Raffaele Piria e gli studi sulla salicina
Roberto Zingales
Gruppo Nazionale di Fondamenti e Storia della Chimica
e-mail: robertozingales@outlook.it
Indice
5. Formule minime e pesi atomici
9. Le reazioni di sostituzione
10. Azione degli acidi sulla salicina
12. Le indagini sulla populina
Abstract. Raffaele Piria’s researches on salicin and populin are here reviewed to show: (1) how, at the middle of XIX century, the uncertainty on atomic weights led to different formulas for the same organic substance; (2) how the composition of large organic molecules could be found, by breaking them in smaller residuals; (3) how the attacking points, by which smaller molecules united each other to give bigger ones, were found.
Keywords: Raffaele Piria; organic chemistry; chemical formulas; isomers; coupling reactions
Ripercorrere le indagini di Piria sulla salicina e i suoi derivati può essere interessante, oltre che dal punto di vista della ricostruzione storica, anche sotto diversi altri aspetti. Innanzi tutto, lo è per capire come, a metà dell’Ottocento del secolo scorso, i chimici affrontassero lo studio delle sostanze naturali, iniziato, nel secolo precedente, dal farmacista svedese Karl Wilhelm Scheele (1742-1786), che aveva ottenuto gli acidi citrico, ossalico, gallico e malico dai vegetali e gli acidi urico e lattico dai fluidi animali.1
In secondo luogo, permette di stabilire come cercassero di razionalizzarne la composizione (evidentemente complessa), scomponendole in parti costituenti più semplici, e quindi più facili da caratterizzare, come indicato da Michel Eugène Chevreul (1786-1889), che, nel 1823, aveva dimostrato che le sostanze grasse erano costituite da un componente comune (la glicerina) e da componenti specifici diversi (gli acidi grassi).
Ancora, è interessante per rendersi conto di come i chimici cercassero di inquadrare i risultati che andavano via via ottenendo in uno schema teorico generale e ampio, che, al momento, era soltanto accennato, e nemmeno generalmente condiviso.
Infine, aiuta a capire come cercassero di realizzare il passaggio concettuale dal dato analitico (la composizione percentuale delle sostanze) alla sua rappresentazione teorica (la corrispondente formula grezza), passaggio reso assai complicato dall’incertezza che ancora regnava su quali valori assegnare ai pesi atomici degli elementi, soprattutto carbonio e ossigeno, costituenti principali dei composti organici, e dalla difficoltà di attribuire un peso molecolare alle sostanze non volatilizzabili, o non facilmente trasformabili in altre a composizione definita.
Di tutto questo, il lavoro di Piria fornisce esempi efficaci, e, allo stesso tempo, spunti per formulare ipotesi sensate sull’esistenza di una disposizione ordinata e invariabile degli atomi, all’interno di ciascuna molecola.
Nato a Scilla (RC) il 20 agosto 1814, e rimasto orfano in tenera età, fu cresciuto da uno zio paterno, che volle avviarlo alla professione medica, ritenendola economicamente redditizia. Obbediente, Raffaele seguì i corsi di Medicina a Napoli, laureandosi nel 1834.2 Tuttavia, tra le lezioni che aveva frequentato, lo avevano particolarmente affascinato quelle di Chimica farmaceutica, tenute da Francesco Lancellotti (1783-1845), il quale, notato il suo interesse, lo scelse come aiutante, consentendogli di svolgere un vero e proprio tirocinio chimico.
Abbandonata definitivamente la carriera medica, a maggio del 1837, si trasferì a Parigi, dove, nell’autunno successivo, fu accolto nel laboratorio di Jean-Baptiste André Dumas (1800 -1 880), dove Jean Servais Stas (1813-1891) lo iniziò alla pratica dell’analisi chimica.
Nel 1839 decise di tornare a Napoli, forse spinto dall’ambizione di fondarvi una moderna Scuola di Chimica, come quelle di Dumas a Parigi e di Justus von Liebig (1803-1873) a Giessen. Effettivamente, in collaborazione con il fisico Macedonio Melloni (1798-1854), riuscì ad avviare una Scuola di Chimica e Scienze sperimentali, che non ebbe troppa fortuna, ma che annoverò tra i propri allievi Sebastiano De Luca (1820-1880), che, negli anni ’60 del 1800, sarebbe stato suo successore sulla Cattedra di Chimica all’Università di Napoli.
Nel 1840, il Granduca di Toscana gli offrì la cattedra di Chimica presso la neonata Facoltà di Scienze naturali dell’Università di Pisa, che Piria tenne per 14 anni, avendo come allievi Cesare Bertagnini (1827-1857) e Paolo Tassinari (1829-1909), e come preparatore Stanislao Cannizzaro (1826-1910). Alla fine del 1855, Piria accettò la cattedra di Chimica presso l’Università di Torino, dove, con Carlo Matteucci (1811-1868), fondò la rivista Nuovo Cimento, destinata alla pubblicazione delle ricerche in Fisica e in Chimica degli scienziati italiani. Caduti i Borboni, tornò a Napoli, dove fu Ministro dell’Istruzione pubblica; rientrato a Torino nel 1862, vi morì il 18 luglio 1865.
Sin dai tempi più antichi, la corteccia del salice è stata utilizzata come febbrifugo e antidolorifico da guaritori, sciamani e medici; ne accennano alcune tavolette sumeriche del III millennio a.C., il papiro di Ebers, e lo stesso Ippocrate.3 Ai primi dell’Ottocento del secolo scorso, era usata come succedaneo della chinina, con risultati tali da spingere i chimici a cercare di individuare il principio sul quale si basava la sua efficacia.
Dopo i primi tentativi dei farmacisti veronesi Bartolomeo Rigatelli e Francesco Fontana (1794-1867), nel 1828, Johann Andreas Buchner (1783-1852), professore di Farmacia all’Università di Monaco, era riuscito a estrarre dalla corteccia del salix alba una piccola quantità di cristalli gialli, dal sapore amaro; aveva chiamato salicina questa sostanza. Un anno dopo, il farmacista francese Henry Leroux, trattando un chilogrammo della corteccia del salix helix, nella quale la salicina risultò più abbondante, ne ottenne 25 grammi,4 confermando che era questa a conferire alla corteccia le proprietà antipiretiche.
Sebbene Leroux la ritenesse un alcaloide, agli occhi dei chimici, la salicina trova posto tra le sostanze equivoche, le cui proprietà mal definite sono generalmente la disperazione di coloro che si dedicano ad esaminarle. Non sono né acidi, né basi, né corpi eterei, né, in una parola, nessuna di quelle sostanze dotate di reazioni nette, che amano incontrare e studiare.5 Per esempio, non potendo essere portata allo stato di vapore e non avendo dato derivati dalla composizione ben definita, era complicato determinare il peso molecolare della salicina, passaggio fondamentale per caratterizzare una sostanza.
Ciononostante, una volta ambientatosi nel laboratorio di Parigi, Piria raccolse la sfida e iniziò a studiare questa sostanza così intricata, ottenendo risultati tali da suscitare l’entusiasmo di Dumas, che ne riferì all’Académie. Nel volume edito da Domenico Marotta (1886-1974), sulla vita e l’attività scientifica di Piria,6 sono ristampati, tra gli altri, tre rapporti, verosimilmente letti da Dumas, nelle sedute del 12 marzo7 e 30 aprile 1838,8 e del 1° aprile 1839,5 nei quali Piria è citato in terza persona, e uno del 26 novembre 1838,9 nel quale Piria parla in prima persona. È evidente che questi rapporti sono stati concepiti in tempo reale, a mano a mano che Piria eseguiva gli esperimenti, raccoglieva ed elaborava i risultati e che si riferiscono alle ricerche svolte a Parigi, riepilogate poi in un lungo articolo pubblicati sugli Annales.10 Gli altri documenti11,12,13 qui presi in considerazione sono stati prodotti dopo il 1842, quando, una volta insediatosi nel laboratorio dell’Università di Pisa, Piria riprese le ricerche sulla salicina e le estese alla populina.
Un attento esame dei dati quantitativi riportati da Piria e della loro rielaborazione per convertirli in formule evidenzia come, per la salicina e ciascuno dei suoi derivati, le formule ottenute a Parigi differiscano da quelle ottenute a Pisa, perché ricavate utilizzando, nei due casi, un valore diverso per il peso atomico dell’ossigeno. La questione non è banale, perché la rappresentazione della composizione chimica delle sostanze mediante il linguaggio sintetico delle formule costituisce un passaggio fondamentale nell’evoluzione della Chimica; infatti, sostituendo le percentuali in peso (che variano senza criterio da sostanza a sostanza, e sono impossibili da memorizzare) con gruppi di lettere e numeri, interi e piccoli (e quindi più facili da ricordare) la formula molecolare corretta non solo fornisce informazioni qualitative e quantitative sulla composizione delle sostanze, ma consente di metterle in relazione tra di loro.
5. Formule minime e pesi atomici
La formula minima delle sostanze organiche era ricavata dalla loro analisi elementare, condotta per combustione, e successiva determinazione gravimetrica di CO2 e del vapor d’acqua sviluppati in questo processo. Dopo che il chimico francese Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794) ebbe dimostrato che questi prodotti si ottenevano bruciando carbonio e idrogeno in presenza di ossigeno, erano stati messi a punto dei metodi di analisi quantitativa delle sostanze organiche, basati sulla relazione tra il peso di CO2 e vapor d’acqua prodotti e quello di carbonio e idrogeno nella sostanza analizzata. Se non erano presenti altri elementi, il peso dell’ossigeno era ottenuto per differenza dal totale. Il continuo sviluppo e perfezionamento di questi metodi, grazie, soprattutto, a Joseph Louis Gay-Lussac (1778-1850), Louis Jacques Thénard (1777-1857), William Prout (1785-1850), Dumas, Liebig e lo stesso Piria, che avevano progettato e messo a punto apparecchi di combustione, come il kaliapparat (1831), consentiva adesso di determinare, con sempre maggiore precisione, il contenuto percentuale di carbonio, idrogeno e ossigeno nelle molecole organiche.
Come sanno anche gli studenti di Chimica alle prime armi, per convertire le percentuali in peso dei componenti di una sostanza nella sua formula bruta, è necessario disporre di una tabella di pesi atomici. Sebbene fosse stato introdotto da John Dalton (1766-1844) all’inizio dell’Ottocento del secolo scorso, il concetto di peso atomico rimase confuso con quello di peso di combinazione, o equivalente, almeno fino al 1860. Ogni chimico adottava una differente scala dei pesi atomici, ma, in generale, almeno negli articoli scientifici, nessuno specificava quale avesse utilizzato per calcolare le formule brute, forse perché dava per scontata, e nota, la propria scelta.
Questa incertezza non solo generò dispute accese tra i chimici (e anche i fisici), ma continua a mettere in imbarazzo chi oggi volesse verificare come allora si traducessero in formule le analisi centesimali delle molecole organiche. A parte l’idrogeno, al cui peso atomico era attribuito, per convenzione unanime, il valore unitario, per ossigeno e carbonio l’attribuzione era più incerta.
Dalton aveva ricavato i loro pesi di combinazione (rispettivamente, 8 e 6) e questi valori erano stati adottati da molti chimici. Tuttavia, pur accettando il valore 6 per il carbonio, Dumas aveva messo a punto un metodo di determinazione dei pesi atomici e molecolari, basato, in accordo con il principio di Avogadro-Ampére, sul confronto delle densità gassose con quella dell’idrogeno, alla stessa temperatura e pressione: per l’ossigeno ottenne un peso atomico 16 volte maggiore di quello dell’idrogeno.
Ad aumentare il nostro disagio, seguendo la convenzione proposta da Jöns Jacob Berzelius (1779-1848) nel 1814 gli attribuiva, però, un peso atomico eguale a 100, ricalcolando di conseguenza quello degli altri.14
Dopo qualche tempo, scoraggiato dal mancato accordo tra i dati fisici (le densità gassose) e quelli chimici (i rapporti di combinazione) Dumas decise15 di tornare a utilizzare i pesi equivalenti, con l’ossigeno solo 8 volte più pesante dell’idrogeno.
Evidentemente, Piria lo seguì, rimanendo fedele a questa scelta e alla teoria dualistica per il resto della vita, fino al Trattato di Chimica organica, pubblicato postumo.16 Confessò a Cannizzaro, che definiva l’individuo più atomico, il proprio imbarazzo nel dover trattare il capitolo Equivalenti e teoria atomica, che aveva riscritto più volte e senza mai rimanerne soddisfatto.17
Per estrarre la salicina, Piria modificò leggermente il processo Merck: trattò la corteccia in acqua bollente con polvere di litargirio (ossido di piombo), che aveva la funzione di far precipitare gomme, tannino e altre sostanze estrattive. Dopo filtrazione, eliminò dalla soluzione l’eccesso di piombo con solfuro di bario; il precipitato trascinava con sé le sostanze colorate. Scaldando il filtrato, si separavano i cristalli di salicina,18 dei quali Piria eseguì l’analisi percentuale.
La salicina era già stata analizzata da Théophile Jules Pelouze (1807-1867) e Jules Gay-Lussac (1810-1877), che, bruciandola con ossido di rame in recipiente evacuato e assorbendo completamente su potassa i vapori prodotti, avevano trovato19 il 55,491% di carbonio, l’8,194% di idrogeno e il 36,326% di ossigeno. Come mostrato in Tabella I, Piria evidenziava l’accordo tra i propri risultati e quelli che lui attribuiva20 a Pelouze e Gay-Lussac, ma che erano differenti da quelli riportati nel lavoro originale.
Per determinarne il peso molecolare, Piria combinò la salicina con ossido piombo, l’unica sostanza a peso molecolare noto con la quale reagiva; ottenne il salicinato di piombo, dalla cui analisi percentuale ricavò un rapporto di combinazione di 1:1 e la formula21 C14H8O3+PbO. Tuttavia, poiché, secondo la teoria della sostituzione, nella formazione dei sali, l’ossido metallico doveva prendere il posto di molecole d’acqua, l’unione con una sola molecola di ossido di piombo avrebbe comportato la sostituzione di un numero frazionario di molecole d’acqua nella salicina idratata. Per ottenere numeri interi, Piria fu costretto a moltiplicare per 3 queste formule, ricavando C42H24O9+3PbO, per il salicinato di piombo, e C42H24O9+2H2O, per la salicina idratata.22
Tabella I. Composizione percentuale della salicina |
|||||
Piria |
Pelouze e Gay-Lussac |
||||
I |
II |
III |
Media |
||
Carbonio |
55,68 |
55,04 |
55,54 |
55,42 |
55,49 |
Idrogeno |
6,36 |
6,39 |
6,43 |
6,39 |
6,38 |
Ossigeno |
37,96 |
38,57 |
38,03 |
38,19 |
38,13 |
Incoraggiato da questi risultati, Piria passò a caratterizzare chimicamente la salicina. Era prassi comune ossidare le sostanze organiche con una soluzione solforica di diossido di manganese, che le decomponeva completamente, formando gli acidi carbonico e formico. Anche la salicina diede questi prodotti, ma, trattata con una soluzione solforica di dicromato di potassio, oltre a questi, si formava, soprattutto, una nuova sostanza, che si sarebbe rivelata cruciale per il proseguimento delle indagini.5 Era un liquido oleoso, dalle proprietà simili a quelle degli oli essenziali, che emanava un odore aromatico e piacevole, simile a quello dell’essenza di mandorle amare. A riposo, si depositava nel fondo della soluzione acquosa, sotto forma di un olio dal colore rosso più o meno intenso, abbastanza solubile in acqua. Per sottolineare l’intima analogia delle sue proprietà con quelle dell’essenza di mandorle amare, che Liebig e Friedrich Wöhler (1800-1882) avevano chiamato idruro di benzoile, Piria lo chiamò idruro di salicile (oggi aldeide salicilica), ritenendolo un composto binario, formato da idrogeno e da un radicale ternario, il salicile, ancora sconosciuto allo stato libero.23
Questo risultato poneva le ricerche di Piria all’avanguardia nel campo della Chimica organica europea. Nel 1832, la sintesi, da parte di Liebig e Wöhler, di una serie di composti, in ciascuno dei quali era presente sempre lo stesso raggruppamento di atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno, chiamato benzoile, aveva rivitalizzato la teoria dei radicali, formulata nel 1811 da J.-L. Gay-Lussac: i composti organici erano costituiti da gruppi di atomi che, nel corso delle reazioni, passavano inalterati da una molecola all’altra, come unità indipendenti, e capaci di combinarsi con i diversi elementi, o con altri radicali. In seguito, Dumas aveva identificato, insieme a Felix-Polydore Boullay (1806-1835), il radicale etilene; d’accordo con Liebig, formulò l’ipotesi che i radicali fossero le vere sostanze elementari della Chimica organica, che definirono la Chimica dei radicali composti, stilando un documento programmatico,24 che impegnava loro e i loro allievi a dedicarsi interamente allo studio dei radicali.
Inizialmente, Piria attribuì19 all’idruro di salicile la formula C28H10O4,H2, nella quale, come in molte altre, due atomi di idrogeno (che Dumas e Piria consideravano due equivalenti), a differenza degli altri atomi di idrogeno, potevano essere facilmente sostituiti. In realtà, dai suoi dati analitici si ricava la formula minima C7H3O (peso formula 61), e una densità di vapore (4,276) 62,15 volte maggiore di quella dell’idrogeno.
Scaldando una miscela di idruro di salicile e potassa (carbonato di potassio), compariva una colorazione rossa, che poi sbiadiva completamente, mentre si liberava una grande quantità d’idrogeno gassoso. Trattando la soluzione risultante con acido cloridrico, precipitava l’acido salicilico, che cristallizzava da acqua calda. La Tabella II mostra come i risultati dell’analisi centesimale siano in ottimo accordo con l’ipotesi di Piria che si trattasse di un ossido idrato del radicale salicile, di formula C28H10O4+O+H2O; nella formazione dei sali, un equivalente di ossido metallico sostituiva un equivalente d’acqua.25
Tabella II. Composizione percentuale dell’acido salicilico |
|||||
I |
II |
Media |
N° atomi |
% teoriche |
|
C |
61,10 |
61, 27 |
61,185 |
28 |
61,32 |
H |
4,41 |
4,43 |
4,42 |
12 |
4,29 |
O |
34,49 |
34,30 |
34,395 |
6 |
34,39 |
Questo risultato era particolarmente importante per Piria (e per Dumas), perché ricollegava il radicale salicile e l’acido salicilico al radicale benzoile e all’acido benzoico, inserendoli tutti in una serie progressiva di ossidi dell’ipotetico radicale benzogene, del quale, qualche anno prima, Dumas aveva supposto l’esistenza:26 C28H10 (Tabella III).
Tabella III. Ossidi del benzogene |
|
Benzogene |
C28H10 |
Benzoile |
C28H10+O2 |
Acido benzoico |
C28H10+O3 |
Salicile |
C28H10+O4 |
Acido salicilico |
C28H10+O5 |
In sintonia con le ricerche di Dumas, Piria sottopose l’idruro di salicile a una serie di reazioni di sostituzione. Con cloro o bromo, si trasformava direttamente nel corrispondente alogenuro, con notevole sviluppo di calore e di vapori di acido cloridrico o bromidrico. Dalla loro analisi centesimale,10 si ricavano le formule minime C14H5O2Ch e C14H5O2Br, mentre Piria riportava C28H10O4Ch2 e C28H10O4Br2, deducendo che, nella reazione, si erano liberati due volumi (un equivalente) di idrogeno ed erano stati assorbiti due volumi (un equivalente) di alogeno.
A differenza di quello di benzoile, l’idruro di salicile mostrava anche proprietà acide, reagendo con gli ossidi metallici per dare sali cristallizzabili e ben definiti, nei quali un equivalente di metallo ne sostituiva uno d’idrogeno, come i saliciluri di potassio, rame o bario. L’analisi centesimale di quest’ultimo,10 porta alla formula minima C28H14O6Ba, che Piria riportava con due molecole d’acqua di cristallizzazione: C28H10O4Ba+2H2O. Quest’ultimo risultato può spiegare perché Piria abbia scelto per l’idruro e i suoi derivati alogenati la formula bruta con 28 atomi di carbonio, che poi, ripetendo le analisi dopo il suo trasferimento a Pisa, cambiò27 in C14H5O4+H.
Tutti i composti binari del salicile mostravano una stabilità che le indagini sul benzoile non lasciavano prevedere5 e che, secondo Piria, potevano essere rappresentati come la combinazione di un equivalente di questo radicale (dalla composizione costante) con quello di un’altra sostanza.
9. Le reazioni di sostituzione
Tra la sostituzione dell’idrogeno con alogeni (o con altri radicali) e quella con metalli esisteva, però, una differenza sostanziale, evidenziata da Dumas in due regole empiriche: 1) per ogni volume d’idrogeno gassoso che si libera in una reazione di sostituzione, ne viene assorbito uno eguale di alogeno; 2) quando un composto contiene acqua, può perdere idrogeno, senza che esso venga sostituito.28
Per esempio, confrontando le formule degli acidi acetico (C4H4O4) e cloroacetico (C4Ch3HO4) con quelle dei loro sali, C4H3MO4 e C4Ch3MO4, era evidente che il metallo sostituiva l’idrogeno non sostituito dal cloro, mentre il cloro poteva sostituire tutti gli idrogeni di un acido organico, tranne quelli sostituibili dai metalli, che sono uno negli acidi monobasici, due in quelli bibasici, e così via.29 Non va sottovalutata l’importanza dell’ipotesi che esistessero due tipi diversi di atomi d’idrogeno (quelli legati al carbonio potevano essere sostituiti, quelli legati all’ossigeno eliminati senza sostituzione) perché, per la prima volta, si ammetteva che lo stesso elemento potesse avere comportamenti chimici differenti, a seconda dell’elemento al quale era prossimo (legato), all’interno di una molecola, nella quale, perciò, gli elementi erano disposti in maniera ordinata e permanente. Anche se non era chiaro come e perché, questo era un primo indizio del fatto che, entrando a far parte di una molecola, un elemento subiva delle variazioni nel proprio comportamento chimico, dovute alla presenza degli altri elementi e della loro disposizione reciproca nella molecola.
Tutto ciò poteva spiegare anche i fenomeni di isomeria, come quello riscontrato tra l’idruro di salicile e l’acido benzoico, che avevano: i) un’identica composizione percentuale, ii) la stessa densità di vapore e iii) lo stesso peso molecolare, ma mostravano comportamenti chimici differenti. I chimici più accorti avevano attribuito queste differenze al fatto che le proprietà delle sostanze non dipendevano solo da quali elementi fossero costituite, ma anche da come gli atomi fossero distribuiti all’interno delle loro molecole. In altri termini, anche se due molecole erano costituite dalle stesse parti (isomeri), queste erano disposte in maniera differente all’interno di una struttura evidentemente complessa, causando una marcata differenza nelle loro proprietà. Per esempio, Piria giustificava le differenze tra idruro di salicile e acido benzoico introducendo un primo esempio di struttura molecolare, perché rappresentava le loro formule brute con una diversa disposizione degli atomi: HO+C14H5O3 per l’acido benzoico e H+C14H5O4 per l’idruro di salicile.30
10. Azione degli acidi sulla salicina
Nel primo rapporto presentato all’Académie7, si accennava al risultato dell’azione degli acidi minerali sulla salicina, già indagata dal chimico francese Henri Braconnot (1780-1855). Si formavano una sostanza resinosa e una zuccherina, delle quali era riportata la composizione percentuale, ma non la formula, forse per la difficoltà di purificare la sostanza resinosa.
L’argomento fu ripreso solo nel rapporto finale,5 quando Dumas formulò la previsione che questo risultato avrebbe un giorno rivestito il carattere di una legge generale, applicabile a una certa classe di sostanze, delle quali la salicina sarebbe stata il tipo,31 ma che rientrava in quella classe di fenomeni oscuri, che erano stati provvisoriamente raggruppati sotto la denominazione di fenomeni di contatto. In conclusione, Dumas lodava Piria che aveva dato prova di raro acume e sicurezza di giudizio poco comune. Restava soltanto da stabilire come l’idruro di salicile si formasse dalla salicina: l’ipotesi che questa fosse composta da zucchero d’uva e da idruro di salicile, mal si accordava con la composizione del salicinuro di piombo e dei suoi prodotti clorurati, per cui la Commissione che aveva esaminato il lavoro richiedeva nuove e più accurate analisi. Nonostante ciò, per Dumas, il lavoro di Piria rimaneva uno dei più perfetti tra quelli realizzati in chimica organica da molto tempo e lasciava presagire nuovi importanti risultati nella prosecuzione di queste indagini in Patria.32
Piria ritornò sull’argomento nell’articolo che concludeva la sua esperienza francese,33 confessando di non essere riuscito a purificare perfettamente la sostanza resinosa, che aveva chiamato saliretina, nemmeno per ripetute cristallizzazioni. Anche se non aveva ottenuto risultati analitici riproducibili, sia per la differente composizione dei campioni, sia per la difficoltà di disidratarli e bruciarli completamente, era chiaro, però, che la saliretina aveva un contenuto percentuale in carbonio maggiore di quello della salicina; anche se questo poteva significare che si fosse formata per l’azione disidratante degli acidi cloridrico o solforico, il fatto che le due sostanze avessero praticamente lo stesso contenuto in idrogeno, cancellava questa ipotesi.
Per verificare se, nella reazione con acidi, si fosse formato qualche altro prodotto, Piria trattò con carbonato di piombo la soluzione dalla quale si era separata la saliretina, ottenendo un residuo trasparente, dal sapore dolciastro, identico allo zucchero d’uva (glucosio). La salicina risultava perciò il primo esempio di una nuova classe di sostanze, i glucosidi, aprendo la strada a un filone di ricerca finalizzato a estrarre composti analoghi dalle sostanze naturali.
Restava da stabilire se la saliretina fosse un reale componente della salicina o un prodotto secondario della sua idrolisi acida; Piria variò le condizioni sperimentali, interrompendo il riscaldamento al primo intorbidirsi della soluzione, filtrando e dibattendo il filtrato con etere. Per evaporazione della soluzione eterea, cristallizzava un solido, che chiamò saligenina, che si riconvertiva in saliretina per ulteriore trattamento con acidi. Concluse che l’azione degli acidi sulla salicina generava inizialmente glucosio e saligenina (che dunque era il vero componente della salicina) e che questa, per prolungato riscaldamento con acidi, si convertiva in saliretina, prima che si decomponesse tutta la salicina. Ciò costituiva un grave inconveniente, perché limitava la quantità di saligenina ottenibile, rendendone più difficile una caratterizzazione accurata.34
Riprese queste ricerche nel 1842, Piria trovò che l’enzima sinaptasia (emulsina) catalizzava la decomposizione della salicina, generando esclusivamente glucosio e saligenina in quantità sufficienti per un’analisi accurata. Per combustione in corrente di ossigeno, a contatto con ossido di rame, ottenne le percentuali e la formula minima riportate in Tabella IV.35
Tabella IV. Analisi centesimale della saligenina |
|||||
I |
II |
Media |
Teorico |
Formula minima |
|
Carbonio |
67,55 |
67,57 |
67,56 |
67,74 |
7 |
Idrogeno |
6,68 |
6,54 |
6,61 |
6,45 |
4 |
Ossigeno |
25,77 |
25,89 |
25,83 |
25,81 |
2 |
Per determinarne la formula grezza, usò il criterio dell’analogia: dato che, per ossidazione, si convertiva solo in idruro di salicile, senza dare altri prodotti contenenti carbonio, ne dedusse che le due molecole dovessero contenere lo stesso numero di atomi di carbonio, attribuendo alla saligenina la formula C14H8O4. Poiché la saliretina si otteneva dalla saligenina senza formazione di altri prodotti, a parte due equivalenti d’acqua (HO), li sottrasse alla formula della saligenina:
C14H8O4 |
- |
2 HO |
= |
C14H6O2 |
saligenina |
acqua |
saliretina |
Rimanendo fedele al principio della massima semplicità, introdotto da Dalton, Piria, e molti altri come lui, rappresentava l’acqua come l’unione di un atomo di ossigeno e uno di idrogeno, ricavando per l’ossigeno il peso atomico di 8; sarebbe stato Cannizzaro, pochi anni dopo, a fornire la prova inconfutabile a favore della formula H2O.
Infine, per dimostrare che saligenina e glucosio erano i veri componenti della salicina, e non prodotti secondari della sua scissione, trattò separatamente, con gli stessi reagenti, salicina, saligenina e glucosio; caso per caso, ottenne dalla salicina gli stessi prodotti ottenuti dai suoi due componenti,36 come mostrato in Tabella V.
I suoi dati accurati, concordanti con quelli di altri ricercatori, dimostravano chiaramente che la salicina era una molecola complessa, risultante dalla somma di una molecola di glucosio e una di saligenina:37
C12H10O10 |
+ |
C14H8O4 |
= |
C26H18O14 |
glucosio |
+ |
saligenina |
= |
salicina |
Come si vede, per far tornare i conti, Piria dovette eliminare dalla formula del glucosio due equivalenti d’acqua (H2O2); solo successivamente, per analogia da quanto emerso dalle indagini sulla populina, corresse l’errore ed ammise che l’acqua si liberava nella reazione di sintesi:38
C12H12O12 + C14H8O4 - H2O2 = C26H18O14
Tabella V. Confronto tra i prodotti ottenuti da saligenina, zucchero d’uva e salicina |
|||
Reagenti adoperati |
Saligenina |
Zucchero d’uva |
Salicina |
H2CrO4 |
Idruro di salicile |
HCOOH e H2CO3 |
Idruro di salicile, HCOOH e H2CO3 |
H2SO4 e MnSO4 |
HCOOH e H2CO3 |
HCOOH e H2CO3 |
HCOOH e H2CO3 |
HNO3 concentrato |
Acido carbazotico (acido picrico, C6H3N3O7) |
Acido ossalico (H2C2O4) |
Acido carbazotico, acido ossalico |
Fusione con K2CO3 |
Acido salicilico |
Acido ossalico (H2C2O4) |
Acido salicilico, acido ossalico |
Acidi diluiti |
Saliretina |
Zucchero d’uva |
Saliretina, zucchero d’uva |
La sinaptasia era in grado anche di scindere i derivati mono, bi e triclorurati della salicina, liberando glucosio e i corrispondenti cloruri della saligenina; Piria ne dedusse che il cloro (e, verosimilmente, tutti gli altri radicali) sostituiva solo l’idrogeno della saligenina e non quello dello zucchero, individuando i punti di attacco di una molecola così complessa. Poiché, in generale, dall’idrogenazione completa di un composto organico clorurato si riotteneva il composto che originariamente era stato clorurato, e non un suo isomero, era evidente che la molecola, nel corso delle sostituzioni, aveva mantenuto intatta la propria struttura.39
Come enfatizzato da Cannizzaro, … Fu questo il primo limpido esempio che si possa giungere a scoprire la costituzione di una sostanza complessa in modo da riassumere e prevedere tutte le sue svariate trasformazioni. Proprio mentre Charles Frédéric Gerhardt (1816-1856) si rassegnava a negare la possibilità di scoprire la composizione di qualunque composto, il lavoro di Piria contribuì a introdurre il concetto di combinazione per residui, nelle reazioni di accoppiamento.40 Va ricordato, comunque, che Piria e Cannizzaro, piuttosto che a strutture geometriche (per le quali ritenevano di non avere supporti sperimentali certi) erano interessati a individuare, nella costituzione delle molecole, quei componenti che ne potessero far prevedere il comportamento chimico e le trasformazioni che potevano subire.
12. Le indagini sulla populina
Completate, nel 1848, le indagini sulla salicina, Piria si dedicò, con la collaborazione dei suoi allievi, soprattutto Bertagnini, allo studio di altri glucosidi.
Nel 1854, fu la volta della populina, una sostanza che riteneva simile, estratta dalle foglie del Populus tremula da Braconnot.41 Dato che questa pianta non vegetava in Toscana, Piria dovette aspettare che Tassinari se ne procurasse in Emilia e ne estraesse varie once.42
Poiché, per riscaldamento con acido solforico e bicromato, sviluppava vapori dall’odore caratteristico dell’idruro di salicile, Piria avanzò l’ipotesi che la populina contenesse della salicina. Poiché la sinaptasia non aveva nessun effetto su di essa, la trattò con acido cloridrico bollente, ottenendo acido benzoico, glucosio e una sostanza resinosa, che identificò come saliretina.
Dalle analisi centesimali, riportate in Tabella VI,36 ricavò una formula, C40H22O16, che corrispondeva alla somma di quelle della saligenina, dell’acido benzoico e del glucosio, meno quattro equivalenti d’acqua:42
C14H6O4 |
+ |
C14H8O4 |
+ |
C12H12O12 |
- |
4 HO |
= |
C40H22O16 |
acido benzoico |
saligenina |
glucosio |
acqua |
populina |
Tabella VI. Analisi centesimale e formula della populina
I |
II |
III |
Media |
Formula minima |
Formula riportata |
|
C |
56,49 |
56,49 |
56,36 |
56,45 |
20 |
40 |
H |
6,10 |
6,39 |
6,13 |
6,21 |
13 |
26 |
O |
37,56 |
37,12 |
37,53 |
37,40 |
10 |
20 |
Se, come era evidente, la populina risultava dalla combinazione di queste tre sostanze, per eliminazione dell’acido benzoico, si sarebbe dovuta convertire in salicina, che è la somma delle altre due. Effettivamente, trattando la populina con acqua di barite, e poi con acido solforico, precipitò l’acido benzoico; eliminato l’eccesso dei reattivi utilizzati, concentrando la soluzione, si formarono gli aghetti bianchi di salicina.42
Sebbene fosse, soprattutto, un abile sperimentatore, Piria era anche un osservatore tanto acuto da formulare ipotesi sensate per spiegare la composizione e il comportamento delle sostanze. In questo, però, era sempre molto cauto: Noi useremo parcamente delle teorie, soprattutto quando non hanno per base l’esperienza.43 Dopo averla individuata e definiti i suoi componenti, definiva la serie salicilica una semplice ipotesi, utile per spiegare le metamorfosi dell’idruro di salicile e a metterne in relazione i prodotti, dichiarandosi pronto ad abbandonarla, se la scoperta di altri fatti l’avesse dimostrata erronea.44
Era, tuttavia, innegabile che dai suoi esperimenti si potessero trarre delle considerazioni generali. Molecole complesse come la salicina e la populina risultavano dall’accoppiamento di molecole più piccole, che non subivano alterazioni, se non la perdita di uno o più equivalenti d’acqua; in generale, l’unione di n molecole avrebbe portato all’eliminazione di 2(n-1) equivalenti d’acqua (n-1 molecole). Nel composto che si formava, non cambiava la disposizione degli altri atomi dei residui, che, potevano poi separarsi inalterati, quando il prodotto si decomponeva, riacquistando gli atomi perduti, per somma di acqua.
A questa conclusione era già arrivato Gerhardt, per giustificare la formazione degli eteri composti, delle ammidi o delle sostanze grasse, anche se, almeno inizialmente, considerava i residui nient’altro che utili rappresentazioni dei componenti delle sostanze, senza alcun carattere reale, e non era interessato alle reazioni cui prendevano parte, all’interno delle molecole più grandi. Al contrario, Piria cercò spiegare come i residui si separavano o riunivano per dare i composti originali: riteneva che l’eliminazione di acqua fosse una condizione indispensabile per la riuscita della combinazione, come se, non avendo, nel loro stato naturale, un’affinità sufficiente per combinarsi, le molecole dovessero necessariamente creare dei vuoti, l’una perdendo ossigeno, l’altra perdendo idrogeno acciò la parte sporgente di ciascuno di essi gruppi possa allogarsi nella rientrante dell’altro.42 Con questa visione, le molecole perdevano la loro caratteristica di ammassi indistinti di elementi, per assumere una configurazione nella quale erano presenti alcuni punti di attacco, attraverso i quali unirsi l’una all’altra. Se non ancora individuati topograficamente, questi punti di attacco erano, almeno, caratterizzati chimicamente, come quelli nei quali preesistevano atomi di idrogeno e di ossigeno. Più in generale, Gerhardt aveva osservato che in molte reazioni di accoppiamento, questo avveniva per eliminazione di molecole piccole e stabili (come acqua, acido cloridrico, ammoniaca, diossido di carbonio) i cui atomi lasciavano due residui che poi si univano tra di loro; anche in questi casi, la posizione degli atomi uscenti, avrebbe consentito di individuare i punti di attacco.
Più che a questioni strutturali, Piria era, però, interessato a elaborare strategie analitiche e sintetiche: l’allontanamento selettivo di uno dei componenti da una molecola complessa, lasciando un residuo più semplice, avrebbe facilitato la loro caratterizzazione e quella della molecola originale, come già suggerito da Chevreul. D’altro canto, la sostituzione di un componente con un altro avrebbe creato una nuova sostanza, eventualmente sconosciuta, o non esistente in Natura, offrendo alla sintesi organica prospettive illimitate.
Come affermò Cannizzaro, avendo dimostrato la preesistenza dei residui nelle molecole complesse ed evitato di includere qualsiasi composto in uno dei tre tipi dominanti, Piria diede l’avvio a quel percorso che, dalla teoria della sostituzione e dei tipi di Dumas, avrebbe portato alle formule di struttura e alla concatenazione degli atomi di carbonio, elaborate, alla fine degli anni 50 del 1800, da Fredrich August Kekulé45 (1829-1896) e Archibald Scott Couper46 (1831-1892).
L’importanza di queste conclusioni, basate sullo studio delle reazioni chimiche e l’analisi dei prodotti, non va sottovalutata perché, non solo confermano l’ipotesi che gli atomi si dispongano ordinatamente all’interno di strutture invariabili, ma indicano anche in quali posizioni di queste strutture avvengano le sostituzioni, le eliminazioni o le aggiunte di atomi o gruppi di essi. Negli stessi anni, Kekulé, Scott Couper, Alexander William Williamson (1824-1904), Alexander Crum Brown (1838-1922), Alexander Michailovich Butlerov (1828-1886), Jacobus Henricus van’t Hoff (1852-1911) e Joseph Achille le Bel (1847-1930) contribuirono a tracciare la strada che avrebbe portato all’individuazione delle strutture molecolari, anche se, a parte van’t Hoff e Le Bel, gli altri le consideravano non rappresentazioni della realtà, ma strumenti didattici per visualizzare le differenti modalità di reazione.
L’approccio di Piria al problema della costituzione della salicina esemplifica chiaramente il suo metodo per lo studio dei composti organici: individuò e utilizzò opportune reazioni chimiche per dividere le molecole complesse in componenti più piccoli, detti principi prossimi, senza alterarne l’identità. Il passo successivo fu l’identificazione di questi principi e, assumendo che il processo di scissione non ne avesse modificato la natura, la proposta di un’ipotesi di costituzione delle molecole complesse, da confermare poi, ricostruendole per combinazione dei loro principi prossimi.47
Questo modo di procedere, attraverso scissioni e condensazioni, era già utilizzato da parecchi chimici europei, ma Piria vi introdusse un elemento di novità, che consisteva nel riconoscere la somma e la perdita di equivalenti d’acqua in questi processi. Tuttavia, il suo merito principale sta nell’aver dato un’impronta originale alla teoria dei tipi e a tutta la Chimica organica ottocentesca, dimostrando che il processo di condensazione procede, in termini moderni, dopo il distacco di un gruppo OH da un reagente e di un atomo di idrogeno dall’altro, e che i sostituenti si legano proprio nelle posizioni dalle quali essi si sono allontanati.
Tutto questo non poteva essere concepito senza una seppur confusa visione di quella topografia degli atomi nelle molecole organiche, che sarebbe stata individuata ed elaborata dai chimici sopra ricordati, compresi i palermitani Guglielmo Körner (1839-1925) ed Emanuele Paternò (1847-1935), che vi arrivarono, di nuovo, stabilendo una relazione tra le molecole trattate e i prodotti ottenuti.
L’autore ringrazia Renato Noto, Professore Emerito dell’Università di Palermo, che gli ha fornito le immagini delle formule di struttura riportate in Tabella VII.
Tabella VII. Elenco dei composti citati*
*Gli anni tra parentesi si riferiscono alle pubblicazioni nelle quali le formule brute sono riportate.
1 F. Szabadváry, A. Robinson, The History of Analytical Chemistry, in Wilson and Wilson’s Comprehensive Analytical Chemistry (Ed. G. Svehla), Elsevier Science Publ. Co., vol. X, Amsterdam, 1980, 104-105.
2 A. Focà, F. Cardone, Raffaele Piria, Medico Chimico Patriota Innovatore della Chimica in Italia, Laruffa editore, Reggio Calabria, 2003.
3 P. Marson, G. Pasero, Il contributo italiano alla storia dei salicilati, Reumatismo, 2006, 58(1), 66-75.
4 C. Lucchetta, R. Piria, padre della farmacologia moderna e inventore dell’aspirina, Dal rinascimento al Risorgimento. Il ruolo dei calabresi nel pensiero moderno nell’Unità d’Italia, Lamezia Terme, 30 agosto 2010, (https://www.uniglobus.it/files/Rianscimento.pdf).
5 J. B. A. Dumas, Rapport sur un Mémoire de M. Piria, intitulé: Recherches sur la Salicine et les produits qui en dérivent, Comptes Rendue, 1839, VIII, 479-485; vedi D. Marotta, Rif. [6], 466-474.
6 D. Marotta, Raffaele Piria lavori scientifici e scritti vari, Tipografia Editrice Italia, Roma, 1932.
7 R. Piria, Sur la composition de la Salicine et sur quelques-unes de ses réactions, Comptes Rendue, 1838, VI, 338; vedi D. Marotta, Rif. [6], 453-454.
8 R. Piria, Sur de nouveaux extraits de la Salicine, Comptes Rendue, 1838, VI, 620-624; vedi D. Marotta, Rif. [6], 454-460.
9 R. Piria, Recherches de chimie organique sur la Salicine et les produits qui en dérivent, Comptes Rendue, 1838, VII, 935-940; vedi D. Marotta, Rif. [6], 461-466.
10 R. Piria, Ricerche sulla salicina e i prodotti che ne derivano, Ann. Chim. et Phys., 1838, III ser., LXIX, 281-325; vedi D. Marotta, Rif. [6], 117-151.
11 R. Piria, Osservazioni sopra la salicina, Atti della Quinta Unione degli Scienziati Italiani, tenuta in Lucca (1843), 213-219; vedi D. Marotta, Rif. [6], 153-159.
12 R. Piria, Ricerche di chimica organica sulla salicina, Annali di chimica fisica e matematiche diretti da Gianalessandro Majocchi, Bologna 1845, XIX e XX; 1846, XXI e XXII; vedi D. Marotta, Rif. [6], 161-250.
13 R. Piria, Ricerche di Chimica Organica, presso i Fratelli Nistri, Pisa, 1845.
14 J-B. A. Dumas, Leçons sur la philosophie chimique, Gauthier-Villars Editeur, Parigi, 1837, 163.
15 J-B. A. Dumas, Rif [14], 178.
16 R. Piria, Lezioni elementari di Chimica organica, Tipografia di G. Paravia e comp., Torino, 1865.
17 R. Piria, Lettera a Stanislao Cannizzaro del 4.1.1864, in L. Paoloni, Lettere a Stanislao Cannizzaro 1863-1868, Seminario di Storia delle Scienze, 1993, Quaderno n° 3, Palermo, Facoltà di Scienze dell’Università, 340.
18 R. Piria, Rif. [13], 3-4.
19 T. J. Pelouze, J. Gay-Lussac, Annalen der physik, 1830, 95, 304.
20 R. Piria, Rif. [10], in D. Marotta, Rif. [6], 118-119.
21 Per distinguerle da quelle moderne, le formule attribuite da Piria alle diverse sostanze sono state riportate con gli indici ad apice, secondo la convenzione adottata prima del congresso di Karlsruhe (1860). Inoltre, seguendo l’esempio di Dumas, Piria separava con il segno + o con una virgola l’atomo o il gruppo di atomi che poteva essere facilmente sostituito, per distinguerlo dal resto della molecola.
22 R. Piria, Rif. [7]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 453.
23 R. Piria, Rif. [10]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 119-122.
24 J. B. A. Dumas, J. Liebig, Note sur l’état actuel de la Chimie organique, Comptes Rendue, 1837, V, 567-572.
25 R. Piria, Rif. [10]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 131.
26 R. Piria, Rif. [10]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 120.
27 R. Piria, Rif. [12]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 227.
28 A. Ladenburg, Lectures on the History of the Development of Chemistry, The Alembic Club, Edinburgh, 1900, 140-142.
29 R. Piria, Rif. [13], 47-48.
30 R. Piria, Rif. [12]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 229.
31 J.-B. A. Dumas, Rif. [5]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 467.
32 J.-B. A. Dumas, Rif. [5]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 473-474.
33 R. Piria, Rif. [10]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 148.
34 R. Piria, Rif. [12]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 168.
35 R. Piria, Rif. [12]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 176.
36 R. Piria, Rif. [12]; vedi D. Marotta, Rif. [6], 181-182.
37 R. Piria, Rif. [13], p. 23.
38 R. Piria, Rif. [16], 429.
39 R. Piria, Rif. [16], 60-61.
40 S. Cannizzaro, Discorso pronunziato inaugurando il busto di Piria nell’Istituto Chimico della R. Università di Torino; vedi D. Marotta, Rif. [6], 20.
41 H. Braconnot, Annalen der physik, 1830, 96, 47-63.
42 R. Piria, Il Nuovo Cimento, 1 (1855) p. 198-219; vedi D. Marotta, Rif. [6], 285-305.
43 R. Piria, Rif. [16], 35.
44 R. Piria, Rif. [13], 71.
45 W. A. Kekulé, Annalen der Chemie und Pharmazie, 1858, 106, 129-159.
46 A. S. Couper, Comptes Rendue, 1858, 46, 1157-1160.
47 L. Cerruti, E. Torracca, Development of Chemistry in Italy, 1840-1910, in The Making of the Chemist (Eds. D. Knight, H. Kragh), Cambridge University Press, 1998, 145.