel 1907 aveva scritto un articolo [5] dal titolo “Contributo alla teoria dell’idrolisi” in cui aveva presentato l’idrolisi stessa in una maniera diversa rispetto a quella di Abegg, sopra ricordata.
Figura 2. Paul Pfeiffer (1875-1951); fonte: Wikimedia Commons
L’articolo di Pfeiffer iniziava con le seguenti considerazioni:
In una serie di pubblicazioni, io e Werner abbiamo dimostrato in dettaglio che i sali si formano da determinati idrossidi metallici mediante l’aggiunta di molecole acide e non da una reazione di sostituzione. Solo secondariamente si ottengono i veri sali, per separazione successiva di una molecola d’acqua.
In altri termini, Pfeiffer proponeva che un sale non si formasse attraverso una reazione di doppio scambio
MeOH + HX → MeX + H2O
bensì tramite una reazione di addizione
MeOH + HX → Me(OH2)X
seguita poi dalla eliminazione di una molecola d’acqua.
Pfeiffer così proseguiva:
Tenendo conto del fatto che il radicale X negativo è presente come ione prima e dopo la formazione del sale, il processo può essere scritto ancora più semplicemente come segue:
MeOH + H+ → Me(OH2)+
La domanda ora è se si tratta di processi reversibili.
In effetti, lo sono: i sali idratati vengono trasformati in idrossidi quando esposti alle basi, con il rilascio di acidi. Ciò che è particolarmente importante, tuttavia, è il fatto che la reazione acida dei sali idratati in soluzione acquosa, cioè la loro idrolisi, consiste in nient’altro che una divisione parziale degli ioni aquometallici nelle molecole di idrossido e negli ioni idrogeno.
Nella soluzione acquosa di un aquosale dobbiamo quindi assumere uno stato di equilibrio tra le molecole dell’idrossido, gli ioni idrogeno e gli ioni dell’aquometallo, secondo l’equazione:
MeOH + H+ ⇔ Me(OH2)+
Questa teoria dell’idrolisi fu sviluppata e giustificata da Werner nei suoi articoli basati su numerosi esperimenti.
Va sottolineato, innanzi tutto, come, nell’equilibrio scritto sopra, l’idrossido e lo ione metallico idratato si trasformino l’uno nell’altro tramite acquisto e cessione di uno ione H+ e che quindi in nuce già nel 1907 cominciasse a prender corpo la diversa definizione per acidi e basi che Brønsted esporrà in maniera più chiara ed esaustiva sedici anni dopo.
Inoltre, come visto, fin dall’introduzione e poi nel corso dell’articolo, Pfeiffer ripetutamente sottolineò il ruolo di Alfred Werner (Figura 3) e dei suoi esperimenti.
Del resto, nel 1907, Pfeiffer era in fondo solo un assistente di Werner a Zurigo ed evidentemente riteneva importante basare le sue argomentazioni sull’autorità dell’illustre maestro. Stupisce se mai che Brønsted, che pure nel corpo dell’articolo del 1923 citò precedenti scritti di Werner, trascurasse comunque di elencare tra i suoi precursori lo scienziato di Mulhouse, che sempre nel 1907 aveva in particolare pubblicato un articolo dal titolo inequivocabile “Sulla teoria delle basi” [6].
La dimenticanza di Brønsted rispetto alle precedenti ricerche di Werner su acidi e basi non sarebbe restata un fatto isolato: molti, nel ricostruire la storia dell’evoluzione dei concetti di acidi e basi, hanno anche in seguito trascurato il contributo nel settore del padre della chimica dei composti di coordinazione, Nobel per la Chimica nel 1913. Colui che di Werner è stato il biografo e lo studioso più attento, George Kauffman, lo sottolineò ancora nel 1973 [7].
Figura 3. Alfred Werner (1866-1919); fonte: Wikimedia Commons
Leggendo il già citato articolo “Sulla teoria delle basi” che introduceva una nuova visione delle basi, si evince come Werner sia stato il primo a evidenziare il ruolo critico del solvente nei fenomeni acido-base. In un anno egli preparò e studiò dieci serie di idrossoammine complesse, che venivano ottenute tramite trattamento dell’aquoammina corrispondente con una base, ad esempio:
[Co(NH3)4(NO2)H2O]X2 + NH3 → [Co(NH3)4(NO2)OH]X + NH4X
Nella reazione sopra scritta notiamo come il comportamento basico dell’ammoniaca è visto in termini di acquisto di ioni H+, anticipazione di quello che si ritroverà più tardi in Brønsted.
Sulla base dei suoi studi, esposti nell’articolo, Werner arrivava inoltre a definire “anidrobasi” quei composti “in grado di combinarsi con gli ioni idrogeno dell’acqua”, precorrendo di nuovo la moderna definizione che si sarebbe imposta a partire dal 1923.
L’errore che Kauffman rimproverò a Werner fu di aver voluto estendere eccessivamente le sue idee, pur valide per i composti di coordinazione e per altre sostanze contenenti gruppi idrossido legati covalentemente all’atomo di metallo. Egli, infatti, giunse ad applicarle anche agli idrossidi ionici dei metalli alcalini e alcalino-terrosi, finendo per teorizzare che le proprietà basiche di questi ultimi composti fossero dovute all’aggiunta di ioni idrogeno provenienti dall’acqua alle molecole non dissociate dell’idrossido del metallo:
[NaOH] + H2O → [Na(H2O)OH] → [Na(H2O)]+ + OH–
Da questo conseguiva che gli ioni OH– che determinavano la basicità della soluzione derivassero dall’acqua e non direttamente dall’idrossido alcalino, il che appare errato. A tale proposito però ci viene da riflettere come nemmeno la definizione di Brønsted sia adatta a spiegare immediatamente la natura basica degli idrossidi alcalini, che in fondo resta ancora meglio descritta dalla vecchia definizione di Arrhenius.
3. Un altro precursore: Leonor Michaelis
Nell’introduzione dell’articolo del 1923, Brønsted citò, oltre a Pfeiffer, un secondo autore, che aveva in qualche misura anticipato l’opportunità di modificare la definizione di base, Leonor Michaelis (Figura 4).
Figura 4. Leonor Michaelis (1875-1949); fonte: Wikimedia Commons
Questo scienziato è ricordato in genere per avere formulato, in collaborazione con la chimica e fisica canadese Maud Menten, una teoria generale sull’azione degli enzimi. Michaelis pubblicò anche, nell’ambito di una collana dedicata alla fisiologia animale e vegetale, una monografia sulla concentrazione degli ioni idrogeno, sulla sua importanza in biologia e sui metodi per misurarla. Di questa monografia esistono in realtà due diverse edizioni, pubblicate rispettivamente nel 1914 e nel 1922. In entrambe, nelle pagine iniziali, l’autore scrisse una breve introduzione ai concetti di acido e base. Nell’edizione del 1914 [8, p. 9] presentò senza alcuna variante le definizioni basate sulla teoria di Arrhenius. Nel 1922, invece, la sua trattazione fu ben diversa [9, pp. 13-16] ed è a questa che Brønsted fece riferimento l’anno successivo.
Ne citiamo qui di seguito ampi passi:
Secondo l’ipotesi di Rutherford-Bohr sulla struttura atomica, lo ione H+ non è altro che un singolo nucleo atomico caricato positivamente senza alcun elettrone (negativo). È la più piccola “struttura di massa” concepibile secondo le idee moderne e trasporta una carica positiva. Poiché non ha alcun guscio di elettroni, può avvicinarsi alle particelle ioniche caricate negativamente più che qualsiasi altro ione positivo. Poiché l’attrazione delle cariche opposte aumenta con il quadrato della loro vicinanza, lo ione H+ può essere trattenuto più saldamente dalle particelle negative rispetto a qualsiasi altro ione positivo caricato singolarmente.
Questo incipit di Michaelis ci è utile per capire come, nel ricostruire l’evoluzione delle definizioni di acidi e basi che si ebbe nel periodo tra il 1887 e il 1923, dobbiamo tener presente il parallelo sviluppo delle conoscenze sulla struttura dell’atomo e sulla natura del legame chimico. Le considerazioni, espresse da Michaelis nel 1922, non sarebbero state certo possibili solo pochi anni prima.
Questa posizione speciale, che Michaelis attribuiva allo ione H+, gli consentiva tra l’altro di dare una spiegazione plausibile alla basicità dell’ammoniaca. Nell’ambito della definizione di Arrhenius si era ricorsi all’ipotesi dell’esistenza dell’idrossido di ammonio. Ma se il cloruro d’ammonio non era una specie molecolare, non c’era motivo di ritenere che questo ipotetico idrossido di ammonio lo fosse.
Per dirla con le parole di Michaelis:
La specie molecolare NH4OH è in effetti molto problematica. Niente ci obbliga ad accettarla, è solo costruita ad hoc per giustificare la formazione dello ione ammonio. Con almeno la stessa giustificazione possiamo spiegare la sua formazione con la seguente reazione: NH3+ H+ → NH4+. Da questo si potrebbe dire: una base è un tipo di molecola intrinsecamente elettroneutra che può legare uno ione H+ e quindi diventa uno ione positivo. Questa è una perfetta analogia con la definizione di un acido: un acido è un tipo di molecola intrinsecamente elettroneutra che si separa da uno ione H+ e quindi diventa uno ione negativo.
In qualche misura qui Michaelis pare avvicinarsi a quella che poi sarebbe stata la definizione di Brønsted.
In considerazioni successive, per far rientrare anche gli idrossidi alcalini in una definizione di basi come sostanze in grado di accettare ioni H+, egli così argomentava:
A prima vista, gli alcali forti non sembrano rientrare in questa definizione di base. Ma questo è solo apparente. Di solito scriviamo
NaOH → Na+ + OH-
e quindi sembra, in effetti, che gli ioni H+ non giochino alcun ruolo in questo caso. Ricordiamo però che il simbolo Na+ non riflette la reale costituzione di questo ione. Gli ioni sono sempre idratati, e anche se in genere non vogliamo includere la quantità indubbiamente variabile di acqua di idratazione nella formula per lo ione Na+, una notazione con 1 mol H2O, cioè (NaH2O)+, non è meno giustificata della notazione Na+.
In questa rappresentazione, tuttavia, lo ione sodio è formato dall’idrossido di sodio mediante l’aggiunta di uno ione H+, non mediante il rilascio di uno ione OH–:
NaOH + H+→ (NaH2O)+
Se non si desidera utilizzare questa notazione, è possibile scrivere altrettanto bene
NaOH + H+ → Na+ + H2O
Ciò significa: una molecola di NaOH lega o consuma uno ione H+ e nel farlo rilascia uno ione Na+ oltre a una molecola di H2O. Ciò includerebbe anche le basi forti nella definizione di base data sopra.
In fondo al paragrafo, però, egli pare fare un passo indietro rispetto alla definizione di base in termini di accettore di ioni H+ adombrata poche righe prima, finendo per dare, per simmetria, un ugual ruolo, che appare in entrambi i casi strumentale, allo ione idrogeno e allo ione idrossido. Infatti, così si esprimeva:
È quindi possibile collegare tutti i fenomeni di natura acida e basica allo ione H+ e fare a meno dello ione OH–; ma questa è solo una possibilità, non una necessità assoluta. In effetti, in alcuni casi è quasi più facile spiegare la formazione dell’anione con l’aggiunta di uno ione OH– piuttosto che con la dissociazione di uno ione H+, ad esempio:
CO2 + OH– → CO3H–
In breve: il rilascio di uno ione H+ è completamente equivalente all’assorbimento di uno ione OH– e viceversa; in molti casi questi due processi sono così equivalenti tra loro che non possiamo essere costretti da alcun fatto a decidere a favore di una o dell’altra visione.
Un acido è una molecola elettricamente neutra che dissocia gli ioni H+ (o aggiunge ioni OH–); una base è una molecola che dissocia gli ioni OH– (o aggiunge ioni H+).
4. Conclusioni: l’indiscutibile ruolo di Brønsted
Come scritto all’inizio, la nostra ricerca si era in partenza proposta di analizzare meglio il percorso che tra il 1887 e il 1923 portò alla nuova definizione di base, come specie in grado di accettare ioni H+. In questi studi abbiamo in effetti trovato anticipazioni, sia pure parziali, che contribuiscono a indicare la definizione di Brønsted come il punto di arrivo di un processo in cui anche altri portarono il loro contributo. Occorre però riconoscere in conclusione che da ciò il ruolo del chimico danese nella vicenda non risulta affatto sminuito. Come visto da uno di noi in un precedente articolo [10], nel contesto dei suoi interessi nei vari campi della chimica fisica, Brønsted, a partire dal 1913, aveva studiato la solubilità degli elettroliti e la deviazione delle loro soluzioni dal comportamento ideale. Il suo approccio di ricerca empirico, che si affiancò alla trattazione teorica che Debye e Hückel stavano portando avanti negli stessi anni, lo indica comunque a pieno titolo come uno dei principali eredi della linea di ricerca in cui si era mosso Arrhenius, prima di lasciarla per altri interessi.
Tra le sostanze di cui Brønsted studiò la solubilità, un ruolo importante lo svolsero i composti di coordinazione, in particolare le cobaltammine. Ciò lo portò a riprendere i lavori di Werner e della sua scuola e le sue idee su acidi e basi, diverse da quelle derivanti dall’approccio di Arrhenius.
Da queste radici concettuali, Brønsted giunse di conseguenza alle sue riflessioni, potendo contare anche sull’evoluzione dei concetti di struttura atomica e legame chimico avvenuta nei primi decenni del XX secolo. Su tutto ciò egli costruì un quadro di riferimento completo che seppe trattare con esemplare chiarezza, estendendone le applicazioni ai suoi studi sulla catalisi degli anni successivi.
Da questo punto di vista, il ruolo di Brønsted nel capitolo sugli equilibri acido/base non fu certamente marginale ed episodico, mentre non si può dire lo stesso del contributo coevo, che T. M. Lowry portò all’argomento [11].
Vale la pena ricordare che Lowry stesso avrebbe riconosciuto il ruolo più significativo svolto da Bronsted in un suo articolo del 1927 [12] in cui affermò:
La novità è da ricercare nella conclusione perfettamente logica di Brønsted che l’anione di un acido è anche una base o accettore di protoni, in considerazione del fatto che può combinarsi con un protone per formare una molecola dell’acido non dissociato.
Ciò giustifica in parte quanti, come R. P. Bell, ritennero poco rilevante il ruolo di Lowry e preferirono attribuire sostanzialmente solo a Brønsted il merito principale della nota definizione [13, pag. 4].
[1] J.N. Brønsted, Recl. Trav. Chim. Pays-Bas, 1923, 42, 718.
[2] S. Arrhenius, Zeitschrift für Physikalische Chemie, 1887, 1, 631.
[3] H.A.M. Snelders, Arrhenius, Svante August, in Dictionary of Scientific Biography. Charles Scribner’s Sons. New York, 1970, 1, 296.
[4] R. Abegg, The Electrolytic Dissociation Theory translation from the German by C. L. von Ende, John Wiley & Sons, New York, 1907.
[5] P. Pfeiffer, Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, 1907, 40, 4036.
[6] A. Werner, Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, 1907, 40, 4133.
[7] G.B. Kauffman, Ambix, 1973, 20, 53.
[8] L. Michaelis, Die Wasserstoffionenkonzentration, Verlag von Julius Springer, Berlin 1914.
[9] L. Michaelis, Die Wasserstoffionenkonzentration, Verlag von Julius Springer, Berlin 1922.
[10] F. Calascibetta, CnS, 2024, 1, 148.
[11] T.M. Lowry, J. Soc. Chem. Ind., 1923, 42, 43.
[12] T.M. Lowry J. Chem. Soc., 1927, 2565.
[13] R.P. Bell, The Proton in Chemistry, Cornell University, New York, 1973.
1 Nel libro di Abegg le cariche positive e negative degli ioni erano indicate rispettivamente con i simboli * e ’.