In ricordo di Ermanno Niccoli


Pasquale Fetto

e-mail: pasquale.fetto@didichim.org

Il 29 aprile 2024 è venuto a mancare Ermanno Niccoli; ricordare il professor Ermanno Niccoli come didatta e delinearne la personalità in poche righe non è facile. Ho avuto la fortuna di conoscerlo quando ero redattore di CnS – la Chimica nella Scuola; fu in questa occasione che imparai ad apprezzarlo come acuto e appassionato insegnante, modesto e allo stesso tempo rigoroso e intransigente. Nacque un’amicizia sincera e così conobbi la sua grande bontà d’animo. Ero affascinato dalla sua semplicità che suscitava rispetto e ammirazione. In lui era presente l’amore per le scienze umanistiche che traspariva in ogni istante della sua attività divulgativa. Alla rigidità del linguaggio univa la correttezza scientifica che era alla base della sua attività di docente e di divulgatore.

Come insegnante si è sempre interessato alle problematiche connesse alla didattica della Chimica sia a livello universitario che di scuola superiore.

Fino al 2010 ha collaborato al CnS facendo parte del Comitato di Redazione e curando le rubriche “In Laboratorio”, “Uno sguardo dalla Cattedra”, “Lettera al lettore” e “Chimica e Poesia”, quest’ultima si deve proprio all’amore di Ermanno per la poesia.



In lui, infatti, la frequentazione della letteratura e soprattutto della poesia si è unita saldamente con la formazione scientifica del chimico, cosa che si capisce molto bene da queste sue parole:

Non finiamo mai di stupirci del fatto che a partire da parole apparentemente aride, quali sono i termini chimici, si possano costruire immagini ed evocare atmosfere così intensamente emotive. È come aprire uno spiraglio sulla fucina che opera in fondo al nostro subconscio. Continuo ad essere convinto che si tratta dello stesso luogo da dove scaturiscono anche le invenzioni e le scoperte scientifiche. Vuoi vedere, mi sono detto, che, come ha ipotizzato Hadamard, la matrice estetica gioca un ruolo fondamentale anche nella scelta delle ipotesi scientifiche?

Poiché, come ho detto all’inizio, è difficile in poche righe delineare la personalità di Niccoli, ho pensato di riportare un suo contributo estratto dalla rubrica “Uno Sguardo dalla Cattedra”, che permette di capire e conoscere la sua professionalità, il suo amore per la chimica e la sua passione nel trasmetterne i fondamenti didattici “senza se e senza ma”.




Alziamoci in piedi!

Con una punta di snobismo intellettuale di tanto in tanto amo rimettere in discussione i miei modi abituali di fare insegnamento e verificare le cose che ho dato per scontate. Cerco un antidoto contro la routine professionale, contro la tendenza, molto forte in un lavoro pieno di incertezze e psicologicamente logorante, ad attestarsi su false sicurezze ed a calcificarsi in procedure consolidate. Non posso ignorare le penose figure di alcuni colleghi, fortunatamente dei casi limite, i quali all’inizio della loro vita di insegnanti si aggrappano ai loro appunti di studenti universitari e con quelli navigano per una intera vita professionale. Quando vanno in pensione, quei quadernetti sono consunti e ingialliti e loro poveretti recano sul viso i segni devastanti della depressione. Viceversa, bisogna prevedere di non rimanere sempre timidamente rannicchiati dietro la nostra cattedra, di alzarci in piedi affinché gli altri riconoscano la fondamentale importanza del nostro lavoro. Si richiede uno scatto di orgoglio. In didattica nessuno è depositario del Verbo e le intelligenti elaborazioni di alcuni ricercatori stentano a confrontarsi con l’esperienza diretta sul campo. Mi ha molto colpito l’affermazione di J. Brunner, già citata in questa rubrica, quando dice che “… è sorprendente, in una certa misura scoraggiante notare come i dibattiti sull’educazione, che si sono susseguiti a ritmo incalzante, … siano sostanzialmente disattenti all’intima natura dell’insegnamento e dell’apprendimento scolastico …”. Molti di noi sono viceversa depositari di un importante patrimonio di conoscenze, ma non hanno mai trovato il vigore mentale necessario a condurre, dopo essersi impadroniti dei linguaggi e dei fondamenti della didattica, una analisi approfondita. Insomma, l’insegnante-ricercatore potrebbe essere una figura centrale per il mondo della didattica, anche perché la Didattica Generale, analogamente alla Chimica Generale, rischia di peccare di genericità e, se vogliamo entrare nella carne viva dei processi di insegnamento-apprendimento, dobbiamo attestarci sul versante della didattica disciplinare, nella fattispecie della Didattica Chimica. L’insegnante-ricercatore deve prendersi le sue responsabilità, sulla base della sua insostituibile esperienza deve, dopo adeguato studio, saper scegliere. A partire da questa riflessione mi sembra di poter rifiutare qualunque affermazione assolutistica nel campo della didattica, soprattutto perché l’interazione interpersonale scatena un tale turbinio di variabili che sarebbe semplicistico pensare di poter ingabbiare questi processi mediante delle semplici regolette; molte delle teorie, che sono state avanzate, contengono verità importanti ma parziali, verità che vanno temperate alla luce dell’esperienza didattica. Qualunque insegnante esperto può rilevare come le teorie piagettiane, pur nella loro monumentale omnicomprensività, soffrono di un eccesso di mentalismo che non tiene nel dovuto conto l’influenza del contesto e sono carenti sul piano dei riscontri. Questo non toglie che siamo di fronte a una pietra miliare della psicologia cognitiva e dell’analisi dei processi di apprendimento. In ultima analisi bisogna bandire le mode didattiche per lavorare sulle teorie di cui disponiamo e cercare di trarne il massimo profitto. Siamo destinati a influire, si spera in modo positivo, sulla mente delle persone per cui dobbiamo fare i conti con la vertiginosa complessità del cervello, un misterioso computer rigorosamente analogico il quale, pur di mantenere un funzionamento flessibile, si permette il lusso di compiere molti errori, salvo poi correggerli in modo assolutamente creativo. Questo non significa che dobbiamo rinunciare ad intervenire: come sempre, di fronte a sistemi complessi, dobbiamo capire i modi che hanno di auto-organizzarsi, dobbiamo cogliere certe invarianti del processo, dobbiamo intervenire in ambito ristretto e con tecniche sperimentali, ogni volta osservandone gli effetti, dobbiamo capire che noi stessi facciamo parte del processo che mettiamo in moto. Non dimentichiamoci inoltre che la scienza non esiste in natura, esiste dentro di noi come strumento della mente, così come esistono, tanto per usurpare le parole di Brunner, infiniti modi diversi per apprendere. Il discente raggiunge la conoscenza solamente nei suoi termini, per lui conoscere è una avventura che porta a spiegare nel modo più semplice ed elegante le cose più complicate e il nostro compito più precipuo consiste nell’aiutarlo e nell’incitarlo a intraprendere questa sorta di viaggio nell’intelletto. Nascono a questo punto una serie di domande. Come può fare tutto questo un docente che ha smarrito curiosità ed entusiasmo? Come può essere convincente un docente che non si identifica nella propria cultura? Con quali strumenti possiamo efficacemente aiutare i nostri discepoli nella loro avventura intellettuale? Qualche insegnante, di quelli che grondano certezze, mi risponderebbe: il curricolo!

Bene, sentite che cosa ne scrive Brunner: Lo strumento che consente di aiutare e incoraggiare un discente viene chiamato “curricolo”; abbiamo ormai imparato che il curricolo per antonomasia non esiste. Perché in realtà il curricolo è simile a una conversazione animata su di un argomento che, per quanto si possano porre dei limiti, non può mai essere definito fino in fondo. In sostanza il curricolo esiste innanzitutto come atto formale, un documento di indirizzo, una cornice che delimita il campo della nostra azione, che impedisce d’improvvisare, di disperdersi in mille rivoli e di inseguire futili momenti di entusiasmo. Ma il curricolo per mettere in moto i meccanismi psicologici dell’apprendimento richiede di essere animato, di essere tradotto in atto vitale, proprio come un copione teatrale richiede di essere tradotto in rappresentazione. Rimane la fondamentale importanza dei tradizionali strumenti di animazione cioè immagini, film, dimostrazioni, attività di laboratorio, programmi interattivi al computer, ma tutto questo fa da contorno al raccontare, al conversare oltre che alla lettura dei testi da parte del discente. È importante non confondere i supporti didattici con l’arte della comunicazione. A conferma di quanto detto sopra sta il fatto che, dopo fiumi di retorica sulle ricerche da parte dell’alunno e nonostante la moda imperante della multimedialità, continua a prosperare come fondamentale il metodo socratico del conversare, ossia la maieutica che aiuta lo studente a prendere coscienza delle conoscenze che si vanno formando nella sua mente. In ogni caso le metodologie didattiche, oltre che da supporto, agiscono anche da correttivo, temperando gli eccessi di soggettivismo, così come il contesto concorre a connotare e a dare spessore all’apprendimento. Ogni nostra comunicazione è ricchissima di messaggi di natura diversa, il pensiero è una conversazione interiore e, raccontando i fatti, noi raccontiamo noi stessi, esplicitando appunto quella conversazione interiore. Noi raccontiamo le nostre immagini mentali, i nostri modelli e, facendo questo, continuiamo a essere, con buona pace di Bill Gates, lo strumento fondamentale di comunicazione didattica. Se sapremo condurre con efficacia il nostro racconto, i nostri allievi più intelligenti sapranno perdonare le nostre défaillance o i malumori di una mattinata.

Ermanno Niccoli

CnS - La Chimica nella Scuola, 2000, 3, 107-108