Metti in circolo il colore
Un’esperienza di didattica integrata tra chimica
e rappresentazioni grafiche
Sergio Palazzi
ISIS di Setificio “Paolo Carcano”, Como
e-mail:sergio@kemia.it
Indice
3. Materiali e metodi per le sperimentazioni svolte
Abstract. Positive interactions between different teaching areas are always sought, but not so often found. This work describes a fortuitous but effective cooperation of scientific and artistic disciplines, in a 2nd year class of a Graphical Technical Institute. Ordinary routine gouache painted paper samples have been examined in a scientific way. Their colours have been measured with a spectrophotometer and then projected in some different colour spaces, with simple 2D and 3D visualizations that changed the students’ opinions on some artistic cliches like “colour wheels” or “primary colours”. At the same time, chemical, safety and sustainability themes have been introduced by searching the nature and behaviours of pigments and dyestuffs in commercial products. Some new ideas have been collected and transferred to the more technically oriented students of the courses on Textile Design and Finishing technologies (“Sistema Moda”)
Keywords: analisi dei colori; coloranti; pigmenti; interdisciplinarietà; colorimetria
L’interazione costruttiva tra aree disciplinari è uno degli obiettivi formativi più auspicabili, soprattutto nei percorsi didattici introduttivi e non ancora specialistici; a volte si cercano di costruire delle progettualità preordinate, ma spesso il miglior coinvolgimento delle classi si ha quando le collaborazioni nascono spontaneamente da lavori in itinere.
Non sempre è facile per i docenti cogliere i segnali e trovare itinerari che riescano a risvegliare l’interesse senza sacrificare la solidità dei contenuti, oltretutto in tempi forzatamente ristretti. L’osservazione e l’analisi dei colori offrono possibilità interessanti e a volte molto efficaci per inserire le considerazioni chimiche anche nella formazione culturale dei “non chimici”, come avevamo già discusso in altre occasioni [1]. Le esperienze e i materiali così costruiti possono dare spunti per la didattica del colore a livello specialistico, come avveniva per i corsi di Chimica Tintoria e oggi per quelli di Sistema Moda [2], oltre che in quei percorsi di educazione/formazione continua a cui anche il mondo produttivo guarda con interesse sempre maggiore.
L’esperienza che presentiamo qui è sorta spontaneamente durante l’a.s. 2022/23. L’ISIS “Paolo Carcano” di Como, “il Setificio”, dopo oltre un secolo di attività concentrata solo sul mondo tessile, negli ultimi decenni ha aperto l’offerta curricolare anche ad altre aree, dall’IT a indirizzo grafico a percorsi liceali.
Nessuna di esse vede, però, la chimica come materia caratterizzante; sappiamo che in contesti di questo genere l’interazione con le classi può incontrare delle difficoltà o limitazioni, specie quando ci si inserisce per necessità all’interno di lavori già avviati. Nell’anno scolastico 2022/23 mi è capitato di insegnare chimica in una seconda di indirizzo grafico, la 2G4, nella quale alcune di queste fisiologiche dinamiche erano chiaramente visibili.
Ad un certo punto dell’anno la collega di discipline artistiche, Betelihem De Martino, stava facendo svolgere alla classe alcuni esercizi curricolari, preparando delle tavole dipinte a tempera su carta, che permettono di allenare “l’occhio e la mano”.
La prima serie di queste tavole, dedicata alle “Gradazioni tonali”, consiste nel dipingere delle caselle quadrate con al centro i colori di base della quadricromia e, ai lati, le successive variazioni che si ottengono miscelando il colore di partenza con il bianco e rispettivamente con il nero. Il criterio per la miscelazione si basa più che altro sulle capacità intuitive e sulla correzione di eventuali errori piuttosto che, per esempio, su un dosaggio fatto con la bilancia. Ancora in corso d’opera, alcuni studenti hanno acconsentito a valutare e misurare le loro tavole con la strumentazione dei laboratori (Figura 1); da qui è stato possibile iniziare un dialogo che ha progressivamente ed efficacemente raggiunto buona parte della classe, oltre ad affiancarvi attivamente studenti di classi dei trienni di Sistema Moda.
Figura 1. Una gradazione tonale in corso d’opera, in luce diurna, e una tavola già completata che esaminata all’UV svela alcuni segreti
La cosa è proseguita con l’esercitazione successiva, quella sui “Dischi cromatici”, ossia esercizi di miscelazione di una terna cromatica di base (Figura 2), riprendendo la famosa (o famigerata?) ruota dei colori che molti associano al nome di Johannes Itten [3].
Figura 2. Due dischi cromatici (quello a sinistra usa la terna cromatica della figura 1 di sinistra)
In questo c’era anche un divertissement dei due docenti che, per ragioni complementari, hanno una certa idiosincrasia verso certi canoni della didattica che sembrano dare valore assoluto alle “teorie” pseudoscientifiche di un personaggio che, nella migliore delle ipotesi, è praticamente ignorato dalla letteratura scientifica sul colore [4].
Da qui è nato un ulteriore stimolo per le classi: come mai gli “scienziati” dicono che c’è ben poco di vero nelle idee dei colori primari/secondari/terziari, ecc., così come in troppi altri luoghi comuni sul colore, continuamente ripetuti anche in ambito educativo, a partire dai famosi “sette colori dell’arcobaleno”? Quali sono i punti reali della discussione? Come possiamo orientare la nostra esperienza per imparare? C’è modo di capire chi ha ragione?
3. Materiali e metodi per le sperimentazioni svolte
I campioni esaminati sono stati dipinti a pennello con materiali commerciali, secondo la disponibilità degli studenti, impiegando sia tempere di tipo corrente su cui si hanno poche informazioni tecniche, sia materiali meglio documentati di alcune case primarie. Gli studenti hanno scelto a loro piacere quali colori usare per le proprie terne/quaterne cromatiche (per esempio, preferendo un blu o un ciano, un rosso o un magenta).
Per fare il confronto con l’aspetto di altri sistemi materiali, alcune soluzioni colorate a diluizioni successive sono state preparate nel laboratorio di Chimica Tintoria, usando coloranti acidi per seta, scelti a piacere (senza dare ulteriori indicazioni sulla loro natura chimica e nemmeno i marchi commerciali). Si sono anche esaminati i colori di tessuti tinti con diverse intensità tintoriali, preparati da classi precedenti di Sistema Moda.
Gli spettri in riflessione sono stati misurati con un apparecchio a sfera di integrazione Datacolor SF600, geometria d/8°, con filtro anti UV (Figura 3).
Figura 3. La misurazione del colore e uno screenshot con i dati di uno studente, che ha potuto capire le anomalie visibili nelle sue gradazioni cromatiche
Date le caratteristiche dei campioni si è scelto di fare una sola misurazione per ogni punto, usando l’apertura con diametro 30 mm così da mediarne le disomogeneità. Nei calcoli forniti dal software dell’apparecchio ed in quelli svolti successivamente si sono usate le funzioni relative all’illuminante D65 ed all’osservatore a 10° (Figura 4).
Figura 4. Una tavola esaminata sotto gli illuminanti D65 (diurno) a sinistra e A (incandescenza) a destra
L’osservazione visiva è stata realizzata con una cabina colore JUST-Normlicht dotata di sorgenti a incandescenza e fluorescenza che riproducono gli illuminanti standard A, D65 e TL84, oltre alla lampada ultravioletta per esaminare la fluorescenza dei campioni. Le fotografie sono state raccolte con un telefono Nokia 8.3 5G, disattivando tutte le regolazioni automatiche.
Per gli spettri in soluzione si è usato un apparecchio Perkin Elmer 365.
L’analisi e l’elaborazione dei dati e delle immagini, anche in forma grafica, sono state svolte usando software liberamente accessibili agli studenti che, in alcuni casi, li avevano già incontrati in altri corsi: in particolare IrfanView (https://www.irfanview.com), LibreOffice (https://it.libreoffice.org/) anche per la gestione e manipolazione di dati tabulati, infine GeoGebra (https://www.geogebra.org/).
Quest’ultimo si è rivelato molto efficace non solo per confrontare in 2D le curve nei diagrammi di cromaticità, ma soprattutto per visualizzare dinamicamente in 3D le posizioni nello spazio CIELab, comprendendo quanto sia indispensabile la terza dimensione per capire le differenze tra i colori. Per la visione si usano occhiali stereo 3D bicolori.
La possibilità di osservare gli stessi materiali anche sotto la lampada a luce nera ultravioletta, con l’aura da laboratorio criminologico, consente anche di apprezzare chi ha effettivamente una buona mano e chi, viceversa, deve arrabattarsi a coprire e ridipingere i propri errori: anche qui, gestendo la cosa in maniera “easy” e costruttiva, si è notato un effetto positivo sulla didattica (Figura 5).
Figura 5. La tavola di figura 4 esaminata sotto gli illuminanti TL84 (fluorescenza)a sinistra e UV a destra
Riporto di seguito alcune delle risultanze osservate, tenendo presente che per loro natura non volevano avere un valore sistematico, ma semplicemente di “scoperta” graduale di come la realtà può essere descritta scientificamente.
4.1 Coloranti o pigmenti, cosa osserviamo?
Uno degli aspetti “chimici” di questa sperimentazione è stata il consolidamento negli allievi della differenza tra coloranti e pigmenti. Tecnicamente ci riferiamo a coloranti quando parliamo di sostanze colorate le quali si trovano disperse in un mezzo a livello molecolare (o poco più), interagendo quindi con la luce solo a causa dei fenomeni di assorbimento. Pigmenti sono quei materiali che si trovano a livello di particelle significativamente più grosse e in grado di interagire con la luce anche, o soprattutto, per effetti di diffusione.
Nel caso delle pitture, i pigmenti le rendono opache e coprenti rispetto allo sfondo: esistono quindi moltissimi pigmenti bianchi ma non ha senso parlare di un colorante bianco.
Dalle classiche leggi dell’ottica sappiamo che, quando le loro dimensioni sono almeno a livello della lunghezza d’onda della luce interagente, le particelle sono in grado di disperderla per fenomeni di riflessione, rifrazione e interferenza, naturalmente a patto che l’indice di rifrazione delle particelle e del mezzo siano significativamente diversi. Il caso è comune con i pigmenti utilizzati dall’antichità nella pittura, in cui il granulo viene ottenuto per macinazione meccanica e difficilmente raggiunge dimensioni trasversali molto piccole. Una volta acquisito questo concetto, si può tuttavia considerare che, se un pigmento intensamente colorato ha particelle sufficientemente fini da renderlo “trasparente” (come in certi inchiostri per inkjet), la cosa non lede la generalità: la chimica è concettualmente analogica, raramente prevede aut-aut.
4.2 Gli absolute beginners possono capire le rappresentazioni grafiche?
Quando si studiano sistemi perfettamente trasparenti, come soluzioni molto diluite, l’assorbanza varia in funzione lineare della concentrazione della sostanza colorata e può essere usata in modo additivo in base al modello di Bouguer, Lambert e Beer (Figura 6), al punto che le deviazioni della linearità sono sicuri indizi di “non idealità” del sistema.
Figura 6. Consueto andamento dell’assorbanza di soluzioni che rispettano la linearità di Lambert e Beer (due coloranti acidi per seta, non ulteriormente specificati alla classe)
Analizzando invece il colore di oggetti opachi non autoluminosi (una pittura, un tessuto, una carta stampata), la grandezza misurata dall’apparecchio non è la trasmittanza, ma la riflettanza (concettualmente analoga) anche se in questo caso la trattazione matematica diventa molto più laboriosa.
Per ottenere una funzione lineare rispetto alla concentrazione, così come lo è l’assorbanza per i sistemi trasparenti, si usano il modello di Kubelka e Munk [5] e i successivi sviluppi, molto onerosi sia per le ipotesi richieste che dal lato matematico; per ogni costituente di un materiale si deve tener conto della componente relativa all’assorbimento della luce (K) e di quella relativa alla sua dispersione (S). Fortunatamente, nel caso di una tintura tessile si può considerare che solo la fibra sia responsabile della dispersione e che solo il colorante lo sia dell’assorbimento; si possono spingere le approssimazioni fino a considerare costante il rapporto tra K ed S e a calcolarlo con la semplice espressione:
K/S = (1-R∞)2/2R∞
dove R∞ è la riflettanza di uno strato omogeneo sufficientemente spesso da poter essere considerato totalmente coprente. Per le miscele di tempere preparate dagli studenti si dovrebbero fare alcune ulteriori ipotesi, ma in questa sede si è usata la stessa formula, “leggibile” anche da studenti che hanno limitate conoscenze matematiche.
K/S risulta lineare rispetto alla concentrazione del colorante nel tessuto, analogamente a quanto avviene per l’assorbanza delle soluzioni, e questo consente di automatizzare il calcolo delle ricette di tintura. Una deviazione dalla linearità può significare che ormai la fibra è “satura” di colore (Figura 7).
Figura 7. Modello di Kubelka e Munk su campioni opachi: tintura su tessuto, linearità analoga a quella di figura 6; gradazione tonale, la saturazione diminuisce in entrambi i sensi
Dal confronto tra i diversi aspetti dei grafici in K/S vs λ su tessuti tinti e sulla carta dipinta (Figura 7), rispetto a quelli in A vs λ su soluzioni di colorante progressivamente diluite (Figura 6), abbiamo potuto descrivere il diverso effetto di desaturazione che si ha miscelando un pigmento colorato con uno bianco o nero, rispetto a una semplice diluizione.
Inserire nei diagrammi di cromaticità le coordinate dello spazio RGB più comune nella grafica (Adobe 1998) permette agli studenti di vedere come le nostre miscele in quadricromia siano ben lontane da “formare tutti i colori possibili”, smentendo quei luoghi comuni citati in premessa, ma dall’altro lato di capire che molti colori ottenibili con pigmenti o coloranti vanno al di là del gamut della strumentazione video con sorgenti additive; entrambe le cose non sono scontate per chi inizia a lavorare con la grafica digitale.
Per una introduzione ai diagrammi di cromaticità (Figura 8) si può usare il riferimento [6].
Figura 8. Diagramma di cromaticità con i diversi gamut per le combinazioni additive e sottrattive (i colori di sfondo sono solo simulati); https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32158329
Anche se la nostra classe aveva già un minimo di familiarità con il loro aspetto, sia dai corsi di informatica sia dai materiali allestiti dalle classi di Sistema Moda che possono vedere nei nostri laboratori, non era affatto abituata a costruire direttamente rappresentazioni/visualizzazioni matematiche quantitative di questo tipo, e quindi ogni progresso raggiunto è stato un piccolo successo (Figure 9 e 10).
Figura 9. Le gradazioni tonali di figura 1 (sinistra) nel diagramma di cromaticità (rif. RGB 1998) e in uno screenshot 3D della sua rappresentazione nello spazio CIELab
Figura 10. I dodici settori di quattro diversi dischi cromatici nel diagramma di cromaticità (rif. RGB 1998) e in uno screenshot 3D della loro rappresentazione nello spazio CIELab
Un ulteriore passaggio molto chimico è stato ricercare la natura dei pigmenti utilizzati dai diversi produttori di tempere, che almeno le case più qualificate specificano nei loro cataloghi. Tra i prodotti attualmente in commercio sono sostanzialmente scomparsi pigmenti storicamente utilizzati da artisti ed artigiani perché, notoriamente, molto tossici: pensiamo a quelli a base di cadmio, arsenico, mercurio, …
La lettura di questi cataloghi permette anche di chiudere con un sorriso la questione dei “colori primari”, quando si scopre che una certa tempera o un certo acrilico etichettati come “primari”, perché richiamano visivamente le tonalità abitualmente indicate così, sono formati da miscele di pigmenti, ovvero sono meno “puri” rispetto a quelli che contengono un pigmento solo: anche qui, è relativamente agevole aprire una discussione con la classe per capire questa evidente contraddizione tra le diverse forme espressive.
Nel caso di un “giallo-non-proprio-primario” i costituenti sono indicati dai codici del Color Index CI 11680 e CI 11720 e possono servire a spiegare la struttura di un composto azoico.
Lo studio dei pigmenti disponibili può poi essere esteso e integrato con informazioni sui pigmenti storici, su quelli che possono essere usati nel restauro e così via; si possono aprire interessanti linee di sviluppo anche per l’orientamento verso corsi artistici e di conservazione dei beni culturali.
Non possiamo, infine, dimenticare che coloranti e pigmenti, sia di sintesi sia di provenienza biologica, presentano spesso dei rischi di tipo ecotossicologico e che normative e standard volontari diventano sempre più stringenti, come del resto approfondiamo con le classi di Sistema Moda.
Partendo dai codici del Color Index vediamo, per esempio, come ricercare quelli CAS e fino agli UFI delle formulazioni: un esercizio sui modi di identificare sostanze e miscele forse un po’ più pragmatico rispetto a certe stantie esposizioni di nomenclature chimiche.
In questo modo possono essere introdotti aspetti educativi fondamentali nella sicurezza sul luogo di lavoro e negli stili di vita personali: si può facilmente allargare il discorso alle schede di sicurezza, ai DPI, eventualmente necessari con determinate tecniche di decorazione artistica, in primis le bombolette spray, …
4.3 Il colore, anzi più d’uno
Per un insegnamento/apprendimento razionale del colore vanno affrontati numerosi ostacoli, molto spesso legati a strutture linguistiche e cognitive che ci portiamo addosso dai primissimi anni di vita.
Il primo è la polivalenza stessa della parola “colore”, che già in qualche senso assume sfumature diverse se la usiamo al plurale, “i colori”.
Con gli stessi termini possiamo indicare sensazioni psicofisiche, idee simboliche o rappresentazioni matematiche, ma chiamiamo colori anche i formulati commerciali usati per dipingere, come nel caso dei nostri giovani studenti. Per una analisi piacevolmente spiazzante, nella didattica uso spesso alcuni lavori di Paul Green-Armytage [7].
Un altro ostacolo deriva proprio da come usiamo singolare o plurale: quando ci riferiamo al colore spesso non parliamo “dei rossi”, “dei gialli”, “dei verdi”, infinite varietà di sfumature percepite ed elaborate dal nostro cervello, a seguito di una stimolazione dell’occhio in una certa condizione di illuminamento. Evochiamo invece “il rosso”, “il giallo”, “il verde”, come se fossero assoluti, realtà archetipe che esistono di per sé, un po’ come i colori simbolici degli emblemi araldici. Non a caso, Michel Pastoreau ha approfondito nei suoi notevoli studi entrambi gli argomenti, sfrondando molti persistenti luoghi comuni [8].
Del resto, è ampiamente noto che popolazioni e culture diverse hanno usato ed usano riconoscere, raggruppare e denominare i colori in modo differente, attribuendo loro valori e significati a volte opposti a quelli di altre culture e queste dinamiche sono in continua evoluzione [9]. Per non risalire fino alla difficoltà di comprensione dei codici cromatici nei poemi omerici, notiamo che fino a un secolo fa era più probabile che i bambini vestissero il rosso e le bambine l’azzurro, o che quella stessa coppia di colori ha significati politici opposti in Europa e negli USA.
Gli ipotetici colori primari (da cui, secondo queste mistiche, si espandono quelli secondari, terziari, ecc.) dovrebbero avere due proprietà fondamentali:
• non possono essere ottenuti mescolandone altri
• tutti gli altri si possono ottenere da loro miscele
Quindi, se si passa a una definizione matematica del colore, dovrebbero essere l’equivalente di tre vettori di una base ortogonale che genera interamente un determinato spazio.
L’idea era suggestiva ed è stata esplorata fin dall’antichità, anche da parte dei ricercatori più brillanti in campo sia artistico sia scientifico. Poteva essere un’estrapolazione sensata per chi lavorava con tavolozze piuttosto limitate di materiali non autoluminosi (pitture, tessuti, vetrate), cercando di estrarre il meglio dalle proprie poche risorse. Poi la chimica mise a disposizione nuovi inattesi pigmenti inorganici, nella seconda metà del Settecento, e l’orizzonte cromatico divenne quasi sconfinato, dopo che il giovane William Perkin intuì le possibilità di sviluppo della sua mauveine, ma cambiarono anche le sorgenti di illuminazione con cui osservare i colori [10]
Tra il fatidico 1856 e la fine del 1800, quando divenne disponibile l’indaco sintetico, anni in cui si sviluppano e concludono, ad esempio, le esperienze di Chevreul, Van Gogh, Seurat, lo sviluppo dei coloranti porta a ricerche scientifiche e industriali che, da un lato, creano le nuove idee sulla struttura della materia e, dall’altro, rivoluzionano il mondo con la nascita della chimica industriale organica.
Qualche decennio dopo appaiono i primi strumenti fotoelettrici con cui misurare la luce e, quindi, sviluppare modelli cromatici psicofisici “oggettivi” [11]. Tutto ciò ha confermato l’idea di Young sul fatto che i coni della nostra retina siano di tre tipi, sensibili a tre diverse gamme di lunghezze d’onda, e che, pertanto, il colore vada necessariamente descritto con almeno tre coordinate e che è perciò logicamente giustificata l’idea che miscelando tre colori si possano ottenere infinite sfumature intermedie tra loro. Ma, al tempo stesso, ha dimostrato che non è matematicamente possibile generare tutti i colori con tre sorgenti per dare combinazioni additive e, men che meno, lo è facendo miscele di tipo sottrattivo.
Nessun colore è più primario degli altri, a dispetto di quei famosi canoni didattici che abbiamo voluto smentire in modo comprensibile a dei giovanissimi.
4.4 Ulteriori sviluppi: “prof, ma non c’è un’app?”
Nei laboratori scolastici è del tutto eccezionale avere uno spettrofotocolorimetro a sfera di integrazione. Tuttavia, noi abbiamo sempre a portata di mano apparecchi dotati di sensori incredibilmente raffinati, capaci di elaborare grandi quantità di dati.
Possiamo ripetere esperienze simili, misurando il colore con il cellulare o uno scanner? In fondo il loro principio di misurazione discende dagli antichi colorimetri “tristimolo” a tre soli canali, che furono i predecessori degli spettrofotocolorimetri [12].
Ci sono ovviamente delle forti limitazioni. La prima è teorica: una misura in uno spazio a tre dimensioni non può essere convertita a una in 16, 31 o 61 dimensioni come quelle che otteniamo misurando tra 400 e 700 nm con monocromatori a intervalli di 20, 10 o 5 nm, per cui è ovvio che la ricostruzione esatta di uno spettro partendo dai valori RGB è in linea di principio impossibile.
Anche la geometria di lettura o la difficoltà di gestire un’illuminazione esattamente calibrata, per non parlare della dinamica digitale del segnale a soli 8 bit, escludono di poter anche solo avvicinarsi all’accuratezza e alla precisione di uno spettrofotometro. Tuttavia, se lo scopo è produrre piccoli set di dati mutuamente consistenti, uno scanner o un cellulare possono servire egregiamente per integrare la didattica.
Il tema può essere molto interessante per qualche collega esperto di informatica, teniamo tuttavia presente che le informazioni da acquisire per impostare un lavoro sono parecchie e spesso non accessibili, prima fra tutte le curve di risposta spettrale dei diversi sensori.
Una soluzione pratica abbastanza interessante può comunque essere quella di usare le moltissime app reperibili su portali come Google Play. Le aziende leader nella tecnica del colore avevano già presentato, oltre una dozzina d’anni fa, delle embrionali, e costose, soluzioni colorimetriche per i cellulari; oggi è possibile scaricare gratuitamente decine di app che forniscono risultati di tutto rispetto, sia pure con le cautele che vanno usate nel caricare dei software sul nostro terminale o, più ancora, su quelli di studenti minorenni. Costruendo sistematicamente delle piccole banche dati di misurazioni si possono ottenere risultati didatticamente efficaci.
4.5 E la ruota del colore si è sgonfiata?
Una cosa molto evidente può passare inosservata e vorremmo ribadirla. Confrontando le rappresentazioni 2D o 3D delle nostre miscele di pigmenti risulta chiaro che i colori puri (quelli dello spettro) sono all’esterno della figura e, mescolandoli, si perde di saturazione fino ad arrivare all’asse centrale monocromatico, con un andamento asimmetrico e sghembo, ma che si arricchisce di sfumature. Tutto il contrario del pensare che i Tre Colori Primari stiano al centro di un cerchio e da loro “irradino” tutti gli altri. Il passaggio da teorie più o meno esoteriche alla misurazione del reale porta a un notevole cambio di prospettiva, praticamente un ribaltamento, e spesso la realtà è più provocatoria delle fantasie – anche per coloro che la fantasia dovranno usarla per professione.
A chi fosse interessato ad approfondire l’affascinante tema storico delle ruote del colore e di come e perché da Newton in poi queste rappresentazioni si siano sostituite alle scale cromatiche lineari, possiamo consigliare, ad esempio, il già citato articolo di Neil Dodgson [3], che contiene anche riflessioni sui modi linguistici di suddividere i colori.
Saperli disporre in modo monodimensionale, sia pure ciclico chiudendo una ruota, oppure bidimensionale, o fino a tre dimensioni ed oltre, cambia la percezione visiva degli studenti e il modo in cui rapportarsi al colore. Il paragone, qui, è con le diverse proiezioni cartografiche da Mercatore in giù. La cosa è rilevante in tanti altri campi nei quali i nostri tecnici grafici potranno affacciarsi, non ultimo l’impegnativo tema di come costruire rappresentazioni infografiche o segnaletiche per persone con limitata sensibilità cromatica [11].
Questo articolo è stato brevemente anticipato nella mia presentazione “Ten Fashionable years” tenuta al Congresso SCI2024 - Chimica: elementi di futuro, Milano, agosto 2024.
Non è al momento prevista una pubblicazione di tutti i dati strumentali sui nostri siti web, dato che sono in corso ulteriori sperimentazioni più sistematiche; siamo comunque molto volentieri a disposizione di chi fosse interessato a ricevere i file con talune tabelle di dati, per svolgere in proprio delle esercitazioni o confronti con le proprie sperimentazioni.
Come ringraziamento, oltre al DS Roberto Peverelli, che ha recentemente chiuso la sua carriera, e ai molti studenti di 3a, 4a e 5a del Sistema Moda che hanno cercato di guadagnarsi un angolo di paradiso collaborando alle noiose misurazioni colorimetriche, penso prima di tutto alla prof. Betty De Martino, che è stata impagabile per competenza, disponibilità e cortesia, e naturalmente a ragazzi e ragazze della ex 2G4 che si sono messi in gioco.
[1] S. Palazzi, Melting Colours. Una esperienza di didattica integrata della chimica applicata, tra classi e corsi differenti, in La buona scuola – Exemplary Practices for Meaningful Teaching and Learning (a cura di Liberato Cardellini), 2015 (https://www.profiles.univpm.it/sites/www.profiles.univpm.it/files/profiles/allegati/BOOK22.pdf).
[2] S. Palazzi, The colours of chemistry: there’s a new scent in the air, or old perchance?, CnS, 2012, 3, 284-289 (numero speciale, 22nd ICCE - ECRICE 11th, 2012, Roma) (https://soc.chim.it/sites/default/files/cns/pdf/2012-3.pdf).
[3] N. A. Dodgson, What is the “opposite” of “blu”? The language of colour wheels, What is the ‘opposite’ of ‘blue’? the language of colour wheels, Journal of Perceptual Imaging, 2019, 2(1) (https://library.imaging.org/jpi/articles/2/1/jpi0116).
[4] R. Shamey, R. G Kuehni, Pioneers of Color Science, Springer, 2020
[5] p. es.: https://en.wikipedia.org/wiki/Kubelka%E2%80%93Munk_theory
[6] p. es.: https://en.wikipedia.org/wiki/CIE_1931_color_space
[7] p. es: P. Green-Armytage, Colours: Regulation and Ownership, Colour: Design & Creativity (4), 2009, 6, 1-22.
[8] p. es.: M. Pastoreau, Medioevo simbolico, Laterza, Bari, 2005.
[9] I. Kuriki et al., The modern Japanese color lexicon, Journal of Vision, 2017, 17(3), 1-18 (https://jov.arvojournals.org/article.aspx?articleid=2608579).
[10] P. Ball, Colore. Una biografia, Rizzoli, Segrate, 2017.
[11] S. F. Johnston, A History of Light and Colour Measurement, IOP Publishing Ltd, 2001.
[12] S. Palazzi, Colorimetria - La scienza del colore nella tecnica e nell’arte, Nardini Editore, Firenze, 1995.
[13] P. Tol, Colour Schemes, SRON/EPS/TN/09-002, 3.2, 2021 (https://personal.sron.nl/~pault/data/colourschemes.pdf).
Oltre ai riferimenti specifici richiamati nel testo, fra le opere recenti di interesse più generale, che possono servire a una programmazione didattica sulla colorimetria nei suoi vari aspetti, si segnalano, ad esempio:
• R. W. G. Hunt, Measuring colour, Wiley, 2011.
• R. G. Kuehni, Color space and its divisions: color order from antiquity to the present, Wiley, 2013.
• M. V. Orna, The chemical history of color, Springer, 2013.
• R. S. Berns, Billmeyer and Saltzman’s principles of color technology, 4th Ed., Wiley, 2019.
• M. Vik, M. Vikova, Colorimetry in textile industry, 2nd Ed., AICTC, 2024.