Giocare è una cosa seria
La qualità dell’organizzazione degli spazi per la qualità della scuola1
Paola Conti
CIDI di Firenze (Scuola dell’Infanzia)
e-mail: paola.conti1@posta.istruzione.it
Indice
2. Scheda di osservazione degli aspetti organizzativi
7. Fare finta con oggetti veri
11. Scheda di osservazione delle caratteristiche del gruppo/sezione
Abstract. Play is a powerful educational machine. Perhaps the most important, in the age range of 3 to 6 years. Contemporary children find themselves living in a context that makes them play by prior enrollment, depriving them of the opportunity to experience through play, autonomies, roles, relationships, skills. Reflection on the organizational conditions of school play (space, time, materials) enable teachers to use the full potential of this device for the purpose of personal growth and development and learning.
Keywords: gioco; organizzazione didattica; contesto educativo; apprendimento
Spesso si sente dire che i bambini devono essere al centro dell’azione educativa. “I bambini al centro” è diventato quasi uno slogan, una specie di parola d’ordine che sta bene un po’ dappertutto. Cosa vuol dire davvero mettere i bambini al centro della progettualità della scuola? Innanzi tutto, credo voglia dire non dare nulla per scontato; che si debba osservare sistematicamente (in maniera onesta e sincera) il modo in cui i bambini vivono la scuola, i suoi tempi e suoi spazi. Deve essere attivata una dimensione professionale riflessiva attraverso la quale le insegnanti interrogano l’ambiente e si interrogano sulle possibili modalità di fruizione, sulle opportunità che offre e sui limiti che impone.
2. Scheda di osservazione degli aspetti organizzativi
Porsi queste domande e provare a rispondere (in maniera onesta e sincera, lo ripeto) costituisce il primo passo verso una progettazione che metta davvero i bambini al centro dell’azione educativa. Perché il tempo che i bambini passano a scuola è lungo e articolato. A seconda delle condizioni (anche organizzative) variano le attività che si vogliono o si possono proporre. Durante la giornata si alternano momenti dedicati alle attività più strutturate ad altri in cui vengono espletate le routine, ad altri ancora in cui i bambini giocano liberamente. Questi momenti però hanno la stessa importanza e va loro riconosciuta la stessa dignità dal punto di vista educativo e vanno pensati, progettati e gestiti con le stesse modalità professionali. Troppo spesso invece l’attenzione delle insegnanti è rivolta alle attività legate al curricolo esplicito (attività motoria, linguistica, scientifica, espressiva, …) mentre si sottovaluta l’impatto educativo degli altri momenti e se ne trascura la progettazione.
Ma il contesto è composto di tutto ciò che può facilitare o ostacolare la vita del bambino. Se la scuola è il luogo di apprendimento deve organizzare per ogni bambino contesti per sentire, fare, conoscere, interagire in ogni momento della giornata. Il contesto agisce in modo determinante su apprendimenti, atteggiamenti, competenze. Strutturare uno spazio flessibile, capace di rispettare i ritmi personali e favorire l’autonomia di ciascuno all’interno di regole condivise vuol dire assicurare a ciascuno un’attenzione individuale, che non può essere garantita in altro modo visto l’elevato numero di bambini per sezione.
Nel 1928 Virginia Woolf tenne una serie di conferenze dal titolo Donne e romanzo. “Se vuole scrivere romanzi, una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé”, diceva la scrittrice agli inizi del secolo scorso. Prendendo spunto dalle sue parole potremmo dire che “Se vuole imparare a giocare, un bambino, deve avere uno spazio dedicato e del materiale adatto”. Analizziamo la frase partendo dall’inizio. Le prime parole sembrano quasi una provocazione. Cosa vuol dire “se vuole imparare a giocare” dirà qualcuno. I bambini giocano da sempre, da che mondo è mondo. È il loro modo di interagire, di imparare, di imitare. Perfino i cuccioli degli altri animali “giocano”. Si tratta di un istinto naturale. Senza entrare nelle questioni riguardanti l’origine del gioco e la sua natura più o meno innata, vorrei soffermarmi sulla condizione del gioco nel nostro tempo. Fino a qualche decennio fa i bambini giocavano in casa, in famiglie numerose dove la presenza di nonni, zii, cugini (oltre che di fratelli e sorelle) garantiva una sorta di apprendistato al gioco. Oggi i bambini giocano previa iscrizione: partecipano a laboratori, corsi, attività. Un bambino che frequenta la scuola dell’infanzia passa a scuola circa 8 ore della sua giornata. Molti di loro all’uscita (più o meno verso le 16,30) hanno già “l’agenda” piena di impegni: il lunedì e il mercoledì, nuoto; il giovedì la biblioteca o l’inglese; il sabato o la domenica le gare. A giugno, quando la scuola finisce, vengono iscritti a campi solari, corsi di tennis, campeggi a tema. Senza esprimere valutazioni o giudizi circa l’opportunità o meno di una così elevata intensità di impegni giornalieri e settimanali, possiamo affermare, però, che tutto questo va a discapito di un’organizzazione autonoma del tempo e della costruzione di relazioni amicali risultato di incontri di prossimità e che hanno una loro continuità nel tempo come condizione per il loro sviluppo e consolidamento. I bambini forse giocano (se si può considerare gioco un’attività finalizzata ad una performance), ma di sicuro non imparano a giocare.
Perché si gioca? Perché il gioco è la più potente macchina educativa per:
Per fare questo non basta dire: GIOCATE!!!
Giocare non è un dovere dei bambini; è uno dei loro principali diritti. Forse il bisogno di giocare è una caratteristica innata che i bambini posseggono in quanto piccoli umani, ma la capacità di farlo è un’altra cosa. I bambini che entrano alla scuola dell’infanzia non sanno giocare. O meglio, sanno giocare in alcune situazioni, con certi materiali, con l’aiuto dell’adulto, a certe condizioni.
E qui veniamo alla seconda parte della frase di Virginia Woolf: le condizioni. Ci devono essere spazi fisici destinati al gioco e ciascuno di loro deve avere al suo interno il materiale adatto e in misura sufficiente a consentire il gioco. I bambini devono comprendere di che gioco si tratta e devono partecipare all’individuazione delle regole per il suo funzionamento.
Nei momenti di gioco libero i bambini sono davvero liberi di giocare? Io sono convinta che il gioco a scuola, non sia mai libero. È sempre condizionato da ciò che si ha a disposizione, dalle persone con le quali si gioca, dal tempo che abbiamo per giocare. Per questo risulta fondamentale costruire e mettere a disposizione strumenti regolativi del gioco e questo non vuol dire costringere, obbligare, omologare. Se ho a disposizione pochi pezzi di costruzioni e lascio liberi 24 bambini di andare a giocare con quel materiale, garantisco loro la libertà di gioco? O non li metto invece in una condizione di impossibilità di gioco, all’interno della quale nessuno può giocare? Se lo spazio per il gioco dei travestimenti è angusto (chi ha a disposizione una stanza per giocare a travestirsi?) è inutile “consentire” l’accesso “libero” a molti bambini, perché non avranno modo di utilizzare il materiale. Se c’è solo un vestito da principessa, invece di giocare, le bambine se lo contenderanno e il gioco dei travestimenti si trasformerà nel gioco dell’accaparramento. Se lo stesso materiale rimane a disposizione per troppo tempo, il gioco perde di interesse e il materiale viene trascurato, oppure si creano stereotipie nell’uso.
Organizzare il gioco a scuola, vuol dire dare la possibilità a tutti i bambini di fare esperienze diversificate di confronto con materiali, situazioni, altri bambini. Vuol dire mettere a disposizione dei bambini modalità organizzative che loro, autonomamente non hanno, ma che sono indispensabili perché il gioco possa avere una funzione positiva. Vuol dire dare a tutti l’occasione di sperimentare materiali e relazioni; di scoprire i propri gusti e le proprie capacità mettendosi alla prova con oggetti e situazioni di cui, talvolta, non sospettano le possibili attrattive, o verso cui nutrono timori o riserve di tipo emotivo. Ma di quale organizzazione stiamo parlando? Dell’insegnante che assegna giochi e giocattoli, che decide chi deve fare cosa? Perché si possa parlare di un gioco organizzato ma anche libero, c’è la necessità di mettere a punto degli strumenti in grado di garantire libertà nell’organizzazione. Noi abbiamo individuato questi strumenti nei semafori e nelle ruote a gettoni ma, naturalmente, ce ne possono essere tanti altri. Come funzionano?
Intanto la sezione viene suddivisa idealmente (ma si può fare anche concretamente delimitando gli spazi con nastro adesivo a terra o con i mobili o con recinti spostabili) in “angoli di gioco”. Per una sezione composta da 24 bambini ce ne vogliono 5, in modo che si possano formare gruppi di 4/5 bambini per ciascun angolo. Ogni angolo è contraddistinto da una tipologia di gioco: si tratta di una suddivisione di massima che serve alle insegnanti per avere un maggior controllo della situazione e non proporre giochi troppo simili nello stesso momento. Ad ogni tipologia di gioco corrispondono materiali diversi che si alternano a cadenza mensile, per cui ogni mese i materiali contenuti nei 5 angoli cambiano.
In questo modo i bambini hanno la possibilità, in un anno scolastico, di entrare in contatto con circa una quarantina di giochi diversi. Gli angoli vengono aperti e chiusi in determinati giorni della settimana (per esempio, lunedì, mercoledì e venerdì) e in determinati orari (dalle 10,00 alle 11,00 del mattino) che rimangono fissi in modo che i bambini si sappiano orientare. Anche se il materiale resta nella sezione per tutto un mese, i bambini sanno che possono utilizzarlo solo nel momento in cui gli angoli sono aperti. Negli altri giorni o momenti della giornata, giocheranno con altre cose. Questa distinzione rappresenta un elemento importante: i bambini comprendono fin dall’inizio che il gioco negli angoli ha un suo funzionamento e questo crea un atteggiamento di attenzione al gioco stesso, ai materiali che altrimenti è impossibile da costruire. Ogni mattina, all’apertura degli angoli, la maestra ricorda quali sono i giochi del mese, fornisce indicazioni, sollecita i bambini a ricordare, o a esplicitare (al bisogno) le regole di buon funzionamento di ciascun gioco. Sistema i materiali necessari in modo che i bambini abbiano facilmente accesso e dichiara aperti gli angoli.
Nei primi mesi dell’anno (diciamo da ottobre a dicembre) utilizziamo i semafori perché sono strumenti più semplici e il loro funzionamento è facilmente comprensibile anche dai bambini più piccoli che sono in fase di ambientamento. In ciascun angolo viene appeso un semaforo costituito da un cartoncino nero su cui è incollato un cerchio verde suddiviso in 5 spicchi, ciascuno dei quali dotato di velcro adesivo. L’insegnante consegna a ciascun bambino uno spicchio di cartoncino rosso plastificato (di uguale dimensione rispetto a quelli disegnati sul semaforo), dotato di velcro adesivo, sul retro e di foto del bambino, sul davanti. Poi procede alla chiamata dei bambini il cui ordine varia e deve variare a seconda dei momenti e delle necessità. Può farlo l’insegnante, ma possono farlo anche i bambini seguendo l’ordine presente sul cartellone che registra le presenze, oppure creando una catena di chiamata che segue criteri diversi (i maschi chiamano le femmine, i bambini di tre anni chiamano quelli di cinque e viceversa, e così via). Il bambino chiamato dichiara la scelta del gioco, si dirige verso lo spazio relativo e attacca il suo spicchio rosso sul cerchio verde del semaforo. Progressivamente, con il procedere delle chiamate, i cerchi verdi diventeranno sempre più rossi fino a riempirsi. Quando un semaforo è completamente rosso (ovvero sono stati attaccati 5 spicchi), l’angolo è chiuso e nessun bambino può entrare.
A seconda della composizione della sezione (omogenea o eterogenea per età) si può continuare ad adoperare lo stesso strumento o sostituirlo con uno più complesso. Nella seconda parte dell’anno (a partire da gennaio) noi togliamo i semafori e li sostituiamo con le ruote a gettoni. Si tratta di un passaggio davvero difficile per cui va preparato con cura. Al posto dei semafori vengono appesi in ciascun angolo dei dischi di colori diversi che, da quel momento in poi, identificheranno gli angoli e i giochi che si potranno fare al loro interno. In una parete vengono appesi 5 cerchi suddivisi in 5 spicchi ciascuno dei quali realizzato con cartoncino dei diversi colori degli angoli. In ciascuno spicchio sono attaccati 5 pezzettini di velcro. Per ogni bambino va costruito un corredo di 10 gettoni (2 per ciascun colore degli angoli) contraddistinti dal proprio segnalino/simbolo di riconoscimento e di un sacchettino dove poterli riporre. Ogni volta si può accedere ad un angolo usando i propri gettoni. Quando vengono aperti gli angoli, ciascun bambino prende il sacchetto con i propri gettoni, ne sceglie uno e lo attacca (gettoni e ruote sono muniti di velcro) nel settore della ruota corrispondente all’angolo scelto. Se il settore è pieno, deve scegliere un altro angolo tra quelli rimasti liberi. Deve avere anche il gettone corrispondente. Alla fine del gioco i bambini presenti nell’angolo devono riordinare il materiale con cui hanno giocato. Le ruote con i gettoni utilizzati restano appese alla parete in modo che ognuno possa programmare i suoi giochi. Dopo 5 giorni di gioco (che non necessariamente corrispondono ad una settimana di scuola) i gettoni vengono staccati e riconsegnanti ai legittimi proprietari che li ripongono nei loro sacchettini, pronti per essere usati la volta successiva. Credo risulti evidente la maggiore complessità delle operazioni richieste da questo strumento rispetto ai semafori. Intanto è presente un certo grado di astrazione perché gli angoli sono identificati dai colori. Poi le regole sono più stringenti: se con i semafori un bambino potrebbe (in linea teorica perché è comunque difficile, ma possibile) andare anche tutti i giorni nello stesso angolo, con i gettoni questo è impossibile perché ogni bambino ha solo due gettoni per angolo. Questo “costringe” ad ampliare le proprie esperienze di gioco e a provare anche giochi diversi da quelli in cui ci si sente più “al sicuro”. Inoltre, i gettoni consentono accordi tra bambini per andare nello stesso angolo: si tratta di mettersi d’accordo rinunciando talvolta al gioco preferito per stare con il compagno preferito o viceversa. In questo modo si possono variare anche le dinamiche relazionali all’interno del gruppo. Infine (ed è forse la cosa più forte dal punto di vista educativo), i bambini imparano a dilazionare nel tempo i propri desideri: sanno che per un mese quel gioco rimarrà a disposizione per cui, se oggi non si può andare perché non c’è più posto, si potrà sempre andare la prossima volta.
Anche il tempo rappresenta una variabile importante all’interno di questo tipo di organizzazione e va gestito in maniera progressiva. I bambini che arrivano alla scuola dell’infanzia spesso non sono abituati a fermarsi a giocare; passano da un gioco all’altro come se quel vagolare fosse il gioco. Per questo è utile uno strumento che i bambini possano gestire autonomamente. Al momento dell’apertura degli angoli, l’insegnante chiede ai bambini quanto tempo dovrà durare il gioco e poi imposta il timer. Il temporizzatore o la clessidra sono da preferire agli orologi in quanto sono più facilmente “leggibili” dai bambini. All’inizio i tempi saranno “sballati” rispetto alla fattibilità del gioco (o troppo lunghi o troppo risicati), ma questo aiuterà i bambini a costruirsi un’idea del tempo che in altri modi è davvero difficile da far comprendere. Così il timer potrà essere reimpostato se il tempo richiesto è stato troppo breve, o fermato se era troppo lungo. Comunque sia, durante il tempo previsto, non si può cambiare angolo. Alcuni bambini chiedono quando finisce il gioco e l’insegnante risponde di controllare il timer. Non è la maestra che decide arbitrariamente quanto dura il gioco. Anche in questo caso il valore educativo è importante: i bambini imparano ad organizzare il proprio tempo in maniera autonoma, a stabilire relazioni tra l’attività e il tempo a disposizione. Poco prima che il tempo a disposizione finisca, la maestra avverte i bambini che rimane ancora poco tempo per giocare, in modo che il suono del timer non li colga di sorpresa proprio sul più bello del gioco che stavano facendo. Questo “avviso” (tra 5 minuti dovremo riordinare) consente ai bambini di concludere l’attività in maniera graduale e di distaccarsi dal gioco in modo tranquillo.
7. Fare finta con oggetti veri
Cosa trovano i bambini negli angoli? Oltre ai giocattoli tradizionali (trenini, bambole, costruzioni di plastica o di legno) noi cerchiamo sempre di mettere a disposizione dei bambini oggetti che fanno parte della vita quotidiana o che, comunque, stanno in un rapporto di realtà con il gioco che si va a giocare. Mi rendo conto che può sembrare una specie di ribaltamento dell’insegnamento montessoriano “tutto a misura di bambino”, ma credo che abbia una sua logica. Perché se continua ad avere senso mettere a disposizione dei bambini forbici piccole e con la punta arrotondata o tavoli e sedute comode e alla portata della lunghezza delle loro gambe, penso che nei giochi sia importante recuperare una dimensione di realtà di cui i bambini attuali sono completamente deprivati, immersi come sono in un mondo permeato e costruito di realtà parallele, virtuali e digitali. Così nell’angolo del veterinario, insieme agli animali di peluche, noi diamo ai bambini cerotti, bende, batuffoli di ovatta, liquidi colorati che simulano il disinfettante; nell’angolo della posta trovano vere buste per spedire i loro messaggi, tastiere di computer, macchine da scrivere, borse di pelle (quelle che si chiamano “le postine” appunto, proprio perché usate dai postini fino a pochi anni fa); nella cucina ci sono pentole e coperchi, attrezzi per sbattere le uova, padelle, tutto vero, nel senso che si tratta di oggetti usati realmente in cucina e non giocattoli di plastica o di metallo, ma di dimensioni ridotte; nell’angolo dell’agenzia di viaggi, guide turistiche, mappe della metropolitana, carte geografiche e carnet di biglietti aerei, ferroviari, delle navi o degli autobus. Il contatto con gli oggetti “veri” stimola azioni, movimenti, attenzioni che i giocattoli non riescono a sollecitare costruiti come sono tutti con gli stessi materiali, con gli stessi colori, con le stesse consistenze, con le stesse dimensioni. I bambini sono incuriositi dagli oggetti reali, sono stupiti dal poterli utilizzare nei loro giochi; il far finta diventa meno “finto”; è più facile da interpretare.
Nell’elenco che ho inserito sopra, oltre a giochi più tradizionali, ci sono anche proposte che possono sembrare “azzardate”. Lo stesso gioco dell’ufficio postale potrebbe sembrare fuori luogo per bambini che non sanno scrivere e leggere. Non parliamo poi dell’agenzia di viaggi, delle avventure nello spazio e così via. In fondo noi siamo quelle del curricolo di scienze, quelle che dicono da sempre che bisogna lavorare su contenuti concettualmente dominabili dai bambini, significativi dal punto di vista degli apprendimenti e della costruzione delle competenze. In realtà io non penso che ci sia contraddizione tra le due proposte. Come ho detto all’inizio, il tempo che i bambini passano a scuola è molto lungo. Inoltre, i bambini che frequentano la scuola dell’infanzia (anche in considerazione dell’età che hanno e delle loro esperienze di vita) sono molto diversi tra loro come atteggiamenti, comportamenti, ma anche come modalità di approccio e stili cognitivi. Il gioco così organizzato può rappresentare una maniera diversa di costruire competenze rispetto a ciò che si fa con i percorsi di tipo curricolare. In questi c’è una modalità lineare che segue un itinerario metodologico consolidato. Per questo tipo di attività c’è bisogno di concretezza, di sequenzialità, di progressione, di costruzione lenta e ricorsiva. Nel gioco, invece, tutto succede in maniera più reticolare, più imprevedibile ma non meno efficace. Si tratta di due modi complementari tra loro, che pur partendo da presupposti diversi (il curricolo, dal rigore dell’osservazione; il gioco, dalla suggestione dell’immaginario) possono rinforzarsi l’uno con l’altro. L’importante è avere chiara la differenza dei mezzi e degli scopi e utilizzarli in maniera consapevole e professionale. Non mi sognerei mai di costruire un percorso di scienze sui pianeti, ma trovo che si possa organizzare il gioco dello Spazio in cui costruire un’astronave, indossare tute e caschi spaziali e immaginare mondi sconosciuti. Nel gioco dell’agenzia di viaggi, non sto costruendo il curricolo di geografia. La mamma di una bambina ci ha scritto: “Complimenti, bellissima attività! Avete trasmesso la voglia di viaggiare a Bianca!!” Ecco: era quello che volevamo. Ci piaceva l’idea di costruire con i bambini l’interesse verso un mondo “diverso” rispetto a quello che troppo spesso anche loro vedono attraverso i media. Un mondo bello, pieno di cose interessanti, di cibi, musiche, balli, cose da vedere e da imparare. I bambini sono le persone che abitano e abiteranno il mondo e ci sembrava importante che lo guardassero con occhi curiosi e fiduciosi. Giocare a fare finta di viaggiare, incoraggia questo tipo di atteggiamento.
Ma si potrebbe dire anche: “Pazienza, calma, gentilezza, … si gioca!” Si tratta di dimensioni presenti in ogni attività proposta dalla scuola, ma che nel gioco risultano particolarmente efficaci in quanto implicite. Nessuno “comanda” l’attenzione nel giocare. Ma il contesto, l’ambiente che è stato creato, i materiali messi a disposizione, gli strumenti da utilizzare, “esigono”, da un lato, e creano le condizioni, dall’altro, perché quell’attenzione, quella pazienza, quel controllo… vengano messi in atto dai bambini. Sono dimensioni implicite ma presenti sempre, giorno dopo giorno ed è proprio questa loro presenza continua (seppure non dichiarata o richiesta esplicitamente) che “lavora” all’interno dei bambini, contribuendo a creare modalità sempre più adatte, sempre più radicate e consapevoli. Se per giocare ci vuole attenzione (e pazienza e tutto il resto), per fare sì che i bambini maturino quell’attenzione, ci vogliono tempo, costanza e coerenza. C’è bisogno che le maestre (prima dei bambini) dimostrino attenzione, pazienza, controllo. Se l’apertura degli angoli diventa il momento, per le insegnanti, per fare altro, quale messaggio veicolano ai bambini? Se giocare è importante, bisogna che loro per prime diano importanza al gioco. Lo fanno, giocando con i bambini, intervenendo all’interno degli angoli quando si accorgono che il gioco non funziona, osservando con attenzione le dinamiche e i comportamenti per riprenderli nella conversazione che si terrà il giorno successivo, al momento di riaprire i giochi. All’inizio del mese, all’apertura degli angoli nuovi, le maestre giocano e in questo modo propongono modelli di gioco ai bambini più piccoli o meno capaci. Quando si apre l’angolo del parrucchiere, è importante mostrare l’uso degli strumenti, soffermarsi sul modo di pettinare senza fare male “al cliente”, ripetere la giusta sequenza delle azioni (saluto e accoglienza da parte del parrucchiere, richiesta da parte del cliente, lavaggio della testa, asciugatura/pettinatura, inserimento degli accessori, se necessari, pagamento da parte del cliente, saluto da parte del parrucchiere). Poi i bambini giocheranno come vogliono e nessuno chiederà loro di “ripetere” la sequenza, ma il gioco delle maestre fornisce spunti di comportamento, modelli di linguaggio, organizzazione dei turni nell’assegnazione dei ruoli (non si può fare sempre il parrucchiere o non si può essere sempre e solo interessati a ciò che viene costruito nell’angolo delle sculture). Gli interventi di questo tipo sono “leggeri”, non hanno il carattere dell’insegnamento. Eppure, insegnano nella stessa misura degli interventi espliciti. Quanta motricità fine c’è nell’applicare un cerotto sulla zampa del cagnolino che si è ferito? Ci sono bambini che vanno nell’angolo del veterinario solo per “imparare” a scartare i cerotti e applicarli. Altri non ci riescono subito e chiedono aiuto alle maestre. E anche qui, le insegnanti dirottano la richiesta su altri bambini che lo sanno fare. Quanta collaborazione, quanta confidenza, si sviluppa tra chi chiede quell’aiuto e chi lo dà? Quanta autonomia si costruisce nell’angolo dei travestimenti, nel vestirsi e nello spogliarsi, ma anche nel ripiegare i vestiti, nell’allacciare bottoni o nel chiudere una zip? Quanto si conosce dei bambini osservando cosa e quanto si mettono addosso?
E qui arriviamo ad un altro momento fondamentale di tutta questa attività. L’insegnante non può dedicarsi ad altro perché gioca con i bambini, interviene al bisogno, ma soprattutto osserva. Tutta la fase della progettazione dell’angolo (organizzazione dello spazio, ricerca dei materiali, predisposizione/costruzione degli strumenti) deve passare al vaglio dell’osservazione attenta di ciò che i bambini fanno con quel gioco, di come usano il materiale che abbiamo messo loro a disposizione. E bisogna osservare con mente aperta, con spirito libero dagli stereotipi che anche i giochi si portano dietro. Se un bambino entra nell’angolo dei travestimenti e calpesta i vestiti che ha gettato a terra, l’insegnante interviene perché quel comportamento non è funzionale al gioco. Ma se utilizza una cravatta come cintura, non c’è bisogno di nessun intervento. Se i pezzi di legno della ferrovia vengono utilizzati per costruire lo scheletro di un dinosauro, non c’è niente da eccepire. Anzi, la cosa va portata all’attenzione dei compagni mostrando un uso alternativo, ma altrettanto bello, di quel materiale. Si tratta di un’azione complessa, che richiede una grande attenzione, uno sguardo allenato e criteri chiari che vanno esplicitati prima della messa in opera del gioco. Per questo sono necessari strumenti di rilevazione semplici, agevoli, veloci, che consentano alle insegnanti di raccogliere dati che potranno essere analizzati anche (e soprattutto) al di fuori della situazione di gioco. Una raccolta di dati utile per:
11. Scheda di osservazione delle caratteristiche del gruppo/sezione
La semplice tabella a doppia entrata riportata sotto può essere utile per la registrazione veloce delle scelte effettuate dai bambini.
Nomi dei bambini |
I settimana |
II settimana |
III settimana |
IV settimana |
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Ripetute |
Evitate |
Ripetute |
Evitate |
Ripetute |
Evitate |
Ripetute |
Evitate |
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Antonella |
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Giulio |
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Carla |
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Manuk |
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………… |
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………… |
Ciascun angolo deve essere contraddistinto da un colore (una lettera o un numero). In questo modo l’insegnante può segnare rapidamente le scelte ripetute e quelle evitate da ciascun bambino nell’arco di un mese.
Considerando la sezione suddivisa in 5 spazi gioco, si possono assegnare, ad esempio, i seguenti colori: rosso all’angolo della manipolazione; giallo all’angolo del gioco di imitazione; blu all’angolo delle costruzioni; verde all’angolo dei giochi da tavolo e dei puzzle; lavanda all’angolo dei mesi.
Utilizzando la scheda, l’insegnante segnerà con il colore corrispondente le scelte ripetute nella colonna di sinistra di ciascuna settimana e le scelte evitate (gli angoli che non sono mai stati scelti) nella colonna di destra di ciascuna settimana.
Nomi dei bambini |
I settimana |
II settimana |
III settimana |
IV settimana |
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Ripetute |
Evitate |
Ripetute |
Evitate |
Ripetute |
Evitate |
Ripetute |
Evitate |
|
Antonella |
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Giulio |
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Carla |
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Manuk |
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………… |
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………… |
In questo esempio, nella I settimana di osservazione, Antonella ha scelto più volte l’angolo della manipolazione, ma non è mai andata nell’angolo del gioco di imitazione. Neanche Giulio ha scelto quell’angolo, mentre è andato più volte nell’angolo dei puzzle. Carla ha scelto più volte l’angolo del gioco imitativo, ma non è mai andata nell’angolo dei giochi da tavolo e dei puzzle; Manuk ha scelto più volte l’angolo della manipolazione, ma non è mai andato nell’angolo del gioco imitativo.
Qualora la situazione si dovesse ripetere anche nelle settimane successive potremmo concludere che l’angolo strutturato per il gioco di imitazione non ha suscitato l’interesse dei bambini. Questo dato induce le insegnanti a riflettere su cosa non ha funzionato. Il gioco non rispondeva agli interessi dei bambini? Il materiale messo a disposizione non era adatto o insufficiente? Cosa sarebbe servito per stimolare la loro partecipazione? Cosa si sarebbe dovuto cambiare?
Ma anche i dati “positivi” (gli accessi ripetuti) possono diventare oggetto di riflessioni da parte del team docente. Come mai i bambini volevano andare in quell’angolo? Cosa c’era? Com’era organizzato?
Questo tipo di riflessioni consente un affinamento progressivo della capacità di lettura dei bisogni e degli interessi dei bambini in relazione anche alla loro età, alla composizione del gruppo, alla presenza di esigenze o difficoltà specifiche e alla loro integrazione in attività adatte a tutti.
Ma gli stessi dati posso essere letti anche per andare a comporre un quadro conoscitivo più approfondito dei singoli bambini. In sezioni particolarmente numerose, infatti, il rischio è di avere cognizione dei bambini particolarmente sicuri e di quelli che presentano difficoltà evidenti, lasciando in una nebbia di incertezza la conoscenza di tutti gli altri. La lettura orizzontale delle singole righe della tabella ci fornisce dati circa le modalità di fruizione degli angoli di gioco da parte di tutti i bambini della sezione. Scopriamo in questo modo che un bambino predilige una tipologia di gioco, ma anche che ne evita accuratamente un’altra, oppure che sperimenta un po’ di tutto. Possiamo mettere in relazione questi dati con altre osservazioni effettuate in contesti diversi e questo ci consente di avere un quadro sempre più chiaro anche ai fini della definizione di un profilo del bambino stesso.
1 Articolo precedentemente pubblicato su Insegnareonline (https://www.insegnareonline.com/didattica/scuola/giocare-seria).