Riflessioni sulla ricerca didattica della Chimica: l’esempio del percorso sulla combustione nella scuola primaria

Carlo Fiorentini

Vincitore 2024 della Medaglia Gabriello Illuminati della SCI

e-mail: cl.fiorentini@virgilio.it

Indice

1. Introduzione

2. L’osservazione del fenomeno della combustione

3. Conclusioni

Riferimenti bibliografici



Abstract. Taking the topic of combustion as an example, this contribution discusses the fundamental role of critical reflection on didactic experimentation, an aspect that is highly emphasized in terms of principles, but little analyzed and explored in its essential specific functions.

Keywords:ricerca didattica; combustione, definizione di combustione; il ruolo dell’aria; riflessione epistemologica, psicologica e pedagogica



1. Introduzione

La ricerca didattica della chimica dovrebbe avere, a nostro parere, come compito fondamentale quello di costruire un curricolo verticale dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado, capace di realizzare un insegnamento significativo, in grado, cioè, di garantire a tutti gli studenti, con apprendimenti profondi e duraturi, le conoscenze e le competenze necessarie per una cittadinanza consapevole: un compito, molto impegnativo, la cui realizzazione non può nascere se non dall’incontro di molteplici competenze, da quelle di tipo epistemologico e didattico disciplinare, da quelle psicologiche e pedagogiche, a quelle connesse a una riflessione critica sull’esperienza didattica. Per usare un termine molto in voga oggi, si può affermare che la ricerca sul curricolo si situa sul terreno della complessità; essa esclude qualsiasi approccio riduzionista, il quale non può che essere insignificante o deleterio negli esiti educativi.

Nelle considerazioni precedenti sulla significatività delle conoscenze vi è un aspetto imprescindibile che è implicito, ma che per maggior chiarezza è bene esplicitare: per essere significativi i saperi, oltre che fondamentali ed essenziali, devono essere adeguati alle strutture cognitive e motivazionali degli studenti. Pensiamo, infatti, che sia impossibile far diventare significative le conoscenze troppo lontane dalla possibilità di essere comprese, nonostante tutti i tentativi fatti per favorirne la comprensione attraverso la laboratorialità. Nell’insegnamento scientifico gli esperimenti, di per sé, non sono concettualmente evidenti e non garantiscono la significatività. Come tutta la riflessione epistemologica ha messo in evidenza, gli esperimenti sono carichi di teoria. Per costruire quindi ipotesi di curricolo verticale della chimica basate sugli esperimenti, è indispensabile un’analisi, fondata sul piano epistemologico e psicologico, dei concetti scientifici per individuare, in via ipotetica, quei concetti e quegli esperimenti più adatti alle varie età. Un’impostazione basata sugli esperimenti potrebbe essere altrimenti una variante più vivace del nozionismo disciplinare specialistico.

I concetti scientifici che si trovano, ad esempio, nei manuali della scuola secondaria di primo grado sono per la maggior parte totalmente inadeguati; in quanto molto formalizzati non possono essere insegnati in modo laboratoriale, ma soltanto trasmessi dall’insegnante all’interno di un’impostazione sistematico-deduttiva. Questi concetti rappresentano un immane ostacolo epistemologico per la maggior parte degli studenti anche nella scuola secondaria superiore se essi non vengono affrontatati con modalità e tempi adeguati.

Ricordo le molte ricerche effettuate negli ultimi decenni da cui emerge che la maggioranza degli studenti alla fine della scuola secondaria superiore ha conoscenze inadeguate nelle varie discipline scientifiche e un atteggiamento prescientifico; entrambi (conoscenze e atteggiamento) fanno sostanzialmente riferimento al senso comune. La mancanza di comprensione si riferisce anche ai concetti più elementari della struttura delle varie discipline e non solo a quelli più formalizzati. Ora è sufficiente pensare a quale riorientamento gestaltico abbiano dato origine, per esempio, le teorie di Galileo, Newton, Lavoisier e Darwin, per rendersi conto come anche i concetti basilari dell’organizzazione specialistica delle discipline scientifiche siano tutt’altro che elementari sul piano epistemologico e psicologico.

In questo contributo prenderò in considerazione, con un esempio, il ruolo fondamentale della riflessione critica sulla sperimentazione didattica, un aspetto molto sottolineato sul piano dei principi, ma poco analizzato e approfondito nelle sue imprescindibili funzioni specifiche. Ovviamente gli aspetti teorici multidisciplinari precedentemente indicati non sono meno importanti e sono quelli maggiormente sviluppati. A questi aspetti abbiamo dedicato un libro, dove le parti fondamentali sono le considerazioni epistemologiche, quelle psicologiche e pedagogiche, quelle dedicate a una proposta metodologica e curricolare per il primo ciclo di istruzione e, infine, quelle riferite a una proposta metodologica e curricolare per il secondo ciclo [1].

2. L’osservazione del fenomeno della combustione

Il percorso sulla combustione, come si può leggere nella sua più recente versione [2], è caratterizzato da varie parti che potrebbero dare l’impressione di essere state progettate fin dall’inizio con questa struttura. In realtà rappresenta l’esito di un processo sviluppatosi durante decenni. La prima proposta è presente in un libro per la scuola primaria, La prima chimica, pubblicato trentaquattro anni fa [3]1. Negli anni successivi il percorso è stato modificato più volte sulla base degli insegnamenti che emergevano dalla sperimentazione didattica effettuata, in questo lungo lasso temporale, da migliaia di insegnanti della scuola primaria. In particolare, ci si riferisce agli insegnanti di quelle scuole che avevano, con l’avvio dell’autonomia scolastica nel 1999, costituito gruppi di ricerca e sperimentazione sul curricolo verticale scientifico, o che avevano aderito all’azione di sistema promossa dalla Regione Toscana a partire dal 2010, i Laboratori del Sapere Scientifico [4]2, promuovendo tale struttura nella propria scuola.

La prima versione del percorso consisteva in un’unica esperienza, che viene riportata qui per esteso [3, pp. 41-42].

Esperienza n. 1 - La combustione

Effettuate la combustione di diverse sostanze (carta, alcol, legnetti, carbone di legna), invitando gli alunni a osservare e descrivere le varie fasi del fenomeno. La combustione delle diverse sostanze permette di cogliere differenze, somiglianze e relazioni di seguito elencate.

1. Per iniziare la combustione è necessario l’innesco, ma l’innesco è diverso da sostanza; è possibile elencare le sostanze impiegate in ordine di difficoltà di innesco. L’accensione del carbone è quella più difficile, è necessario riscaldarlo energicamente con un altro combustibile di facile accensione quale, per esempio, l’alcol. È utile effettuare l’esperienza anche con il carbone; infatti, è importante che gli alunni acquisiscano operativamente l’idea che l’innesco necessario per iniziare la combustione debba essere in certi casi molto energico.

2. Tutte le sostanze si consumano, ma mentre l’alcol sparisce completamente, la carta, il legno e il carbone lasciano delle ceneri.

3. Alcuni combustibili emettono del fumo (generalmente di colore biancastro), altri no.

4. Mentre alcuni combustibili si consumano velocemente, altri bruciano più a lungo.

5. Durante la combustione si verifica sempre l’emissione di luce e calore, ma è facile osservare che il colore della fiamma non è sempre lo stesso.

6. È possibile mettere in relazione la difficoltà di innesco con il tempo di combustione; infatti, generalmente, i combustibili che si accendono con più difficoltà la mantengono più a lungo.

Alla fine di questa accurata attività di osservazione e descrizione, è possibile indicare le caratteristiche che permettono di riconoscere i combustibili; sulla base delle somiglianze precedentemente rilevate, i combustibili possono essere definiti come quella classe di sostanze che, quando vengono innescate, emettono luce e calore e si consumano più o meno completamente. Nella scuola elementare, oltre a questo concetto di tipo operativo non si può andare; potrebbe sembrare poco ma, in realtà, costituisce un’acquisizione importante; se vogliamo che l’alunno se ne impadronisca realmente è necessario un lungo lavoro.

L’insegnante effettua le esperienze di combustione e sollecita i bambini a osservare attentamente, ma non deve fornire, nella fase iniziale, nessuna indicazione; probabilmente non tutti i bambini saranno in grado di cogliere i diversi aspetti del fenomeno; sarà forse necessario ripetere le esperienze; un’analisi accurata del fenomeno potrà emergere dal confronto delle opinioni della classe nel suo insieme. Infine, soltanto, quando i bambini saranno arrivati a cogliere le somiglianze e le differenze, si potrà passare a una fase più formale; questa può consistere sia nella costruzione di tabelle che nella descrizione precisa del fenomeno.

2.1 Un’impostazione significativa sul piano epistemologico, psicologico e pedagogico

Questa prima versione del percorso ha, a nostro parere, un’impostazione significativa sia dal punto di vista epistemologico che psicologico e pedagogico. Viene infatti proposta l’osservazione di una trasformazione in modo non ingenuo, ma consapevole di ciò che può essere ricavato da un’impostazione fenomenologica.

L’esperienza di insegnamento della chimica nella scuola secondaria di secondo grado, in istituti tecnici, nei quindici anni precedenti mi aveva fatto comprendere la grande dissonanza cognitiva e emotiva esistente tra gli studenti e l’insegnamento tradizionale della chimica, basato su conoscenze teoriche molto formalizzate della chimica del Novecento, dove si forniscono spiegazioni di fenomeni che non sono, tuttavia, conosciuti dagli studenti. Mi convinsi conseguentemente che l’insegnamento della chimica nel primo ciclo e nel primo anno della scuola secondaria superiore dovesse essere caratterizzata da un’impostazione fenomenologica3. Tutto ciò veniva corroborato da studi effettuati, a partire dal 1980, sia di storia, epistemologia e didattica della chimica, che di tipo psicologico e pedagogico, in particolare di Dewey e Vygotskij.

Generalmente l’argomento della combustione viene affrontato sia nella scuola primaria che secondaria di primo grado con l’esperimento della candela accesa, collocata in una bacinella piena di acqua, che si spegne quando viene messa sotto un recipiente di vetro. Immediatamente vengono ricavate le conclusioni che la combustione è un fenomeno che avviene grazie alla combinazione con l’ossigeno, che la candela si spegne perché l’ossigeno si è consumato completamente e, infine, che l’ossigeno è circa un quinto dell’aria, come si comprende dall’innalzamento dell’acqua (senza tenere conto del fatto che l’innalzamento del livello dell’acqua è dovuto principalmente al raffreddamento dell’aria interna al recipiente in seguito allo spegnimento della fiamma e che l’ossigeno viene “rimpiazzato” dalla formazione di anidride carbonica e vapore acqueo che condensa sulle pareti del contenitore)4.

Questo è un esempio dei tanti, che si trovano nei sussidiari e nei manuali della scuola secondaria di primo grado, di nozionismo sperimentale e di totale inconsapevolezza epistemologica e psicologica. Si traggono delle conclusioni sostanzialmente non adeguate, che non possono, inoltre, essere ricavate dall’osservazione dell’esperimento.

La conclusione che si deve ricavare da queste riflessioni è, allora, quella che della combustione è meglio non parlare nella scuola primaria? Tutt’altro, la conclusione è che ci si deve limitare a un approccio fenomenologico. La combustione è sicuramente già conosciuta dai bambini della terza classe della scuola primaria; nella vita quotidiana probabilmente più volte è loro capitato di assistere a fenomeni di combustione, quali l’accensione di un fiammifero, dei fornelli di una cucina a gas, o di un braciere con carbone o legna. Ma la conoscenza spontanea di questa fenomenologia, come in generale di tutte le fenomenologie, è irriflessiva, inconsapevole, asistematica, in quanto si verifica essenzialmente attraverso i sistemi della rappresentazione attiva e in particolare iconica. Approccio fenomenologico dovrebbe significare, quindi, essenzialmente attivazione del sistema simbolico, perché se ci si limitasse ai sistemi attivo e iconico si farebbero pochi passi in avanti rispetto alla conoscenza di senso comune. Poi, in particolare, se la fenomenologia facesse già parte dell’esperienza quotidiana, l’attività didattica sarebbe sostanzialmente inutile, se invece non ne facesse parte si avrebbe comunque un ampliamento della base esperienziale. Le fasi della rappresentazione attiva e iconica non vanno evidentemente saltate, ma non ci si può fermare ad esse.

Nel primo ciclo scolastico, la prima fase dell’attività didattica non può non essere generalmente che l’esecuzione di alcuni esperimenti di combustione, per mezzo dei quali gli studenti rinnoveranno determinate immagini mentali familiari.

Noi pensiamo che questo possa essere assunto come un principio generale: anche quando la fenomenologia in oggetto è molto presente nella vita quotidiana occorre sempre prevedere come prima fase un’attività di sperimentazione e/o di osservazione.

Riteniamo che la costruzione del significato, in particolare nella scuola di base, non possa fare a meno del contatto diretto con le cose. Pensiamo, infatti, che le seguenti considerazioni educative di Dewey [5, p. 333] rappresentino un assioma del processo educativo:

Tentare di dare un significato tramite la parola soltanto, senza una qualsiasi relazione con la cosa, significa privare la parola di ogni significazione intellegibile; è contro questo tentativo, una tendenza purtroppo prevalente nell’educazione, che i riformatori hanno protestato. […] In primo luogo, essi (i simboli) rappresentano per una persona questi significati solo quando essa ha avuto esperienza di una qualche situazione rispetto a cui questi significati sono effettivamente rilevanti. […] Inoltre, vi è la tendenza ad ammettere che ovunque vi sia una definita parola o forma linguistica, vi sia anche un’idea definita; mentre, in realtà, sia gli adulti che i fanciulli possono adoperare formule verbalmente precise, avendo solo la più vaga e confusa idea di ciò che esse significano. È più proficua la genuina ignoranza perché è facilmente accompagnata da umiltà, curiosità ed apertura mentale; mentre l’abilità a ripetere frasi fatte, termini convenzionali, proposizioni familiari, crea la presunzione del sapere e spalma la mente di una vernice impenetrabile alle nuove idee.

Le considerazioni precedenti di Dewey sono state dagli attivisti generalmente interpretate in modo riduttivo, distorcendone il pensiero; esse erano immediatamente precedute dal seguente passo [5, p. 332]:

Presa alla lettera, la massima “insegna le cose, non le parole” o “insegna cose prima che parole” sarebbe la negazione stessa dell’educazione; ridurrebbe la vita mentale a semplici adattamenti fisici e sensoriali. Imparare, in senso rigoroso, non significa imparare cose, ma i significati delle cose, e questo processo implica l’uso di segni o del linguaggio nel suo senso generico. Parimenti, l’avversione contro i simboli di alcuni riformatori dell’educazione, se spinta agli estremi, implicherebbe la distruzione della vita intellettuale, dato che questa vive, si muove, ed ha la sua stessa possibilità di esistenza in quei processi di definizione, astrazione, generalizzazione e classificazione che solo i simboli rendono possibili.

Le esperienze sono indispensabili, ma solo a patto che si realizzi il processo di concettualizzazione. La profondità è necessaria per motivi psicologici e didattici; difatti la comprensione dei concetti, anche più elementari, non è possibile con singole esperienze, ma solo all’interno di una rete di relazioni. Il significato risiede sempre nel collegare una certa esperienza ad altre esperienze [6, pp. 11-16]. Ne discende che l’attività di insegnamento-apprendimento dovrà essere progettata non per brevi segmenti didattici, che non consentono, anche con le migliori esperienze, di costruire conoscenze significative, né di sviluppare competenze.

2.2 I limiti didattici della prima versione del percorso della combustione

La prima versione del percorso della combustione ha, invece, evidenti limiti sul piano didattico che si comprenderanno appieno confrontandola con le successive versioni. La descrizione del percorso indica chiaramente le consapevolezze che è possibile ricavare dall’osservazione, ma è molto generica per quanto riguarda le modalità didattiche del coinvolgimento degli alunni nella costruzione della conoscenza. Venivano demandate completamente agli insegnanti le scelte metodologiche e organizzative dello svolgimento delle attività. Il bilancio delle sperimentazioni dei primi anni Novanta, dopo la pubblicazione della Prima Chimica, mostrava luci e ombre, da una parte il grande interesse, la meraviglia, che suscitavano negli alunni gli esperimenti di combustione e, dall’altra, la grande difficoltà nel coinvolgimento di tutti gli studenti nella concettualizzazione.

Gradualmente in quegli anni maturò la convinzione che la richiesta di osservare aveva poco significato se non era accompagnata dalla richiesta di una verbalizzazione scritta individuale, aspettandosi non una risposta esauriente da parte di ciascun alunno, ma un’ipotesi di descrizione. Se invece la richiesta di osservazione veniva affrontata soltanto con una discussione collettiva, la maggior parte degli alunni rimaneva passiva e anche quelli che partecipavano alla discussione contribuivano prevalentemente con interventi brevi, riferiti ad alcuni aspetti. E quindi il contributo fondamentale alla realizzazione di una descrizione significativa, dal punto di vista della successione spazio-temporale, era prevalentemente quello dell’insegnante. Si arrivava così a conclusioni adeguate con il coinvolgimento apparente degli alunni, ma con una loro attività cognitiva molto limitata e con una diminuzione di interesse nell’arco del tempo da parte di quegli alunni che generalmente non intervenivano.

Queste sperimentazioni e considerazioni portarono all’ideazione della proposta metodologica delle cinque fasi [1, pp. 223-234], che attribuisce grande importanza, dopo l’osservazione e prima della discussione, alla seconda fase, quella della verbalizzazione scritta individuale. Essa fu stimolata, dal punto di vista psicologico, dalla lettura di Pensiero e Linguaggio di Vygotskij, pubblicato in Italia nel 1990, nella versione integrale curata da Luciano Mecacci [7].

Negli anni successivi furono effettuate molte altre sperimentazioni con l’utilizzo della metodologia delle cinque fasi che resero possibile la formulazione della seconda versione del percorso [8]. Si era, inoltre, compreso che era necessario descrivere in modo dettagliato lo svolgimento delle varie attività da effettuare nelle cinque esperienze di combustione. Si riporta la descrizione della prima esperienza [8, pp. 76-77].

Prima esperienza - La combustione della carta

1. Disponete il laboratorio di scienze o l’aula in modo tale che tutti alunni possano osservare bene il fenomeno. Ponete un foglio di carta sul piatto e innescate con un fiammifero. Ripetete l’esperimento al buio per potere osservare bene la fiamma. Al termine invitate gli alunni a toccare il piatto per permettere loro di sentire il calore procurato dalla combustione.

2. Chiedete agli alunni di descrivere individualmente per iscritto il fenomeno osservato, dando la seguente consegna: “Descrivi l’esperienza della combustione della carta in modo che sia chiaro ciò che è accaduto anche a chi non era con noi”. La descrizione individuale permette agli alunni di riflettere sull’esperienza vissuta, di ordinare in modo sequenziale le fasi dell’esperimento e di coglierne alcuni aspetti significativi. Alla descrizione può seguire la richiesta di disegnare il fenomeno: con il disegno gli alunni possono mettere in luce aspetti non rilevati nella descrizione scritta (ad esempio l’emissione di fumo). Introducete, utilizzandoli fin dalla prima esperienza, i termini combustione e innesco in modo che gli alunni possano familiarizzare con queste nuove parole.

3. Proponete la lettura ad alta voce di alcune descrizioni che possono essere più complete e ricche di particolari, ma anche quelle eseguite con meno cura e attenzione; in entrambi i casi si può stimolare una discussione con gli alunni che proporranno correzioni, modifiche, ampliamenti.

4. Infine, potete proporre ad ogni alunno di arricchire il proprio lavoro con i suggerimenti ricavati dalla lettura delle descrizioni dei compagni e dalla discussione successiva.

Per la seconda esperienza, la combustione dell’alcol, viene indicato di procedere in modo simile. Alla fine, si propone di confrontare le due descrizioni per cogliere somiglianze e differenze e arrivare, così, a individuare ciò che è comune alle due combustioni. Si propone poi di facilitare il confronto con una tabella in cui siano inseriti i materiali e gli aspetti fondamentali osservati. Per quanto riguarda le altre esperienze di combustione, dei legnetti, della carbonella e del sasso, si propone direttamente di inserire nella tabella le caratteristiche principali osservate. Infine, si chiede individualmente agli alunni di definire la combustione.

2.3 L’aria è necessaria alla combustione

Negli anni successivi, intorno al 2007, emerse l’esigenza di concettualizzare il ruolo dell’aria nella combustione. Infatti, nel corso di alcune sperimentazioni erano state formulate domande e considerazioni sull’aria da parte degli alunni, in particolare quando si cercava di innescare la combustione con legnetti o carbonella. Inoltre, alcuni insegnanti avevano fatto osservare la combustione della carta anche tenendo il foglio di carta sollevato con una pinza.

In una descrizione del percorso del 20085, viene introdotto il paragrafo l’aria e la combustione di seguito riportato.

Effettuiamo il seguente esperimento: mettiamo sopra un piatto una candela e accendiamola; dopo qualche minuto collochiamo sopra la candela un becher di vetro da 1l capovolto. Dopo che gli alunni hanno osservato, chiediamo di fornire una spiegazione di quello è successo. Se è necessario, ripetiamo più volte l’esperimento. Operiamo poi in questo modo: quando la candela è vicina a spengersi, alziamo il becher per osservare che la combustione riprende come all’inizio. Gli alunni potranno alla fine condividere la seguente conclusione: la combustione della candela, mentre si verifica per poco tempo sotto il becher, dove c’è una quantità limitata di aria, dura a lungo in spazi aperti, fino a quando tutta la candela non si è consumata.

Effettuiamo successivamente un altro esperimento: mettiamo sopra due piatti due candele e accendiamole; collochiamo poi sopra di esse due becher di vetro capovolti, caratterizzati da volumi diversi, ad esempio uno di 250 cc, e l’altro di 1 l. Dopo che gli alunni hanno osservato, si chiede innanzitutto se hanno constatato qualche differenza. Se la risposta fosse negativa anche solo per qualche alunno, è necessario ripetere l’esperimento, misurando il tempo di accensione della candela nei due casi. A questo punto, si chiede loro di rispondere individualmente alla seguente domanda: “Come mai la combustione della candela dura più a lungo quando il volume del recipiente di vetro capovolto è più grande?” Le ipotesi dei bambini saranno le più diverse e, in certi casi, anche fantasiose; vi sarà chi parlerà dell’ossigeno che si è consumato, vi sarà che dirà che nel secondo recipiente vi è più aria, ecc. Dalla discussione sarà ricavabile per tutti gli alunni l’ipotesi che la combustione della candela avviene facilmente in ambienti aperti, dove vi è un ricambio costante di aria. In ambienti chiusi, invece, la candela si spenge tanto più velocemente, quanto minore è l’aria a disposizione.

Chiediamo agli alunni di rispondere individualmente alla seguente domanda: “la presenza dell’aria, la necessità di spazi aperti è necessaria anche per le altre combustioni?” Molto probabilmente il problema era già emerso in precedenza, durante l’osservazione e la discussione degli esperimenti precedenti: ora è il momento di sistematizzare le riflessioni già fatte. Sicuramente si era già constatato che la semplice combustione della carta si verifica con modalità molto diverse, come, d’altra parte, si era constatato la necessità di ricambio dell’aria per l’innesco della carbonella, ecc.

Effettuiamo infine questo esperimento: appallottoliamo uno dei due fogli di carta uguali e, reggendo il foglio disteso e quello appallottolato con delle pinze, li inneschiamo. Risulta evidente che il foglio appallottolato, a differenza di quello disteso, brucia più lentamente. Ragionando e discutendo con gli alunni circa questo diverso comportamento si giunge alla conclusione che una spiegazione plausibile di questo fenomeno risiede nel fatto che il foglio disteso abbia una maggiore superficie esposta all’aria rispetto a quello appallottolato.

2.4 L’aria occupa tutti gli spazi vuoti

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, intorno al 2007 le sperimentazioni avevano fatto emergere l’esigenza di chiarire il ruolo dell’aria nella combustione. L’aria, in quanto tale, veniva invece data come ovvia, cioè assunta come conoscenza di senso comune. Soltanto intorno al 2010 altre sperimentazioni sollevarono il problema che l’aria, di per sé, non poteva essere accettata solo come conoscenza di senso comune, ma doveva in qualche modo essere osservata e concettualizzata. Avevamo da molto tempo consapevolezza dell’ostacolo epistemologico costituito dall’aria e in generale dai gas. È sufficiente ricordare che Torricelli soltanto nel 1644 fu in grado di comprendere con l’ipotesi del peso dell’aria il fenomeno che si verificava con tubi pieni di mercurio capovolti in una bacinella contenente mercurio. Ma poiché pensavamo che queste problematiche non potessero essere affrontate nella scuola primaria, ritenevamo che fosse sufficiente la conoscenza di senso comune per concettualizzare il ruolo dell’aria nella combustione. Stimolati dalle sperimentazioni di alcune insegnanti ritenemmo, infine, necessario un primo approccio all’osservazione dell’aria, andando oltre il senso comune, con dei semplici strumenti quali una bacinella piena di acqua e delle bottiglie.

In una descrizione del percorso del 20106, viene introdotto il paragrafo l’aria occupa tutti gli spazi vuoti, di seguito riportato.

Generalmente, benché anche i bambini piccoli conoscano la parola aria, non ci si rende conto dell’esistenza dell’aria; l’aria è in un certo senso un’entità metafisica. L’aria diventa evidente nella sua materialità quando viene messa in movimento rispetto alla situazione di equilibrio; l’aria è così associata al vento, alla sensazione che si ha andando in motocicletta o in auto con i finestrini aperti, ecc.

In situazioni statiche, in equilibrio, l’aria non si percepisce, e ci comportiamo come se non esistesse. Sono ovvie, ma anche emblematiche, le affermazioni che facciamo di fronte a recipienti di vario tipo (bicchieri, bottiglie, becher, ecc.) non contenenti nessun liquido: diciamo che sono vuoti. In realtà contengono l’aria, ma non ce ne rendiamo conto.

Sono tuttavia sufficienti alcuni semplici esperimenti per rendersi conto che l’aria esiste sempre ed occupa tutti gli spazi vuoti, cioè non contenenti liquidi e solidi. Ci si rende conto che una determinata quantità di aria, come i solidi e i liquidi, occupa un determinato spazio.

Prendiamo una bottiglia ed una bacinella sufficientemente grande da poter muovere in ogni direzione la bottiglia. Capovolgiamo e spingiamo verso il fondo la bottiglia vuota dentro la bacinella piena di acqua; operiamo in modo tale che tutti gli alunni possano constatare la resistenza incontrata spingendo la bottiglia; chiediamo agli alunni che cosa osservano e quale spiegazione danno del fatto che l’acqua non entra completamente nella bottiglia. Dopo che si è arrivati alla condivisione del ruolo dell’aria contenuta nella bottiglia capovolta, a partire dalle ipotesi individuali scritte da ogni alunno, incliniamo la bottiglia in modo tale da far uscire lentamente l’aria; si osserva la formazione di bollicine e si constata contemporaneamente la salita dell’acqua nella bottiglia in corrispondenza alla diminuzione di aria; anche in questo caso arriviamo alla condivisione a partire dalle ipotesi individuali. Infine, chiediamo agli alunni se è possibile travasare l’aria da un recipiente a un altro nelle condizioni sperimentali precedenti. Effettuiamo poi l’esperimento inclinando la bottiglia piena di aria sotto un altro recipiente anche esso capovolto dentro la bacinella ma pieno di acqua.

2.5 Un ostacolo epistemologico non previsto

Negli anni successivi ben presto ci si rese conto dalle sperimentazioni che le richieste del primo degli esperimenti precedenti non erano realistiche e che, quindi, le aspettative erano eccessive: «chiediamo agli alunni che cosa osservano e quale spiegazione danno del fatto che l’acqua non entra completamente nella bottiglia». In realtà la maggioranza degli alunni, pur constatando la resistenza che si incontra nello spingere la bottiglia dentro l’acqua contenuta nella bacinella, non si rendevano conto che l’acqua non entra completamente nella bottiglia e ancor meno che la causa di ciò fosse l’aria contenuta all’interno della bottiglia. Occorreva modificare le richieste. Alcune colleghe proponevano di facilitare l’osservazione facendo la domanda: “secondo voi la bottiglia si è riempita d’acqua?” Inoltre, proponevano di ripetere l’esperienza dopo avere incollato un pezzetto di carta all’interno della bottiglia e di fare constatare agli alunni che esso rimaneva asciutto. Con altre colleghe ritenevamo, invece, che fosse importante che gli alunni si trovassero di fronte a una difficoltà, a un fenomeno in parte osservabile e in parte misterioso, e che arrivassero solo alla fine delle varie esperienze a comprendere il ruolo dell’aria, in altre parole che l’ostacolo venisse superato dopo avere vissuta una situazione problematica. Modificammo in questo modo la richiesta: “chiediamo loro, di rispondere, con una verbalizzazione scritta individuale, alla richiesta: “che cosa osservate?” Realizziamo poi un altro esperimento e chiediamo di nuovo agli alunni che cosa osservano: incliniamo la bottiglia in modo tale da far uscire lentamente l’aria; si osserva la formazione di bollicine e si constata, contemporaneamente, la salita dell’acqua nella bottiglia in corrispondenza alla diminuzione di aria. Raccogliamo le loro risposte sia dopo il primo che il secondo esperimento, e dopo averle lette, organizziamole in modo opportuno per la discussione. Può capitare che la maggior parte degli alunni comprenda il primo fenomeno solo quando la bottiglia viene inclinata ed escono le bollicine di aria” [2, p. 9].

2.6 Un’altra modalità più significativa di conduzione della discussione collettiva

Nell’anno scolastico 2013-2014 una collega della scuola primaria del Laboratorio del Sapere Scientifico dell’istituto comprensivo di Scarperia raccolse in una tabella tutte le risposte degli alunni di una classe terza primaria alla domanda: che cosa significa “sciogliersi”?

La lettura di queste risposte ci aprì un mondo. Scoprimmo la complessità delle risposte degli alunni. Le risposte riguardavano anche le fasi successive del percorso delle soluzioni che si riferivano alla permanenza del soluto nelle soluzioni, alle ipotesi di spiegazione della solubilizzazione e alla comprensione della differenza tra solubilizzazione e fusione. Comprendemmo che costituivano un’importante risorsa per lo sviluppo del percorso se, analizzandole, fossimo stati in grado di organizzarle in un modo proficuo allo sviluppo consapevole dei concetti.

Negli anni successivi introducemmo questa modalità di condurre la discussione collettiva nei momenti più impegnativi di tutti i percorsi. Precedentemente avevamo individuato altre due modalità [1, pp. 229-230]. La terza modalità si è dimostrata particolarmente significativa da molti punti di vista. Innanzitutto, didatticamente, perché per gli alunni diventa molto più semplice arrivare alla concettualizzazione condivisa avendo a disposizione una tabella con le loro risposte che l’insegnante ha organizzato in modo adeguato. In secondo luogo, la raccolta delle verbalizzazioni di tutti gli alunni, ci fa capire quanto essi abbiano effettivamente compreso, o gli ostacoli epistemologici che non permettono loro di comprendere. Spesso le loro risposte, anche quando non sono corrette, sono molto interessanti, sono rivelatrici delle loro immagini mentali. In terzo luogo, sul piano della motivazione, perché gli alunni vedono in modo tangibile riconosciuta la loro attività di verbalizzazione individuale. Infine, offre all’insegnante l’importante opportunità di raccogliere testimonianze delle competenze degli alunni in momenti significativi dei vari percorsi, da inserire nel dossier di ogni alunno; è così possibile constatare lo sviluppo delle competenze osservative-logiche-linguistiche nel corso dei mesi e degli anni.

Comprendemmo, ben presto, che costituivano due casi completamente diversi quello delle verbalizzazioni brevi e quello delle verbalizzazioni di descrizioni di fenomeni. In questo caso valutammo che sarebbe stato non efficace didatticamente l’utilizzo di una tabella contenente tutte le descrizioni degli alunni. Nel caso della combustione, dopo aver effettuato l’esperimento con la carta e avere chiesto agli alunni di descrivere ciò che osservavano, si è deciso, dall’anno scolastico 2016-2017, di procedere nel modo sotto riportato [2, pp. 5-6].

Raccogliamo tutte le verbalizzazioni scritte degli alunni. Ciò ha una duplice funzione. La prima è quella di raccogliere le produzioni individuali di tutti gli alunni nel caso della richiesta della descrizione di un fenomeno complesso, quale quello della combustione. Sarà così possibile avere una testimonianza della prestazione di ciascun alunno rispetto allo sviluppo di una competenza fondamentale, quale quella della descrizione di fenomeni, e potere così, nell’arco dei mesi e degli anni successevi, constatarne lo sviluppo.

La seconda funzione è quella di realizzare con una modalità diversa il confronto per arrivare ad una descrizione condivisa: si riportano sulla LIM o sulla lavagna alcune (2-3) verbalizzazioni che siano ciascuna non esauriente, ma che assieme contengano la maggior parte degli aspetti importanti e si chiede agli alunni di discuterle.

Oppure, soluzione che consigliamo, si riporta sulla LIM un unico testo che può essere realizzato prendendo parti delle descrizioni di più alunni. Si chiede loro, dopo averlo letto, di discuterlo apportando correzioni ed aggiunte, per realizzare una descrizione condivisa, scegliendo le formulazioni ritenute più adeguate. In questo secondo caso, è importante che nel quaderno di ciascun alunno siano presenti il testo presentato dall’insegnante, il testo finale realizzato dalla classe con le correzioni ancora visibili, ed infine il testo finale. […].

Realizziamo, infine, una descrizione più sintetica: riportiamo sulla LIM la descrizione ricavata precedentemente e chiediamo agli alunni di togliere tutti gli aspetti, a loro parere, non fondamentali per la combustione della carta. Se per gli alunni la parola “fondamentale” non significasse nulla, è necessario fare un esempio presente nella descrizione che si vuole rendere più sintetica. Anche questo testo deve essere riportato sul quaderno di ciascun alunno. Si può iniziare a mettere in evidenza le specificità di una descrizione scientifica. Questo modo di procedere per arrivare ad una descrizione essenziale è importante non solo dal punto di vista dello sviluppo delle competenze scientifiche, ma anche e contemporaneamente delle competenze linguistiche trasversali.

Utilizzando questa metodologia, tutti gli alunni arrivano da soli a comprendere gli aspetti fondamentali dei fenomeni indagati, ma ovviamente le rappresentazioni realizzate non sono tutte dello stesso livello. È quindi importante che tutti abbiano nel quaderno delle verbalizzazioni corrette anche dal punto di vista linguistico (frutto del lavoro collettivo), che saranno utili anche per lo studio individuale. È una metodologia che permette effettivamente di realizzare l’individualizzazione, che permette, cioè, a tutti gli alunni di essere coinvolti nel processo di insegnamento-apprendimento e di concettualizzare gli aspetti fondamentali. Ciò non significa, d’altra parte, che tutti comprendano e concettualizzino nello stesso modo; questo sarebbe irrealistico e non augurabile. Anche gli alunni con difficoltà dei vari tipi (alunni diversamente abili, migrantes da poco tempo arrivati in Italia, ecc.) sono totalmente coinvolti in attività di questo tipo, e sono, in certi casi, capaci di cogliere aspetti importanti dell’osservazione che sfuggono agli altri alunni.

2.7 Il combustibile si consuma?

Con l’ultima importante modifica apportata nel 2018 abbiamo voluto, infine, problematizzare la definizione di combustione che era stata adeguatamente costruita dagli alunni con un’impostazione metodologica di tipo fenomenologico. Si riporta di seguito il paragrafo.

In tutti gli esperimenti di combustione effettuati si è constatato che il combustibile si consuma più o meno completamente; in alcuni casi, come quello dell’alcol non rimane nulla, in altri rimangono ceneri, o residui ancora più consistenti. Può darsi che il problema sia già emerso precedentemente, ora è il momento di focalizzare l’attenzione degli alunni su questo aspetto, facendo loro la seguente domanda e chiedendo loro una risposta scritta individuale: “Secondo voi, il combustibile che, durante la combustione, si consuma più o meno completamente, si consuma veramente, o semplicemente non è più visibile, si trasforma in qualcos’altro?”

Con questa ultima fase dell’attività non ci proponiamo di approfondire in modo specialistico che cosa in realtà avviene dal punto di vista chimico durante queste trasformazioni, cioè, la combinazione del combustibile con un componente dell’aria, l’ossigeno, con la produzione di altri gas, ed in particolare di anidride carbonica. Quando Lavoisier comprese ciò, fu poi in grado di individuare i concetti fondamentali della chimica, quali il principio di conservazione della materia (il peso dei reagenti è uguale al peso dei prodotti di reazione), realizzando così il passaggio dalla fase prescientifica a quella scientifica della chimica. Ciò che è importante è raccogliere le ipotesi dei bambini e fare in modo che con la discussione venga problematizzata la parte di definizione di combustione, dove si afferma che il combustibile si consuma, per iniziare ad andare oltre le apparenze.

Gli alunni possono essere aiutati nella loro risposta ricordando loro gli esperimenti con le candele e i becher. Spesso gli alunni, durante questi esperimenti, osservano la formazione di goccioline sulle pareti del becher. Se necessario ripetiamo gli esperimenti. Questa osservazione è importante. L’esperimento fatto sotto un becher permette di osservare qualcosa che non si osserva (che non è proprio percepibile) quando la combustione avviene all’aperto.

È possibile quindi fare con gli alunni due considerazioni. La prima: spesso sono gli strumenti, anche semplici, come in questo caso (i chimici nei secoli passati chiamarono bagni pneumatici bacinelle con acqua e recipienti capovolti pieni di acqua), che permettono di osservare (di vedere), cose che i sensi di per sé non ci permettono di percepire. La seconda: la formazione di goccioline è un indizio importante che ci permette di iniziare a comprendere che la definizione di combustione appena ricordata non è sufficiente. Durante la combustione il consumo del combustibile è apparente, in realtà si trasforma in qualcos’altro; abbiamo constatato che si trasforma in acqua, in alcuni casi in cenere, e probabilmente in altre sostanze non visibili (gassose).

A questo punto è di nuovo necessario chiedere agli alunni se la definizione di combustione ricavata precedentemente va modificata oppure no. Sarà possibile arrivare a condividere che si può formularla in questo modo: La combustione è quella trasformazione che si verifica quando, un materiale, una volta innescato e in presenza di aria, si trasforma, a seconda dei casi, in acqua, in cenere, in fumo. In questa trasformazione viene emesso del calore e si produce una fiamma che diffonde luce.

Chi ritiene, infine, necessario che nel quaderno degli alunni ci sia la definizione presente nei libri di chimica, può proporla agli alunni, mettendo in evidenza che una parte di questa definizione non è stata da loro ricavata in modo operativo, ma è una nozione data dall’insegnante o ricavata da libri, da internet, ecc.

La combustione è quella trasformazione (reazione chimica) che si verifica quando, un materiale, innescato, si combina con l’ossigeno e si trasforma in sostanze gassose (principalmente anidride carbonica e vapore acqueo), producendo calore e una fiamma che diffonde luce, cioè liberando energia [2, pp. 12-13].

Questa definizione è in parte diversa da quella che avevamo precedentemente ricavato osservando e confrontando alcuni esperimenti di combustione. Anche l’uomo aveva conoscenze simili a queste fino a poco tempo fa (fino alla fine del Settecento), nonostante che la combustione sia una delle trasformazioni più importanti per la vita degli uomini da tempi lontanissimi, dalla scoperta del fuoco in poi. Alcuni alunni durante gli esperimenti con le candele avevano detto che le candele si spengono perché l’ossigeno si consuma. Avevano detto ciò non perché avevano osservato l’ossigeno, ma perché era una nozione che sapevano. La comprensione completa di questa trasformazione sarà possibile nella scuola secondaria di secondo grado con esperimenti e ragionamenti più complessi. La comprensione effettiva del ruolo dell’aria nei processi di combustione fu, non solo, una delle più grandi conquiste dell’umanità, ma costituì per la chimica un passaggio cruciale dalla fase prescientifica alla fase scientifica. E tutto questo lo si deve principalmente a un uomo: Lavoisier, il padre della chimica moderna.

3. Conclusioni

Il confronto tra le varie versioni, quella del 1990, quella del 2001, quelle degli anni successivi e quella attuale, pubblicate solamente nel sito del CIDI di Firenze, permette di comprendere che cosa significa effettivamente l’attività di ricerca/sperimentazione didattica e in particolare il ruolo insostituibile della riflessione sulla sperimentazione didattica. La costruzione di percorsi di insegnamento significativi costituisce il luogo emblematico di concretizzazione della complessità in ambito scolastico. Essa presuppone la complessità nella sua dimensione teorica, perché la formulazione delle prime bozze dei percorsi è possibile con un’analisi epistemologica, didattica, psicologica e pedagogica della disciplina in generale e, in particolare, delle specifiche componenti implicate nell’attività. Essa realizza poi la complessità nella pratica, perché le varie dimensioni del percorso (disciplinare, epistemologica, psicologica, pedagogica e didattica) si devono fondere in un tutto armonico, motivante per lo studente e significativo nello sviluppo delle sue competenze. Tutto ciò è possibile se è già in fieri nella bozza iniziale, ma si realizza poi soltanto per mezzo di progressivi approfondimenti e raffinamenti conseguenti a tanti anni di sperimentazioni riflessive. Il perfezionamento di questi percorsi non ha, in certo senso, mai fine. Nel caso del percorso sulla combustione i perfezionamenti di cui abbiamo trattato in questo contributo, avvenuti nell’arco di trenta anni, sono soltanto quelli più rilevanti.

Riferimenti bibliografici

[1] C. Fiorentini, Rinnovare l’insegnamento delle scienze Aspetti storici, epistemologici, psicologici, pedagogici e didattici, Aracne, Roma, 2018.

[2] A.A.V.V., La combustione, agosto 2024 (https://cidifi.it/ricerche-didattiche/combustione/).

[3] C. Fiorentini, La prima Chimica, Angeli, Milano, 1990.

[4] LSS (Laboratori del Sapere Scientifico), 2024 (https://lss.regione.toscana.it/web/lss).

[5] J. Dewey, Come pensiamo, la Nuova Italia, Firenze, 1961.

[6] J. Dewey, Esperienza e educazione, la Nuova Italia, Firenze, 1949.

[7] L. S. Vygotskij, Pensiero e Linguaggio, Laterza, Bari, 1990.

[8] C. Fiorentini, A. Martinuci, R. Nencini, Percorso didattico sulla combustione, in Linsegnamento delle scienze verso il curricolo verticale. Un approccio costruttivista nella scuola di base. Volume primo. I fenomeni chimico-fisici (a cura di L. Barsantini, C. Fiorentini), San Gabriele (TE), I.R.R.S.A.E. Abruzzo, 2001, pp. 73-80.


  1. 1 Il 15 aprile 1996 ho ottenuto un riconoscimento fuori concorso dalla giuria dell’ottavo premio “Federchimica - Per un futuro intelligente” per il libro La Prima Chimica.

  2. 2 L’iniziativa della regione Toscana si è proposta di contribuire al rinnovamento dell’insegnamento scientifico e matematico stimolando (mettendo disposizione ingenti risorse, circa due milioni di euro nei primi sei anni e continuando poi ogni anno a dare un contributo finanziario alla rete delle scuole LSS), la costituzione nelle singole scuole di gruppi di insegnanti, i più numerosi possibile, di ricerca e sperimentazione. I percorsi sperimentati e documentati vengono alla fine di ogni anno scolastico sottoposti per la validazione al comitato scientifico per poter essere poi inseriti nella piattaforma di LSS. Gli istituti scolastici che fanno parte della rete LSS sono circa 90 e i percorsi validati sono più di mille.

  3. 3 La proposta per la scuola secondaria di secondo grado diventerà nel 2007 il libro: C. Fiorentini, E. Aquilini, D. Colombi, A. Testoni, Leggere il mondo oltre le apparenze. Per una didattica dei concetti fondamentali della chimica, Armando, Roma, 2007.

  4. 4 Durante la combustione della candela si consuma parzialmente l’ossigeno, ma vengono prodotti altri gas, quali l’anidride carbonica e il vapore acqueo, per cui affermare che la diminuzione di volume dell’aria all’interno del recipiente è dovuta unicamente alla “scomparsa dell’”ossigeno” è una deduzione non solo superficiale, ma sostanzialmente scorretta. Il fenomeno è più complesso. Innanzitutto, quando il recipiente viene capovolto sulla candela accesa, esso racchiude al suo interno aria calda, quindi, più rarefatta rispetto a quella esterna, per cui, quando la candela si spenge, l’aria rimasta si raffredda e si contrae; poi il vapore acqueo venendo a contatto con le pareti più fredde del recipiente in parte si condensa; infine, l’anidride carbonica, che è più solubile dell’ossigeno, si discioglie parzialmente nell’acqua. Questi fenomeni, nel loro insieme, determinano una depressione all’interno del contenitore e di conseguenza la contrazione dell’aria.

  5. 5 Pubblicata nel sito del CIDI di Firenze.

  6. 6 Pubblicata nel sito del CIDI di Firenze. Nel sito le versioni successive del percorso sostituivano quelle precedenti.