Inclusione attraverso le discipline: il caso della Chimica

Eleonora Aquilini

Divisione di Didattica della Società Chimica Italiana

e-mail: ele.aquilini6@gmail.com



Indice

1. Introduzione

2. La narrazione come strumento di inclusione: il contributo di Jerome Bruner

3. Il nostro lavoro in classe

4. Conclusioni

Riferimenti bibliografici



Abstract. In recent years, schools have become familiar with acronyms that categorise the case history of disadvantage. Without detracting from the recognition that certain functional characteristics of individuals exert on learning, one observes an excessive categorisation of forms of hardship that proves paralysing for the educational action of curricular teachers. A dangerous drift of medicalisation of all forms of discomfort is noted, in view of an ideal state of well-being that in reality does not exist. In fact, there is instead a continuum between so-called “normality” and the most serious forms of malaise. The impression is that the concept of inclusion, which should characterise everyday schooling, is fragmenting into bureaucratic classifications followed by pedagogical interventions entrusted to non-experts in the discipline.

Keyword: inclusione, disagio; storia; chimica



1. Introduzione

Negli ultimi anni le scuole hanno familiarizzato con acronimi quali DSA, BES, PDP che categorizzano la casistica dello svantaggio e le modalità di intervento dispensative e compensative. Senza nulla togliere al riconoscimento che determinate caratteristiche funzionali degli individui esercitano sull’apprendimento, si osserva un’eccessiva catalogazione delle forme di disagio che si rivela paralizzante per l’azione educativa degli insegnanti curricolari. Come riferisce Maurizio Muraglia [1], si rileva una pericolosa deriva di medicalizzazione di tutte le forme di disagio, in vista di un ideale stato di benessere che in realtà non esiste. Di fatto, esiste invece un continuum fra la cosiddetta “normalità” e le forme più gravi di disagio. L’impressione è che il concetto di inclusione, che dovrebbe caratterizzare il fare scuola quotidiano, perché intesa come modo di favorire l’apprendimento tenendo conto delle peculiarità di ogni alunno, si stia frammentando in burocratiche classificazioni a cui seguono interventi pedagogici affidati ai non esperti della disciplina. Nelle scuole, l’intervento di neuropsichiatri e operatori del sociale, sebbene importante, tende a esercitare sui docenti un’azione deresponsabilizzante. Di fronte a diagnosi che non si risparmiano a nessuno, i docenti arretrano rispetto al loro mandato di insegnare a coloro che ne hanno più bisogno. La collaborazione fra insegnanti di sostegno e docenti curricolari è spesso inesistente o occasionale.

In questo scenario, la proposta di insegnamento inclusivo non deve limitarsi a rispondere ai bisogni degli studenti con disabilità, ma deve essere un modello di pratica educativa che coinvolge ogni alunno, senza distinzione, promuovendo un apprendimento che rispetti le diversità e che arricchisca tutti gli studenti, creando un ambiente scolastico più accogliente e stimolante.

In questo contributo si racconta di una collaborazione efficace fra l’insegnante di sostegno e l’insegnante curricolare in una classe terza di un liceo artistico, che ha portato a risultati buoni in termini di apprendimento “possibile”, considerando il grado di disagio dei tre alunni coinvolti. L’argomento di studio ha riguardato la scoperta fondamentale del 1772 di Lavoisier, in cui si comprende che nella combustione del fosforo e dello zolfo è coinvolta l’aria. La narrazione ha avuto un ruolo essenziale nell’apprendimento per tutti gli allievi della classe e, in particolare, per i soggetti più fragili.

2. La narrazione come strumento di inclusione: il contributo di Jerome Bruner

Jerome Bruner, psicologo e pedagogista, ha sottolineato l’importanza della narrazione come mezzo attraverso il quale gli esseri umani costruiscono significato e comprendono il mondo [2]. Nella sua visione, la narrazione non è solo un modo per trasmettere informazioni, ma un vero e proprio strumento cognitivo che aiuta gli individui a strutturare la loro esperienza e a dare ordine a fenomeni complessi.

Bruner suggerisce che, per rendere l’apprendimento più significativo, i contenuti devono essere presentati attraverso storie o narrazioni che permettano agli studenti di fare connessioni tra le nuove informazioni e le esperienze personali. Questo approccio aiuta a rendere l’apprendimento meno astratto e più ancorato alla realtà e alla vita quotidiana degli studenti.

Nel contesto dell’inclusione scolastica, la narrazione diventa un potente alleato per supportare gli studenti con difficoltà, poiché permette loro di entrare in contatto con concetti complessi in modo più accessibile e coinvolgente. La narrazione offre una dimensione emotiva e relazionale all’apprendimento, rendendo ogni contenuto più importante e significativo. Inoltre, consente agli studenti di dare voce alla propria esperienza e di sentirsi parte integrante del processo educativo.

Nel nostro approccio didattico, l’uso della narrazione ha avuto un ruolo centrale nel facilitare l’apprendimento di concetti scientifici complessi, come nel caso dello studio delle scoperte di Lavoisier. Raccontare le sperimentazioni scientifiche non solo ha permesso di chiarire i contenuti, ma ha anche stimolato la curiosità e la partecipazione attiva degli studenti, favorendo una maggiore comprensione e inclusione.

Assimilando, con un nesso forse azzardato, il lavoro che facciamo in classe a quello degli psicoanalisti, ci sembra suggestivo il pensiero di Antonino Ferro riguardo agli “ingredienti” necessari per la buona riuscita della psicoterapia [3]:

La benevolenza, la fiducia nel metodo, la capacità di accecarsi di fronte ad ogni realtà che non sia quella della stanza di analisi (della classe)”. Nel teatro della classe “permettiamo la vita e la luce se facciamo buio totale sul fuori. Ciò non vuol dire, beninteso, togliere spessore alla realtà storica o esistenziale che sia, ma permette che si carnifichi lì, unico luogo dove può essere trasformata… solo quello che noi pensiamo che viva lì può essere visto e trasformato.

In questa prospettiva, pensiamo che prendersi cura degli alunni attraverso le discipline permetta di creare quello spazio nel quale permettiamo la vita e la luce facendo buio fuori! Il buio deve essere fatto, almeno parzialmente, sulle patologie che definiscono e medicalizzano gli alunni.

3. Il nostro lavoro in classe

La proposta che facciamo per la chimica in una classe terza riguarda la chimica classica. Facciamo percorsi didattici che, attraverso la contestualizzazione storica ed epistemologica, affrontano i concetti di base della chimica, utilizzando la narrazione come strumento per l’apprendimento significativo dei concetti [4]. In una scuola come la nostra, un liceo artistico, questo modo di lavorare risulta particolarmente efficace e i risultati sono generalmente buoni per tutti.

Nel momento in cui si presenta un ostacolo durante una spiegazione teorica, la risposta è quella di non “forzare la comprensione”, ma di dare spazio all’esperienza di ciascuno e alla discussione di gruppo. Questo permette agli studenti di affrontare i concetti chimici attraverso il vissuto, rendendo l’apprendimento meno astratto e più tangibile.

3.1 I dati: la classe, gli alunni, i fatti

Antonio, Daniela e Adele (nomi di fantasia in questa descrizione) si trovano in una classe numerosa con molti ripetenti e personalità spiccate. La classe è, tutto sommato, gradevole. Essendo una terza, all’inizio si sono formati gruppi per classe di provenienza, ma presto si sono amalgamati. Con l’insegnante di chimica, il rapporto si è costruito nel tempo. Con l’insegnante di sostegno, il rapporto di fiducia sembra esserci dall’inizio dell’anno scolastico.

Di seguito, vengono riportati i disturbi dei tre alunni, così come indicati nelle schede individuali.

Antonio: Disturbo della comunicazione e della relazione. Disturbo espressivo recettivo del linguaggio. Ritardo cognitivo di grado lieve, diagnosticato nel primo ciclo (attualmente non rilevato). Fragilità emotiva. Dalla prima classe della scuola superiore segue il percorso curricolare.

Daniela: Difficoltà negli apprendimenti, soprattutto in area logico-matematica. Sviluppo cognitivo ai limiti della norma. Epilessia parziale. Discreta autonomia sociale. Dalla prima classe della scuola media superiore segue il percorso differenziato.

Adele: Ritardo cognitivo di grado lieve, associato ad atteggiamenti emotivo-ansiosi. Macrosomia. Obesità. Dalla prima classe della scuola media superiore segue il percorso differenziato.

3.2 Come li vedo io (docente di chimica)

Antonio è un furetto sempre in ansia: deve dimostrare di essere all’altezza. Se ha bisogno, cerca me e Paolo. Ha rapporti preferenziali con gli adulti. Adele e Daniela sono misteriose: la prima sta in guardia, la seconda disarma con il suo aspetto sofferente. Sembrano pacifiche, “rassegnate”, timide. Adele è la più allegra delle due. Se sollecitate, parlano volentieri con me e sono molto gentili. Sono molto contente di essere considerate.

3.3 Come li vede Paolo (l’insegnante di sostegno)

Antonio ha incontrato difficoltà all’inizio dell’anno ad integrarsi. Col tempo, la situazione relazionale è notevolmente migliorata. Daniela e Adele si siedono a volte accanto, a volte no. Interagiscono tra loro e con altre 2-3 ragazze della classe. Sembrano comunque serene e a loro agio nella classe.

3.4 La proposta

Si riporta qui una schematizzazione del lavoro fatto in classe relativamente alla prima parte del percorso di didattico che affronta l’opera di Lavoisier e che è stato oggetto di verifica [4].

Esperienze di combustione in laboratorio: legnetti, candela, …

Esperienza in laboratorio: Calcinazione del ferro e dello zinco in crogiolo e misura della variazione di massa.

Alle origini della Rivoluzione Chimica: la Teoria del Flogisto spiega la combustione e la calcinazione.

La calcinazione dei metalli, la combustione e il paradosso della variazione della massa/peso.

La rivoluzione chimica e la scoperta fondamentale di Lavoisier (1772): il ruolo dell’aria nella combustione e nella calcinazione dei metalli.

I recipienti chiusi e la conferma delle ipotesi di Lavoisier: 1) il principio di conservazione della massa/peso; 2) l’aria partecipa alle reazioni di calcinazione dei metalli e di combustione.

Esperienza in laboratorio: misura della massa di un recipiente aperto e chiuso sede di una reazione chimica (acido cloridrico + carbonato di calcio).

La combustione del fosforo, dello zolfo e la calcinazione dei metalli in bagni pneumatici: l’intuizione della natura non elementare dell’aria. Riflessione sulle due esperienze che seguono.

Esperienza in laboratorio: La combustione dello zolfo in bagno pneumatico con indicatore.

Esperienza in laboratorio: La combustione di una candela in bagno pneumatico e il ruolo dell’aria

3.5 Proposta uguale per tutti e…le verifiche?

La prima verifica è stata diversificata per Adele e Daniela. Le altre verifiche per tutti e tre gli studenti sono state uguali a quelle date per gli altri studenti della classe. All’inizio è stata una prova … poi lo abbiamo fatto per sperimentare la effettiva “comprensibilità” della proposta didattica. Nella valutazione si è tenuto conto delle difficoltà maggiori affrontate dalle ragazze. Per Antonio non c’è stato bisogno di valutazione differenziata.

3.6 Compito in classe esemplificativo dei risultati dei tre alunni

1. Per quale motivo Lavoisier ha criticato la teoria del flogisto nella calcinazione?

2. In seguito a quale esperienza fu fatta la scoperta fondamentale del 1772?

3. Descrivere l’esperienza della calcinazione dello zolfo in ambienti chiusi e scrivere la legge di conservazione del peso.

Le risposte di Antonio

1. Lavoisier scoprì che questa teoria era falsa perché introdusse il concetto di peso facendo degli esperimenti sulla calcinazione, pesando le sostanze prima e dopo la calcinazione. Lavoisier scoprì che il peso del metallo calcinato era maggiore del peso del metallo. Egli disse che, se il flogisto fosse esistito, sarebbe uscito dal metallo e il peso del metallo calcinato avrebbe dovuto essere minore.

2. Lavoisier nel 1772 scoprì due cose molto importanti: lo Zolfo e il Fosforo, trasformandosi in acido solforico e acido fosforico, assorbono aria; i metalli, calcinandosi, assorbono aria.

3. Racconto dell’esperienza: In un recipiente chiuso contenente acqua, mise una vaschetta contenente zolfo. Con una lente d’ingrandimento mandò i raggi solari sullo zolfo, che cominciò a bruciare. Lo zolfo bruciando diventava acido solforico, con la reazione l’aria all’interno del recipiente si consumava e l’acqua saliva. Pesò lo zolfo diventato acido e scoprì che era aumentato di peso. Quindi lo zolfo bruciando si era trasformato in acido e aveva assorbito aria, diventando più pesante. La stessa cosa succedeva per i metalli.

Nella valutazione della verifica di Antonio, che avevamo giudicato molto buona, avevamo dato il voto 9/10. Qui c’è stato un episodio che vale la pena di raccontare. Antonio, quando abbiamo riconsegnato i compiti, aveva chiesto di abbassare il voto perché pensava, date le sue difficoltà scolastiche, che fosse stato un voto di incoraggiamento e non equiparato a quella degli altri. Allora, per farlo contento, avevamo cancellato il 9 e scritto 8.5. Poi mi ha chiesto se, in realtà, ero convinta della valutazione precedente. Quando l’ho rassicurato, abbiamo dato il voto 9, scrivendo così: 9 convinta!!!

Le risposte di Adele

1. Lavoisier critica la teoria del flogisto nella calcinazione. (Poi non si capisce) Pesa il metallo e gli dà fuoco, e poi lo ripesa e vede che il peso è uguale; quindi vuol dire che il flogisto non esiste.

2. In pratica, Lavoisier prende una sfera con dentro una bacinella con lo zolfo e l’acqua più l’aria, poi prende una lente d’ingrandimento e fa andare i raggi nella sfera in modo che prenda fuoco lo zolfo. Dopo questo, prende l’aria che c’è dentro la sfera in modo che diventi acido solforico. Levando l’aria, l’acqua si alza perché non ha più la pressione. Poi scopre l’ossigeno.

Le risposte di Daniela

1. Lavoisier fa l’esperimento del fosforo e dello zolfo, prendendo un pallone di vetro e mettendoci dentro zolfo. Ha preso una lente di ingrandimento e ha visto che lo zolfo prende fuoco.

2. Lavoisier critica la teoria della calcinazione perché, rifacendolo, scopre che il peso iniziale pesa meno del peso iniziale.

3.7 Cosa abbiamo capito … fino ad ora

La proposta didattica che abbiamo fatto funziona anche con ragazzi che hanno difficoltà, in quanto il livello di astrazione è compatibile con le capacità medie della classe. Ci sono differenze sostanziali fra i risultati ottenuti da Antonio e quelli ottenuti da Daniela e Adele. Queste differenze sono state valutate rispetto al livello medio raggiunto dagli alunni della classe.

I risultati di Antonio, ragazzo che s’impegna molto nello studio per superare le sue difficoltà, sono assimilabili a quelli di un’altra ragazza con BES che fa parte della classe che sembra trovarsi a suo agio con questo tipo d’insegnamento.

Entrambi hanno raggiunto gli stessi risultati dei “bravi” della classe.

Per le osservazioni fatte fino a questo momento si ritiene che la proposta fatta presenti un buon grado di comprensibilità rispetto ad alunni certificati (non gravi) e con BES.

Adele e Daniela, in relazione alle loro capacità, hanno mostrato un forte interesse nell’esperienza, un impegno altrettanto forte nel tentativo di comprensione delle problematiche e un soddisfacente livello d’interpretazione dei contenuti presentati. L’esperienza ha sicuramente la loro integrazione nella classe e il rapporto con l’insegnante.

4. Conclusioni

L’esperienza qui riportata dimostra che un approccio inclusivo, che considera le diversità non come ostacoli ma come ricchezze da valorizzare, può fare la differenza nell’apprendimento di ciascun alunno. Le pratiche adottate in questa classe non solo hanno favorito l’apprendimento dei concetti di chimica, ma hanno anche contribuito a costruire una comunità scolastica più coesa e rispettosa delle diversità. In un mondo sempre più globale e interconnesso, è fondamentale che la scuola prepari gli studenti non solo a confrontarsi con il sapere, ma anche a sviluppare competenze relazionali e sociali che li accompagneranno per tutta la vita.

Riferimenti bibliografici

[1] M. Muraglia, Insegnare 2023, https://www.insegnareonline.com/rivista/scuola-cittadinanza/torsione-concetto-inclusione (ultimo accesso 4 marzo 2025).

[2] J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 1997, p.135.

[3] A. Ferro, Evitare le emozioni, vivere le emozioni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007.

[4] C. Fiorentini, E. Aquilini, D. Colombi, A. Testoni, Leggere il mondo oltre le apparenze: per una didattica dei concetti fondamentali della chimica, Armando, Roma, 2007.



Appendice

Normativa sull’Inclusione

L’inclusione scolastica in Italia si fonda su una solida base normativa che riconosce il diritto all’istruzione di tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro condizioni fisiche, psichiche o cognitive. Tra i principali riferimenti legislativi, troviamo:

Legge 104/1992 - Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità. Questa legge è la pietra miliare della normativa italiana sull’inclusione, sancendo il diritto all’educazione per gli alunni con disabilità e promuovendo l’integrazione nelle scuole ordinarie.

Decreto Ministeriale 27 dicembre 2012 - Istruzioni per la redazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI), che fornisce le linee guida per l’inclusione degli studenti con disabilità, stabilendo modalità di personalizzazione del percorso educativo.

Legge 170/2010 - Disposizioni in materia di disturbi specifici di apprendimento (DSA), che garantisce il diritto di accesso agli strumenti compensativi e dispensativi per gli studenti con DSA, al fine di favorire un percorso educativo adeguato alle loro esigenze.

Legge 107/2015 (La Buona Scuola) - Introduce il concetto di “scuola inclusiva” come uno degli obiettivi principali della scuola italiana, con particolare attenzione alla personalizzazione dei percorsi didattici per tutti gli studenti.

Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 - Fornisce indicazioni per garantire la partecipazione degli alunni con bisogni educativi speciali (BES) all’attività scolastica, favorendo un approccio inclusivo che consideri le diverse difficoltà di apprendimento.