l processo di decarbonizzazione è indispensabile per la transizione ecologica

Fabio Olmi

e-mail: fabio.olmi@gmail.com


Indice

1. Introduzione

2. La decarbonizzazione nell’industria

3. L’agricoltura 87

4. La decarbonizzazione nei trasporti

5. La decarbonizzazione degli edifici

6. La produzione di energia elettrica

7. Le rinnovabili in Italia 98

8. L’inquinamento dovuto al digitale

9. Cosa (non) facciamo in Italia per combattere il cambiamento climatico

10. Ma la decarbonizzazione pone gli stessi problemi a tutti i Paesi del mondo?

11. Quale messaggio è emerso dalla COP28 e dalla COP29?




Abstract. After having clarified what is meant by decarbonization, the article examines the interventions necessary to pursue it by the different sectors: industrial processes, agriculture, transport, the construction sector, electricity production and use of the network. From what emerges in the various sectors our country is far behind in the decarbonization processes in all sectors and a strong acceleration is necessary if we want to achieve the European objectives for 2030. The PNRR, which should constitute the main instrument for tackling the battle against fossil fuels and pushing the use of renewable energy, is proceeding with difficulty and we are not yet seeing a decisive contribution to the decarbonization process: we risk being more indebted than before without having addressed the structural problems.

Keywords: processi di decarbonizzazione; PNRR e decarbonizzazione; COP 28 e COP 29


1. Introduzione

Decarbonizzazione significa procedere verso l’eliminazione dei combustibili fossili nei vari processi in cui vengono impiegati. Lo scopo di questo contributo è quello di tracciare un quadro di come si può affrontare la decarbonizzazione dei diversi processi ora dipendenti dai combustibili fossili e di fornire un quadro della situazione attuale. Per avere un’idea precisa degli obiettivi che abbiamo dinanzi è opportuno partire da quelli indicati dall’Europa relativi al 2030 e al 2050.

La normativa europea sul clima prevede di ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 55% entro il 2030, tra sei anni, con l’obiettivo finale di rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050.

Attenzione però: la decarbonizzazione non dipende solo dall’impiego del Sole, del vento e dell’acqua per produrre l’energia a noi necessaria nella forma elettrica, ma ne costituisce solo una parte, nonostante sia quella più rilevante (pari a circa il 70%). Il restante 30% dipende essenzialmente dalle industrie, dall’agricoltura, dai trasporti e dal riscaldamento e raffreddamento delle nostre abitazioni.

Allora, se è essenziale puntare sulle rinnovabili per la produzione dell’energia elettrica, è anche necessario rendere ecosostenibili l’industria, l’agricoltura, i trasporti (aereo, marittimo, ferroviario e quello su strada) e, infine, trasformare le nostre abitazioni da colabrodo di energia in abitazioni sostenibili.

La decarbonizzazione è, dunque, un processo molto complesso la cui soluzione dipende dalla realizzazione contemporanea di una gamma di interventi differenziati e, pertanto, è un processo di grande difficoltà realizzativa, anche per l’impegno economico gigantesco che comporta.

Andiamo però con ordine ed esaminiamo in dettaglio i vari settori da cui dipende la decarbonizzazione.

2. La decarbonizzazione nell’industria

L’industria rappresenta una componente fondamentale dell’economia europea e, secondo Eurostat, nel 2018 rappresentava il 17,6% del prodotto interno lordo e impiegava 36 milioni di persone.1 L’industria è però responsabile di una grossa fetta delle emissioni climalteranti oltre che del rilascio di inquinanti nell’acqua e nel suolo. Limitatamente all’inquinamento atmosferico, l’industria contribuisce a circa il 25% dell’inquinamento, tuttavia, mentre le piccole e medie industrie manifatturiere sono responsabili di circa il 15% dell’inquinamento, il contributo di due grandi industrie, siderurgia e cementifici rappresentano rispettivamente il 5% e il 4% dell’inquinamento stesso.

Esaminiamoli allora in particolare, per comprendere se e come si può giungere alla loro decarbonizzazione.

2.1 La siderurgia

La produzione di ferro-acciaio è un settore che produce forti quantità di gas serra, essenzialmente CO2.

Bisogna però distinguere i due fondamentali processi di produzione siderurgica: la produzione di “acciaio primario” ottenuto dal minerale attraverso l’altoforno e il convertitore, e la produzione di “acciaio secondario” ottenuto dalla fusione dei rottami di acciaio in forni elettrici (Figura 1).

Figura 1. Forno elettrico ad arco

Nella produzione di acciaio primario si producono fino a 2 kg di CO2 per 1 kg di acciaio prodotto. In questo caso la trasformazione del minerale (ossidi di ferro) in ferro viene fatta attraverso l’impiego di carbon coke che, reagendo con l’ossigeno del minerale, libera CO2.2

La produzione di acciaio attraverso il forno elettrico (riciclo dell’acciaio) genera circa 400-500 g di CO2 per 1 kg di acciaio prodotto, quasi un quarto di quella per produrre acciaio primario. Tuttavia, nella produzione di acciaio secondario si ottiene una gran quantità di vari tipi di polveri che devono essere abbattute.3 Ogni impianto di forno fusorio produce 15-20 kg di polveri per tonnellata di acciaio ottenuto.

In Italia si riciclano circa 16.000.000 tonnellate di rottame ferroso, di cui 10 milioni provengono dal mercato nazionale e il resto dall’importazione. Con questa produzione di acciaio elettrico di riciclo l’Italia ottiene circa l’80% di acciaio ed è oggi il primo produttore in Europa e il quarto nel mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Cina.

Se non si pone il problema della decarbonizzazione del processo di produzione dell’acciaio elettrico, nella produzione dell’acciaio primario si può procedere a una progressiva decarbonizzazione sostituendo il carbone con una miscela di gas nei processi di “riduzione diretta”4 e puntando, infine, al trattamento con idrogeno. In Svezia è stato messo a punto nella città di Lulea l’impianto pilota denominato Hybrit che anticipa la costruzione della prima acciaieria ad idrogeno su scala industriale.5 Nella trasformazione della nostra acciaieria ex ILVA (la più grande d’Europa) sono previsti vari interventi antinquinamento, fra cui l’impiego dell’idrogeno come fonte di energia. Tuttavia, il processo appare assai problematico per responsabilità dell’attuale proprietà del siderurgico. In altre parole, la decarbonizzazione della produzione di acciaio primario in Italia è tutta da costruire.

2.2 La produzione di cemento

La produzione di cemento coinvolge il consumo di circa il 50% di tutte le materie prime estratte a livello mondiale, pari a circa 42 miliardi tonnellate all’anno.

Nella produzione del cemento6 con la calcinazione si genera l’emissione di quasi 1 tonnellata di CO2 per tonnellata di cemento prodotto. L’industria del cemento è responsabile, come abbiamo accennato sopra, di circa il 5% del totale di emissione della CO2. 7

Il combustibile impiegato per portare i forni alla temperatura di quasi 1500 °C è stato il carbone; questo viene sempre più spesso sostituito dai rifiuti e, pertanto, la decarbonizzazione del processo di fabbricazione del cemento è assai problematica: attualmente non è in atto alcun processo, nemmeno sperimentale, di produzione decarbonizzata del cemento. Federbecton,8 come si legge in un suo comunicato del 15/3/2022, sta lavorando per decarbonizzare la filiera del cemento attraverso:

  • utilizzo nell’immediato di combustibili alternativi a quelli fossili (carbone), ad esempio derivati dai rifiuti non riutilizzabili

  • ricorso a gas naturale di minor impatto carbonico

  • utilizzo dell’idrogeno in prospettiva

  • implementazione di tecnologie Carbon Capture

  • Ho forti riserve sulla Carbon Capture che ritengo poco affidabile, dispendiosa e non sicura. L’utilizzo di idrogeno verde presuppone la sua disponibilità in grande quantità e a un prezzo molto più basso dell’attuale.

    Concludendo, la decarbonizzazione del settore industriale procede assai lentamente e, per raggiungere i target previsti per il 2030, dovrebbe andare ad una velocità otto volte superiore all’attuale.9

    3. L’agricoltura

    L’agricoltura è molto esposta agli eventi estremi legati al cambiamento climatico che condizionano negativamente la resa dei raccolti e aggravano le crisi economiche e di sicurezza alimentare in diversi Paesi del mondo. Le perdite maggiori sono state registrate finora nelle produzioni di cereali, in quelle di frutta, verdura e nei comparti di produzione di carne, latticini e uova.

    Quali sono gli interventi che si stanno perseguendo per realizzare sistemi agricoli più resistenti ai disastri atmosferici e meno inquinanti, rendendo la produzione agricola più sostenibile?

    Il PNRR dispone risorse per il settore (3,68 miliardi di euro) orientate a realizzare parchi agrivoltaici, che consentono di produrre energia elettrica da fotovoltaico e continuare a coltivare il terreno sottostante (Figura 2), a installare pannelli fotovoltaici su capannoni per dare energia a sistemi di ventilazione e/o di raffreddamento, ad aumentare l’efficienza dei sistemi irrigui, a migliorare macchinari e automezzi, a riciclare i reflui agroalimentari e a produrre biometano, razionalizzando anche la gestione delle deiezioni animali.

    Il 7% delle emissioni nazionali di gas serra provengono dal settore agricolo. L’agricoltura è responsabile però anche di inquinamento del suolo, delle acque oltre che dell’aria. L’impiego di fertilizzanti per il terreno, di antiparassitari per le colture e il trattamento delle erbe infestanti interessano terreno ed acque. L’inquinamento dell’aria proviene dalle lavorazioni dei terreni, dai trasporti dei prodotti agricoli e, soprattutto, dagli allevamenti di animali soprattutto di bovini (Figura 3).

    Figura 2. Lavorazione del terreno con agrivoltaico

    Figura 3. Apporti di gas serra da attività agricole: i maggiori produttori sono gli allevamenti di vacche e altri bovini

    L’inquinamento dell’atmosfera per gas serra da parte dell’agricoltura, pur essendo in progressivo calo dal 1990 a oggi, interessa sempre un elevato rilascio di gas serra, precisamente circa 30,2 Mt di CO2 nel 2018 (erano 34,7 Mt nel 1990)10 con una variazione di -13,0%.11

    Le componenti dell’inquinamento atmosferico sono costituite da metano, protossido di azoto e diossido di carbonio e provengono essenzialmente dai suoli agricoli, dalle deiezioni animali e dalla loro gestione.

    Dobbiamo tener presente, però, che l’agricoltura non potrà mai arrivare alla decarbonizzazione totale dei propri processi per la sua propria natura e la figura 4 mostra che nel 2050 potrà essere ancora responsabile dell’emissione di 24 Mt di CO2 equivalenti per anno.

    Figura 4. L’agricoltura potrà diminuire di poco i suoi apporti di gas serra (1990-2050)

    4. La decarbonizzazione nei trasporti

    Un recente studio del World Resources Institute individua la quantità di emissioni di CO2 equivalente12 prodotta da ogni singolo settore di attività. Il totale delle emissioni prodotte da tutti i settori è di 49,4 miliardi t di CO2 equivalente nel corso dell’anno (2022). Il settore dei trasporti, responsabile complessivamente del 16,2% delle emissioni totali, verrà esaminato occupandoci del contributo di ciascun tipo di trasporto.

    4.1 Trasporto aereo

    Il trasporto aereo contribuisce con circa il 2% alle emissioni globali di CO2. È stato stilato un patto per la decarbonizzazione del trasporto aereo promosso da gruppi di interesse, associazioni (Ita Airway, Airbus, Easyget, Aeroporti di Roma, ENI, IATA, ecc.) che si propone di promuovere la riduzione delle emissioni di CO2 degli aeromobili, in prima istanza attraverso l’impiego i cosiddetti Sustainable Aviation Fuel, utilizzabili senza alcuna modifica tecnica dei velivoli, delle infrastrutture e dei mezzi di rifornimento. Si tratta di utilizzare i cosiddetti e-fuel e l’Enea ha avviato una ricerca per sviluppare carburanti green per aerei basati sulla combinazione di idrogeno verde e CO2.13 Il piano per l’idrogeno è finanziato dal ministero per l’Ambiente con fondi PNRR.14 Gli e-fuel sono dal punto di vista chimico-fisico equivalenti ai corrispondenti combustibili fossili, ma hanno un’impronta carbonica nulla15 se prodotti con idrogeno verde; purtroppo, hanno ancora costi elevati di produzione (Scheda 1).

    La decarbonizzazione del settore aereo riguarda anche la ricerca di aerei di nuova struttura: è di qualche anno fa la notizia che l’Airbus ha in progetto aerei commerciali con propulsione a idrogeno.16 Recentemente, il responsabile delle infrastrutture per le nuove energie di Airbus, Zeroe Cristofe Arnold, ha dichiarato che Airbus prevede di mettere in servizio il primo aereo passeggeri a idrogeno nel 2035.17 I voli di prova potrebbero iniziare nel 2026 con un A380 provvisto di apposito motore con serbatoi di idrogeno liquido. Arnold ha spiegato che “abbiamo due esemplari di aereo su cui stiamo lavorando, il primo è un aereo da 100 posti, il secondo da 200. Il minor numero di passeggeri rispetto a un attuale aereo è dovuto al maggior ingombro dei serbatoi di idrogeno rispetto a quelli degli attuali combustibili liquidi”.


    Scheda 1 - Gli e-fuel

    La Commissione Europea sui carburanti consente l’impiego dei motori termici anche dopo il 2035 purché in essi vengano impiegati e-fuel a neutralità carbonica. Si tratta, come accennato, di carburanti sintetici ottenuti dalla reazione tra idrogeno verde e CO2.

    Purtroppo, i costi di produzione sono attualmente assai elevati e il loro utilizzo non appare per ora vantaggioso: potrebbero alimentare solo macchine di lusso. Il bilancio della combustione degli e-fuel ha impatto zero sulla CO2, perché viene emessa quella che è stata impiegata all’origine mediante la sintesi con l’idrogeno. Non è dato sapere come avvenga il processo di sintesi perché protetto da brevetto.


    Secondo l’amministratore delegato di SEA (Società Servizi Aeroportuali)18, Armando Brunini: “L’idrogeno è un passo obbligato e non esistono altre alternative valide per l’aviazione civile: è necessario fare un salto tecnologico che prevede appunto aerei a idrogeno. Airbus scommette su questa tecnologia”. Si punta anche alla “realizzazione di un primo piccolo impianto di produzione di idrogeno in un aeroporto nel 2024. Sarà una prima pietra miliare per rendere i nostri aeroporti pronti per l’idrogeno”.

    Il motore a idrogeno, che verrà testato su un A380 (Figura 5), verrà montato lungo la fusoliera posteriore e collegato con un serbatoio criogenico per idrogeno liquefatto.19 Il sottoprodotto della combustione con l’ossigeno, l’acqua, verrà espulsa da un’uscita sul retro.


    Figura 5. L’Airbus 380 che sta sperimentando il motore ad idrogeno

    La decarbonizzazione del trasporto aereo si sta avviando, ma è ancora tutta da concretizzare.

    4.2 Trasporto marittimo

    Circa il 90% delle merci è trasportato per via marittima da un numero di navi impressionante, oltre 100.000 mercantili che movimentano circa 12 miliardi di tonnellate di merci all’anno. Il trasporto marittimo produce un’emissione di CO2 pari a circa il 3% di quella totale. A livello europeo il trasporto marittimo muove circa il 75% del commercio extraeuropeo e il 36% di quello intraeuropeo.

    È questo il settore in cui si lavora per riuscire a impiegare quanto prima i bio-fuel come fonti energetiche (Scheda 2).


    Scheda 2 – Caratteristiche e impieghi dei diversi bio-fuel

    I biofuel sono definiti carburanti ecosostenibili perché non vengono ricavati da fonti fossili, tuttavia, se da un lato questo può essere un risparmio nell’impiego del petrolio e costituiscono prodotti di riciclaggio di rifiuti, dall’altro la loro combustione emette comunque CO2 perché provengono sempre da materiali organici.
    Vediamo caratteristiche e impieghi dei biofuel.

    1) Bioetanolo – Viene utilizzato come additivo delle benzine in miscele di tipo 85% di etanolo e 15% di benzina e 10% di etanolo e 90% di benzina. Quasi tutte le attuali auto possono impiegare queste miscele. Il bioetanolo può essere anche usato come tale in motori opportunamente predisposti, come avviene in Brasile. Il bioetanolo si ricava dalla fermentazione alcolica: per azione di appositi lieviti si trasformano gli zuccheri in bioetanolo come si attua, ad esempio, a partire dalla lavorazione della canna da zucchero. Senza sfruttare sostanze utili all’alimentazione umana si può ricavare dalla lignocellulosa (bioetanolo di seconda generazione). Tuttavia, questo processo chimico è costoso e fornisce una bassa resa.

    2) Biodiesel – Questo biofuel si produce da oli vegetali e può essere utilizzato direttamente in tutti i motori a gasolio. Le sostanze di partenza per la sua produzione sono dunque trigliceridi e si tratta in pratica di olio di soia, girasole, ecc., ma, per non interferire con il sostentamento umano, si usano anche gli oli di scarto e quello (non alimentare) proveniente dalla pianta Jatropha Curcas che può crescere in terreni non altrimenti utilizzabili (proviene dall’India).

    3) Biobutanolo – È un alcol tipo il bioetanolo e ha vari impieghi come additivo alle benzine; ha potere energetico più elevato del bioetanolo e, importante, minore corrosività. Viene prodotto con una particolare fermentazione (ABE) da biomasse di prima o seconda generazione.

    4) Biogas – Il biogas o biometano è una miscela di metano e CO2 prodotta a partire da biomasse. Si può produrre a partire da scarti di lavorazione agricole, da residui di attività industriali o dall’organico della raccolta differenziata cittadina. Il processo si basa sull’azione di microrganismi che producono la metanogenesi in reattori più o meno grandi (biodigestori). Al termine del processo il metano viene separato dalla CO2 producendo un biofuel poco costoso.


    Del settore dei bio-fuel si occupa in Italia l’ENI. Nonostante l’Europa abbia respinto la proposta, fatta anche dall’Italia insieme ad altri Paesi, di considerare ecocompatibili i bio-fuel, la nostra ENI cerca con decisione di trovarsi un campo in cui poter “piazzare” la propria produzione di bio-fuel proveniente dalle bio-raffinerie di Gela e Marghera. A tale scopo ENI ha presentato un documento in collaborazione con varie associazioni, tra cui Assoarmatori e Confitarma, dal titolo “La rotta verso net zero. Insieme per la decarbonizzazione del settore marittimo”.

    In tale documento si afferma che i vettori oggi disponibili sono molteplici e in prospettiva ci sono carburanti sintetici e idrogeno. I biofuel rappresentano una soluzione già disponibile per il breve-medio termine e ENI ha manifestato la sua volontà di partecipare a fornirli. Intanto gli armatori si stanno orientando verso la messa a punto di motori mono-fuel e dual-fuel, che utilizzino vettori liquidi o gassosi, anche bio.

    Una notizia abbastanza recente (settembre 2023) ci informa che si possono precorrere anche i tempi in fatto di vettori energetici:20 la Divisione Crociere del Gruppo MSC ha ordinato a Fincantieri due navi a idrogeno per il suo brand di lusso Explora Journeis (Figura 6). L’accordo, del valore di 1,2 miliardi di euro, completa un investimento totale di 3,5 miliardi per sei navi Explora Journeis. Le due navi ordinate verranno consegnate nel 2027 e 2028.


    Figura 6. Una nave che sarà alimentata a idrogeno

    4.3 Trasporto ferroviario

    Il trasporto ferroviario è responsabile di una piccola percentuale della produzione di CO2, precisamente dell’1,5%, essendo il settore più largamente elettrificato. L’inquinamento da CO2 è dovuto al fatto che il 28% della rete ferroviaria del nostro Paese non è elettrificata e corrisponde a 4.700 km di lunghezza, su un totale di 16.800 km. Su queste reti secondarie circolano treni a trazione diesel ed è da qui che proviene la maggior parte dell’immissione in atmosfera della CO2. Una parte dell’impatto ecologico del vettore ferroviario è dovuta anche alla costruzione delle infrastrutture ferroviarie, in ferro, acciaio e cemento.

    Poiché è più conveniente ricorrere a treni ecocompatibili diversi dagli attuali che elettrificare le linee, si è iniziato a sostituire i treni usando motrici a trazioni diverse dal diesel. Alla Expo Ferroviaria 2023 di Rho è stato presentato il treno a batteria per la tratta Altamura –Matera e il 3 ottobre 2023 è stato inaugurato il primo treno a idrogeno per la tratta Milano-Brescia-Iseo-Edolo. Questo treno, commissionato da Trenord, è stato realizzato in Italia dalla Alstom, è chiamato Coradia Stream (Figura 7) ed ha un’autonomia di 600 km come quelli diesel. Il progetto è finanziato con 2 miliardi di euro dal PNRR.


    Figura 7. Il treno a propulsione ad idrogeno delle Ferrovie Nord (2023)

    Naturalmente questi treni (ne sono stati commissionati sei da Trenord) hanno bisogno di stazioni di ricarica. Chi produrrà l’idrogeno per questi? Si sta costruendo una stazione di ricarica presso Brescia, una ad Iseo e una a Edolo.

    È chiaro che siamo appena agli inizi di questa importante trasformazione per decarbonizzare le linee non elettrificate della rete italiana, ma la strada è tracciata.

    4.4 Il trasporto su strada

    Come abbiamo già accennato, i trasporti in Italia, in linea con la media europea, contribuiscono alle emissioni totali di gas serra per circa il 25% e il 92,6 % di questi, pari a circa il 23,15%, sono prodotti dal trasporto su strada. Dal Rapporto del Parlamento Europeo “Emissioni di CO2 delle auto: i numeri e i dati” si ricava che il settore dei trasporti è responsabile in Europa del 30% delle emissioni totali di CO2. Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) le emissioni di gas serra dai trasporti provengono per il 69% dalle auto, per il 25% dal traffico merci e dal 3% da autobus e un altrettanto 3% dalle due ruote, in particolare motocicli. È preoccupante che il trasporto su strada presenti un aumento di emissioni di gas serra dal 1990 a oggi e rappresenti, come accennato sopra, il 23,15% delle emissioni nazionali. Il peso preponderante oggi è ancora determinato dai combustibili fossili, gasolio e benzina, che costituiscono l’88% dei propellenti impiegati per i trasporti su strada.

    Nel 2019 il trasporto su strada è stato anche la principale fonte di emissione di ossidi di azoto con il 43% del totale nazionale, nonostante dal 1990 si registri una forte riduzione. Le emissioni di particolato fine rappresentano dal 1990 al 2019 il 10,2% del totale emesso a livello nazionale.

    Si possono ridurre le emissioni di gas serra delle auto rendendo i veicoli più efficienti, ma soprattutto cambiando il tipo di alimentazione delle auto. Sempre nel 2019 la maggior parte del trasporto stradale in Europa è stato alimentato per 66,7% da gasolio (diesel) e dal 24,55% da benzina. La percentuale delle macchine ad alimentazione elettrica (full-electric, ibride e plug-in) è ancora assai modesta, è circa il 10%, pur con forte incremento delle immatricolazioni negli ultimi anni. In Italia, fanalino di coda in Europa, eravamo nel 2023 al 4%.

    Non si può fare a meno di registrare che l’anno 2024 è stato un anno di grande crisi dell’industria automobilistica in tutta Europa. L’Italia ha fatto registrare nel 2024 un calo di produzione del 30% rispetto all’anno precedente e nel mese di settembre il calo è stato addirittura del 50,5%.21

    Francesco Boccia (Pd) ha proposto “l’istituzione di un fondo pluriennale per la competitività europea per supportare le imprese del settore implicate nella transizione ecologia”, soldi che servirebbero a sostenere la “riconversione produttiva e l’innovazione settoriale”.

    In crisi è soprattutto il full-elettric: in Europa il mercato è sceso nel 2024 all’11,96% contro il 15,7% registrato nel 2023 e in Italia si è passati al 2,1% dal 4,2 del 2023.

    I motivi sono molteplici: auto troppo care, colonnine di ricarica in aumento, ma molto poche quelle a carica rapida, scarsi e non continui incentivi (gli ultimi incentivi stanziati nel nostro Paese sono stati assegnati in poche ore),22 resistenza al cambiamento. Da parte delle fabbriche si sta, pertanto, sviluppando un cambiamento di rotta per l’elettrico che va verso il full-hybrid, cioè verso le vetture caratterizzate da un motore termico affiancato da uno elettrico la cui batteria è ricaricabile senza collegamento esterno.23

    Infine, è importante osservare che i tassi delle emissioni di CO2 di un’auto devono prendere in considerazione non solo le emissioni generate durante l’uso del veicolo, ma anche quelle prodotte dalla sua produzione e dal suo smaltimento. Comunque, tenendo conto del mix energetico medio in Europa, le auto elettriche hanno già dimostrato di essere più ecologiche rispetto ai veicoli alimentati da carburanti fossili.

    Inoltre, la Commissione Politiche dell’UE dell’Italia ha bocciato la direttiva europea sui mezzi pesanti che prevedeva la svolta green entro il 2040 e questa svolta green degli autotrasporti è stata per ora rimandata: “la strada da percorrere deve essere realistica e non a scapito della nostra economia, è necessario più tempo e incentivi”.

    Purtroppo, camion, autobus urbani e a lunga percorrenza incidono per oltre il 6% sulle emissioni di gas serra dell’UE. Si tratta di circa un quarto di quelle prodotte dal trasporto stradale.

    5. La decarbonizzazione degli edifici

    Per raggiungere il comfort climatico, ogni metro quadrato delle nostre case, ha bisogno in media di 213,8 kWh, producendo un’emissione di 44,8 Kg di CO2. Detto in altre parole, viviamo in edifici inefficienti da un punto di vista energetico che, nel 60% dei casi, si trovano in classe energetica F o, addirittura, G.

    In Italia 17,5 milioni di abitazioni sono riscaldate a gas metano e dal settore residenziale proviene il 18,5% delle emissioni climalteranti e il 53% delle emissioni di PM10.24 I dati del nuovo studio sulla decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento realizzato da Elemens per Legambiente e Kyoto Club sostengono: “Stop agli incentivi del 110% per le caldaie a gas e ai sussidi ambientalmente dannosi. Sì a pompe di calore, solare termico e caldaie efficienti a biomassa legnosa”.

    La decarbonizzazione del settore edilizio appare molto complessa, interessa molti milioni di famiglie e gravose sono le spese che queste dovrebbero sostenere per ottenere risultati ambientalmente validi. Vanno anche messi in evidenza aspetti negativi derivanti, ad esempio, dal dotare le pareti con il cosiddetto “cappotto” poiché, come conseguenza, gli ambienti dovranno essere ventilati sia in uscita che in ingresso 24 ore su 24 per consentire la loro vivibilità ed evitare la formazione di muffe: in altre parole l’abitazione viene trasformata in una sorte di “sommergibile”.

    Il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del comparto per il 2030 appare praticamente irraggiungibile per l’Italia, ma anche per altri Paesi europei, e, dopo le richieste di cambiamenti al regolamento avanzate da vari Paesi europei, tra i quali l’Italia, l’Europa si prepara all’approvazione di una transizione soft più lunga.25

    6. La produzione di energia elettrica

    L’emergenza climatica si fa sempre più implacabile e l’esigenza di agire sulle modalità con cui viene prodotta l’energia elettrica è sempre più urgente: dobbiamo eliminare rapidamente le centrali termiche a carbone, a petrolio e a gas e puntare decisamente sulle rinnovabili che ci forniscono direttamente energia elettrica senza alcuna conversione e senza rilascio di sostanze climalteranti.

    La Tabella 1 mostra il contributo crescente negli anni della produzione di CO2 del settore termoelettrico.

    Tabella 1. Emissioni di CO2 (in Mt) dal settore termoelettrico per tipo di combustibile

    Combustibili

    1990

    1995

    2000

    2005

    2010

    2015

    2016

    2017

    2018

    2019

    2020

    2021*

    Solidi

    28,1

    20,8

    22,4

    40,4

    35,5

    39,1

    32,1

    28,6

    25,4

    17,3

    12,5

    12,4

    Gas naturale

    21,2

    24,6

    49,3

    67,4

    68,1

    49,5

    55,7

    61,1

    56,4

    61,3

    58,5

    62,4

    Gas derivati

    6,7

    6,4

    6,4

    11,4

    8,0

    4,5

    5,7

    4,5

    4,5

    4,3

    2,9

    3,2

    Petroliferi

    70,2

    81,4

    61,2

    36,2

    20,0

    10,1

    9,2

    8,7

    8,4

    7,5

    7,6

    5,5

    Altri
    combustibili

    0,1

    0,2

    0,5

    2,5

    3,2

    3,5

    3,6

    3,5

    3,5

    3,5

    3,4

    3,5

    Totale

    126,4

    133,5

    139,8

    157,8

    134,8

    106,6

    106,3

    106,5

    98,1

    94,0

    84,9

    87,1

    *Stime preliminari di ISPRA


    L’elettricità verde ha ormai sorpassato quella prodotta dal metano e, entro l’anno prossimo, secondo la International Energy Agency (IEA), supererà anche quella prodotta dal carbone.26

    Le fonti rinnovabili sono diventate da tempo mature e competitive nello scenario energetico e non si deve trascurare anche l’aspetto della sicurezza energetica. Si calcola che l’UE, per combattere la dipendenza dal gas russo, con le rinnovabili ha risparmiato 100 miliardi di euro nel periodo 2021-2023 con la sostituzione di parte della produzione dai combustibili fossili più costosa con energie rinnovabili.

    Se consideriamo che nel 2022, secondo l’ultimo rapporto sulle energie rinnovabili del WETO (World Energy Transition Outlook) e l’Agenzia IRENA, le energie verdi hanno contribuito al 30% della produzione di elettricità mondiale, bisognerebbe triplicare ogni anno e fino al 2030 la nuova potenza di energia pulita, aggiungendo 1000 GW all’anno nel mondo, per mantenere entro 1,5 °C l’incremento della temperatura del pianeta.

    Mentre l’aumento del contributo dell’idroelettrico e della geotermia sarà limitato ad alcuni Paesi e sarà di entità generalmente modesta, è il solare e l’eolico che dovranno fare un grande balzo in avanti.

    7. Le rinnovabili in Italia

    È molto tempo che si attendeva l’approvazione del decreto che dovrà identificare le aree idonee all’installazione di nuovi impianti rinnovabili. Nell’agosto del 2023 il ministro dell’Ambiente ha finalmente resa nota una bozza del decreto sulla individuazione delle aree idonee ad ospitare impianti di energie rinnovabili.27 Il testo contiene inoltre la ripartizione regionale fino al raggiungimento di 80 GW entro il 2030. Le zone interessate per impianti rinnovabili sarebbero: cave e miniere non recuperate o abbandonate; siti in cui sono già installati impianti della stessa fonte; beni immobili individuati dall’agenzia del demanio; beni statali; siti nella disponibilità delle società del gruppo Ferrovie dello Stato, delle società concessionarie autostradali e delle società di gestione aeroportuale.

    Nella bozza del decreto si individuano criteri e obiettivi per ciascuna Regione.28 In particolare l’impegno più grosso interessa la Sicilia con circa 10.400 MW, segue la Lombardia con circa 9000 MW, poi la Puglia con circa 7300 MW, l’Emilia-Romagna con circa 6300 MW e la Sardegna con circa 6200 MW, con un obiettivo minimo di raggiungere a fine 2023 i 9400 MW, che dovrebbero salire a 31500 MW nel 2026 e a 51300 MW nel 2028. Ciascuna Regione sarà chiamata a emanare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto una legge che individui superfici e aree idonee. La bozza del decreto ha suscitato varie obiezioni, speriamo che nel testo definitivo da approvare se ne tenga conto.

    Per gli impianti eolici si possono impiantare pale solo se è presente una ventosità che garantisce 2250 ore annue di produzione. Sarà monitorato il rispetto dei vari passaggi. Si prevedono poteri sostitutivi dello Stato per le Regioni che non sviluppassero la quantità di rinnovabili prevista.

    Il GIS, Gruppo Impianti Solari, esaminando la bozza del decreto non ancora approvato, evidenzia i problemi che in Italia limitano la diffusione delle energie rinnovabili al ritmo richiesto dagli obiettivi: si tratta del dibattito ancora in corso tra aree idonee e non e del consumo di suolo.29 Il GIS sostiene poi che il decreto penalizza l’eolico fissando anche un limite troppo rigido alla ventosità aspettata sul sito.

    Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità futura, sostiene che il decreto fissa paletti troppo stretti per l’individuazione dei siti adatti alle rinnovabili e ha scritto una lettera critica ai ministri Pichetto Fratin, Gennaro Sangiuliano e Francesco Lollobrigida.30

    Le energie rinnovabili in Italia nel 2022 hanno coperto il 32% di energia con un leggero decremento rispetto all’anno precedente per effetto della diminuzione di energia idroelettrica dovuta alla grande siccità. Le energie fossili coprivano il 50,3% del fabbisogno e il resto (18%) proveniva dall’importazione. Nel 2024 siamo di nuovo in crescita per le rinnovabili, ma dobbiamo procedere molto più velocemente per raggiungere gli obiettivi del 2030: siamo molto lenti e copriamo una fetta ancora modesta dell’energia necessaria al Paese.

    Dando uno sguardo a quello che succede in altri Paesi europei vediamo che l’Islanda copre con le rinnovabili l’86% del fabbisogno, la Norvegia il 71%, la Svezia il 51%, la Danimarca il 40%.

    L’idroelettrico costituisce il tipo di energia green più antico e nel nostro Paese rappresenta una parte rilevante del mix delle energie green, anche se non mostra vere modernizzazioni impiantistiche. Prima cosa non si realizzano più in Italia costruzioni di dighe per grandi bacini, ma si costruiscono minicentrali sfruttando, ad esempio, le pescaie dei fiumi.31 Non vanno trascurate poi le manutenzioni dei bacini di raccolta d’acqua per conservare la loro capacità di riempimento che con il fluire dell’acqua raccolgono sul fondo residui che ne riducono la capacità: si tratta periodicamente di procedere allo svuotamento di un bacino, togliere i depositi del fondo e ripristinare successivamente il riempimento.

    Un caso particolare è rappresentato dall’idrogeno che può sostituire, là dove c’è bisogno della fiamma, le fonti fossili. Recentemente sono stati scoperti, inaspettatamente, giacimenti sottoterra di idrogeno naturale H2, detto “idrogeno bianco”, uno dei quali molto vasto in Francia (Lorena). Questo una volta messo in produzione renderà molto più semplice l’accesso all’idrogeno dell’uso dell’elettrolisi. L’elettrolisi (che produce “idrogeno verde”) rappresenta oggi una fonte ancora minoritaria per la produzione di H2: prevale largamente la deidrogenazione dagli idrocarburi di “idrogeno grigio”, assai più economica. Va segnalato inoltre che è stata messa a punto dai ricercatori dell’Università di Stanford (California) l’elettrolisi dell’acqua di mare con ottenimento di quello che viene detto “idrogeno blu” impiegando elettrodi rivestiti di solfuro di nichel.32

    8. L’inquinamento dovuto al digitale

    Un grande utilizzatore della rete come il sottoscritto si è molto meravigliato quando ha trovato che il contributo del digitale all’inquinamento ambientale è stato nel 2008 del 2% delle emissioni globali della CO2 e computer, dispositivi elettronici e infrastrutture digitali hanno raggiunto nel 2020 il 3,7% di inquinamento da gas serra, superando quello dei trasporti marittimi. Se si procederà in questa direzione si stima che nel 2040 questo inquinamento arriverà al 14%.

    9. Cosa (non) facciamo in Italia per combattere il cambiamento climatico

    È sconcertante che l’Italia, mentre minimizza lo sviluppo delle energie rinnovabili, sia il sesto più grande finanziatore di combustibili fossili al mondo.33 Una ricerca pubblicata da Oil Change International e Friends of the Earth US, a cui ha collaborato Legambiente, rivela che l’Italia tra il 2019 e il 2021 ha fornito 2,8 miliardi di dollari all’anno in finanza pubblica per i combustibili fossili. Una quota molto inferiore della finanza pubblica è andata all’energia pulita: una media annua di 112 milioni di dollari tra il 2019 e il 2022. Lo studio mostra che il nostro Paese è in forte ritardo rispetto ad altri nell’attuare l’impegno a porre fine al finanziamento pubblico entro la fine del 2022.

    Non solo, ma l’Italia, pur avendo firmato il documento presentato alla COP26 di Glasgow, che si impegnava a eliminare rapidamente le sovvenzioni pubbliche alle energie fossili, nel gennaio 2023 (con il governo guidato da Giorgia Meloni), ha approvato un documento in tutto silenzio con cui si decide di proseguire nei finanziamenti almeno fino al 2028. Questo è stato reso pubblico solo il 20 marzo 2023. Ciò è coerente con la politica del governo, ad esempio, nei confronti del settore del gas: finanziamento di progetti di centrali elettriche a metano, supporto a esplorazione ed estrazione di gas fino al 2026. Per il trasporto, distribuzione e raffinamento del metano non sono stati posti vincoli. Il velleitario “Piano Mattei”, per fare dell’Italia un hub europeo del gas, parla chiaro: non solo è stato “lanciato” il 29 gennaio 2024 senza alcun coinvolgimento dei Paesi africani interessati, ma non esiste nemmeno un progetto concreto che chiarisca di cosa realmente si tratti.34

    Sarebbe il PNRR che dovrebbe incidere profondamente sulla transizione ecologica verso un’economia green, ma ho usato il condizionale perché non sembra ci sia molto da sperare per il nostro Paese. Già il precedente governo Draghi, con il ministro Cingolani, si è mosso molto poco in questa direzione e ora Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, convinto nuclearista, continua a trascurare lo sviluppo delle energie rinnovabili e la promozione dell’economia green: è quasi tutto lasciato all’iniziativa dei privati i quali, pur con grande difficoltà, si stanno lentamente incamminando, almeno in parte, verso la transizione ecologica e la decarbonizzazione. Un interessante articolo comparso su Green&Blue35 sostiene chiaramente che la decarbonizzazione si combatte solo promuovendo decisamente le rinnovabili.

    In questo panorama per niente confortante emerge, potente, il richiamo di Papa Francesco che, con la sua Laudato si’ di alcuni anni fa (2015) e recentemente con la sua Laudate Deum (2023), sprona con vigore i vari decisori ad affrontare decisamente la questione climatica che incombe sul nostro pianeta, ponendo concretamente in atto tutto ciò che può essere fatto per arrestare il veloce cambiamento della temperatura del pianeta.

    A questo proposito voglio citare un interessante articolo pubblicato nel 2023 dal prof. Vincenzo Balzani36 dal titolo particolarmente significativo “Non abbiamo imparato nulla”, in cui si sostiene: “Da più di vent’anni gli scienziati affermano che il cambiamento climatico si può fermare abbandonando l’uso dei combustibili fossili e sviluppando le energie rinnovabili del Sole, del vento e dell’acqua. Il 20 marzo scorso l’Intergovernment Panel on Climate Change (IPCC) ha lanciato un drammatico appello “agire subito o sarà troppo tardi”, purtroppo inascoltato dai politici presi da problemi che loro stessi hanno creato”.

    10. Ma la decarbonizzazione pone gli stessi problemi a tutti i Paesi del mondo?

    Proviamo a domandarci anche se la decarbonizzazione nel mondo presenta gli stessi caratteri di quelli che ha nei ricchi Paesi occidentali. È stata la lettura del recente libro di Federico Rampini sull’Africa a fornirmi utili riflessioni sul tema.37

    Negli Stati Uniti e nell’Unione Europea si pensa di eliminare una fonte rilevante di CO2 dall’aria, eliminando le auto a combustione interna ed esistono già delle scadenze vincolanti in questo senso.

    In questo modo alimentiamo però delle attività più sporche e ogni macchina elettrica nasconde nel suo cuore tanto inquinamento. È, infatti, nel Congo che si estrae il 70% del cobalto necessario per le batterie agli ioni litio e l’estrazione del cobalto avviene prevalentemente in forme primitive e comporta in larga misura sfruttamento e lavoro minorile. La Cina, poi, svolge la parte prevalente del lavoro di trasformazione del minerale per poter utilizzare il cobalto nelle batterie al litio, facendo ricorso a energie fossili e inquinando l’ambiente. Dice Rampini: “È solo perché queste attività avvengono ben lontano dai nostri occhi che possiamo parlare di auto elettrica associandola a un mondo decarbonizzato. L’ambientalismo di noi ricchi, visto dagli africani, è un lungo elenco di contraddizioni e ipocrisie come questa”.

    Si sostiene che uno degli approcci più maturi al cambiamento climatico è quello dei Paesi emergenti (i cosiddetti Brics) che si fonda sull’idea che “bisogna prima carbonizzare per poi decarbonizzare” e Rampini afferma che: “Per costruire un nuovo modello di sviluppo, basato in modo determinante su energie rinnovabili, bisogna essere ricchi. Per diventare ricchi bisogna industrializzarsi e questo comporta l’uso di energie fossili per una ragionevole durata”.

    Si tratta del messaggio del realismo, del pragmatismo che caratterizza i Brics. Un abbattimento immediato delle energie fossili, molto difficilmente praticabile anche nei Paesi ricchi, sarebbe una rovina per quelli poveri. “L’Africa ci chiede un ambientalismo rispettoso dei paesi poveri; oggi decine di milioni di bambini africani dopo il tramonto piombano nel buio, non possono leggere né usare un computer, hanno bisogno di elettricità la notte e l’unica rinnovabile che può funzionare 24 ore su 24 è l’idroelettrico e si aggiunge a questo anche il nucleare (che rinnovabile non è)”.

    I Paesi del Sud del pianeta hanno di fronte due modelli concreti: Cina e India. In India il premier Modi si è dato come obiettivo di generare nel 2030 il 50% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, ma tra queste la parte prevalente la svolgerà il nucleare che non è per niente rinnovabile anche se non emette CO2. L’India prevede anche di aver bisogno, nel breve-medio periodo, di molte altre centrali a carbone e ha approvato l’apertura di altre miniere e cioè carbonizzare per poi decarbonizzare senza sacrificare lo sviluppo economico.

    Ancora più macroscopico è il caso della Cina: si prepara a diventare la superpotenza “verde” del futuro, ma è un esempio di questo pragmatismo in quanto, contemporaneamente, sta realizzando centrali a carbone e di esso ne consuma già più del resto del mondo messo insieme; tutto ciò per non deprimere il suo sviluppo economico. Infatti, afferma ancora Rampini: “Qualsiasi cosa dica o faccia l’Occidente, il futuro della decarbonizzazione si decide a Pechino e a Nuova Dehli, molto più che a Washington e a Bruxelles” (Figura 8).


    Figura 8. Stato dell’arte e proiezione delle emissioni di gas serra nello scenario attuale con target -40% al 2030 e con target -55% al 2030 (milioni di tonnellate di CO2 equivalente), 1990-2050 (Fonte: The European House – Ambrosetti)

    È chiaro allora a cosa puntano i Paesi africani: accelerare il loro sviluppo che nell’immediato significa più consumo di energie fossili e più emissioni di CO2. Uno sviluppo alternativo, “tutto e subito pulito” non è per loro perseguibile.

    A questo punto mi sembra necessario fare alcune considerazioni finali. Se resta fondamentale nei paesi “ricchi” come l’Italia perseguire obiettivi di decarbonizzazione delle diverse attività nel senso che abbiamo esaminato, ci sono contemporaneamente le esigenze dei paesi in via di sviluppo che, per sostenere la loro progressiva industrializzazione, fanno e faranno ricorso ancora all’uso di energie fossili: sembrano due mondi inconciliabili. È possibile trovare modi che, senza deprimere lo sviluppo, non facciano però ricorso a un massiccio impiego di energie fossili?

    Confesso che non sono in grado di stabilire se esiste un modo di risolvere questo problema e penso che dovremo convivere ancora con due esigenze di natura profondamente diversa a livello globale e non sarà possibile applicare a breve a tutti i Paesi i criteri di decarbonizzazione che abbiamo esaminato per l’Italia.

    11. Quale messaggio è emerso dalla COP28 e dalla COP29?

    C’era la speranza che parole di chiarezza sul riscaldamento del pianeta e atti concreti potessero arrivare dalla riunione a livello mondiale della COP28 di Dubai. Tuttavia, c’erano dei forti dubbi che questo potesse accadere sia per il luogo scelto dalla conferenza (uno dei più ricchi paesi petroliferi), sia per la presidenza affidata a un grande petroliere (Sultan Al Jaber).

    Infatti, la COP28 di Dubai (Emirati Arabi Uniti), che si è svolta a fine 2023, ha fornito una chiara e sconcertante indicazione a questo proposito. Si è applaudito un magro compromesso scaturito all’ultimo giorno della Conferenza: tra gli applausi generali è stato salutato l’impegno dei quasi 200 governi del pianeta di abbandonare i fossili nel 2050.

    Nessuna scadenza intermedia in questi 27 anni che fissi una graduale, ma sottoscritta, controllata e progressiva limitazione del ricorso a carbone, petrolio e gas: della serie ogni paese farà quel che vuole e nessuno potrà dir nulla. Francamente non si comprende come sia stato salutato il comunicato della COP28 con la frase che “questo accordo è storico”.38

    Di fatto si continuerà a lasciare libero campo alle fonti fossili. Il recente Emission Gap Report 2023 stilato dall’Unep, il programma dell’Ambiente dell’ONU, sostiene che se continueremo con le politiche attuali il riscaldamento potrebbe sfiorare a fine secolo i 3 °C anziché gli ١,٥ °C previsti. Concludendo, è molto disarmante osservare che non esiste una chiara percezione di quello che il riscaldamento del pianeta sembra riservarci e non si riesce a trovare un accordo su ciò che sarebbe indispensabile fare subito: ci prepariamo all’autoestinzione della nostra specie?

    La COP29, ventinovesima Conferenza Onu sul clima, si è tenuta in Azerbaigian a Baku nel novembre 2024. È stata presieduta da Muxtar Babayev, ex dirigente della compagnia petrolifera Socar e ora ministro dell’ambiente (!). Data la sede e la presidenza della Conferenza, non si è affrontata la necessaria riduzione concreta della produzione dei fossili. La COP29 è stata centrata sul contributo che i paesi ricchi dovranno versare a quelli in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica. Dopo due settimane di trattative si è rischiato il fallimento della COP29 e il compromesso trovato tra le promesse dei Paesi sviluppati (250 miliardi di dollari l’anno entro il 2035) e le richieste avanzate dai Paesi in via di sviluppo (500 miliardi di dollari l’anno) è stato quello di fissare la cifra di 300 miliardi di dollari all’anno, cifra che è stata poi approvata. Anche Cina e India, che fanno parte dei Paesi in via di sviluppo, ma sono “ricchi”, insieme ad alcuni Paesi arabi, contribuiranno alla cifra approvata con finanziamenti volontari.39 A questo punto si spera di fare concreti passi avanti sulla decarbonizzazione del pianeta nella COP30 che si terrà il prossimo anno in Brasile.


    1. 1 https://www.eea.europa.eu/it/segnali/segnali-2020/articles/la-sfida-per-ridurre-l2019inquinamento-industriale

    2. 2 https://dirigentindustria.it/industria/la-siderurgia-ed-il-cambiamento-climatico-responsabilita-e-prospettive.html

    3. 3 Tutte le sostanze che sono presenti nei rottami di acciaio che fondono a basse temperature (zinco, piombo, arsenico, cadmio, ecc.) vengono liberate e i fumi devono essere trattati prima di andare al camino, ottenendo quella che si chiama polvere delle acciaierie elettriche che costituisce un rifiuto speciale da portare alle apposite discariche.

    4. 4 Come è stato messo a punto e sperimentato in Australia e Sud Africa.

    5. 5 Fabio Olmi, Il mito dell’idrogeno e un suo impiego razionale nell’ambito dello sviluppo sostenibile, CnS, 2021, 4, 13-19.

    6. 6 Ricordiamo che il cemento (Portland) si ottiene per passaggio in forno a 1450 °C di una miscela di marne, calcari e argille (calcinazione). Dal forno esce il cosiddetto clinker che per macinazione fornisce la tipica polvere grigia del cemento.

    7. 7 https://www.renewablematter.eu

    8. 8 Ufficio Comunicazione di Faderbecton, L’industria del cemento verso la de carbonizzazione, 15 marzo 2022.

    9. 9 Sibilla Di Palma, Aziende e decarbonizzazione, solo il 15% ha piani adeguati, La Repubblica - A&F, 30 ottobre 2023.

    10. 10 Dati ISPRA elaborati da Openpolis.

    11. 11 Dati forniti da National Inventory Report, NIR ISPRA, 2022.

    12. 12 Per CO2 equivalente si intende l’impatto sul clima dei diversi gas serra. Oltre al principale gas serra prodotto dall’uomo, il diossido di carbonio, tiene conto anche del metano e del protossido di azoto. CO₂ equivalente (CO₂e) è l’unità di misura necessaria per esprimere in modo uniforme l’apporto di tutti i gas serra al riscaldamento globale.

    13. 13 Gli e-fuel rappresentano carburanti sintetici ottenuti dalla sintesi (particolare) tra idrogeno e CO2 facendo ricorso a energia verde.

    14. 14 Vito de Ceglia, E-fuel per gli aerei, ora l’Italia accelera, La Repubblica - A& F, 25 settembre 2023.

    15. 15 Impronta carbonica nulla poiché la CO2 emessa nella loro combustione è quella impiegata nella loro sintesi.

    16. 16 Fabio Olmi, La sfida del secolo. La transizione ecologica contro il riscaldamento globale, Aracne Ed., 2022, pag. 88.

    17. 17 https://www.ansa.it/economia

    18. 18 Il gruppo SEA gestisce gli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa.

    19. 19 https://www.hydrogen-newszeroe.airbus

    20. 20 Redazione, MSC ordina 2 navi a idrogeno a Fincantieri, La Repubblica, 22 settembre 2023.

    21. 21 Diego Longhin, Auto, crollo del 50%. Serve un fondo per rinnovare il settore, La Repubblica, 9 novembre 2024.

    22. 22 Diego Longhin, Giallo sugli incentivi bruciati in nove ore, La Repubblica, 5 giugno 2024.

    23. 23 Luigi dell’Olio, Mobilità sostenibile. La spinta al full-hybrid, La Repubblica - A&F, 22 aprile 2024.

    24. 24 Studio Elemens, Riscaldamento edifici in Italia (https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/riscaldamento-edifici-in-italia-studio-elemens-il-peso-del-settore-su-inquinamento-e-consumi/).

    25. 25 Luigi dell’Olio, Case green, in Europa verso la transizione soft, La Repubblica - A&F, 30 ottobre 2023.

    26. 26 Gianni Silvestrini, Con le rinnovabili si accelera la transizione, Green&Blue, 14 settembre 2023.

    27. 27 Adele di Carlo, Rinnovabili, ecco la bozza del decreto per l’individuazione delle aree idonee: misure e punti critici, Infobuildenergia,17 luglio 2023.

    28. 28 Il testo è al momento al vaglio della Conferenza Unificata Stato- Regioni e si esprimerà sulla loro fattività.

    29. 29 Redazione, Che cosa rallenta la diffusione delle rinnovabili in Italia secondo il GIS, Infobuildenergia, 6 settembre 2023.

    30. 30 Laura Serafini, Rinnovabili: troppi paletti, difficile fare nuovi impianti, Il Sole 24Ore, 3 agosto 2023.

    31. 31 Lungo l’Arno anche alla periferia di Firenze si costruiscono minicentrali che sfruttano i salti di pendenza del fiume.

    32. 32 Luigi Campanella, Idrogeno verde ma anche blu-mare, blog della SCI, 28 ottobre 2024.

    33. 33 https://www.lindipendente.online/2023/03/30

    34. 34 Il piano Mattei per l’Africa (https://www.meltingpot.org/2024/2/piano.mattei)

    35. 35 Matteo Leonardi, Un piano per l’Italia. Tutto il percorso di decarbonizzazione si regge sulla capacità di sviluppo delle rinnovabili, Green&Blue, 2 novembre 2023.

    36. 36 Vincenzo Balzani, Non abbiamo imparato nulla, Avvenire, 18 giugno 2023.

    37. 37 Federico Rampini, La speranza africana, Mondadori, 2023.

    38. 38 Margherita Venturi, COP28: tante fumate nere e una fumata grigia, CnS, 2023, 5, 1-4.

    39. 39 Luca Fraioli – Baku, trovato l’accordo, trecento miliardi l’anno per la svolta sul clima, La Repubblica, 24 novembre 2024.