Retorica del metodo scientifico o potere dell’incertezza?

In aula come in laboratorio, costruire fiducia coltivando il dubbio



Paola Govoni

Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna

e-mail: p.govoni@unibo.it


Indice

1. Introduzione

2. La scuola e l’università ai tempi di ChatGPT

3. Scienza è: incertezze, dubbi, errori…

4. Accettare di confrontarsi con l’incertezza

5. Costruire fiducia coltivando il dubbio

6. Come e che cosa imparare?

Riferimenti



Abstract. How can we prepare the younger generation to effectively navigate various sources, whether they are books, social media, or ChatGPT, to find accurate and verified data and information? What strategies should we employ to instill confidence in their ability to engage in independent and exploratory learning, while cultivating skepticism towards jargon, authoritative figures, and ideological viewpoints? How can we adopt an approach to understanding reality that not only embraces uncertainties, doubts, and inevitable dead ends but also acknowledges the profound social and cultural complexities inherent in science? How can we liberate ourselves from obsolete narratives, including those associated with the rhetoric of the scientific method? In these times, questions seem to outweigh answers. Moreover, whether in the classroom or the laboratory, progressing through thoughtful inquiries is perhaps the most reliable path to navigate a reality that is increasingly unfolding in digital spaces.

Keywords: Scienza e incertezza; in classe come in laboratorio; storia e studi della scienza; procedere per dubbi ed errori; fiducia e giovani


1. Introduzione

Da quando la pandemia da SARS-CoV2 ha fatto la sua comparsa sulla scena, la situazione dell’umanità a livello globale è definitivamente stata percepita in tutta la sua incertezza. Si è dovuta ammettere un’evidenza negata troppo a lungo: viviamo in un’era in cui, ben più che negli ultimi secoli, sono e saranno le condizioni climatiche a orientare le nostre vite. L’innalzamento della temperatura globale per cause antropiche sostiene da ormai quasi un secolo cambiamenti del clima che contribuiscono ad alimentare un’instabilità sociale ed economica che – attraverso le reti comunicative digitali – sta dilagando rapidamente ovunque. Le politiche, locali e sovranazionali, dovrebbero concentrare tutte le loro energie su questo: lavorare per l’ambiente significherebbe lavorare per la giustizia sociale e il tema dell’intelligenza cosiddetta artificiale (IA) è evidentemente al centro della questione.

A scuola, all’università e ovunque si fa educazione è a mio parere di questi temi che dovrebbero essere discussi con le giovani generazioni. I mezzi comunicativi di cui l’umanità dispone possono alterare con estrema facilità in chiunque, non solo nei giovani e in persone culturalmente e psicologicamente poco attrezzate, la percezione di qualsiasi fenomeno. È sempre più facile orientare le opinioni e i comportamenti di milioni di persone in tempi rapidissimi, spesso attraverso un uso strumentale e truffaldino delle immagini che, più delle parole, colpiscono le nostre menti.

Per quanto concerne le interazioni tra cambiamento climatico e instabilità sociale, notizie false e urlate possono generare ansia se non panico come atteggiamenti negazionisti. Tutto questo è sempre accaduto: basti pensare alle campagne razziste e antisemite tra le due guerre mondiali che si sono avvalse della circolazione di milioni di copie di documenti falsi e deliranti, ma dalla vaga apparenza ‘scientifica’. La differenza oggi è nella rapidità con la quale notizie e dati truffaldini possono circolare tra molti milioni di utenti che possono venire indotti ad avvallare decisioni della politica a sostegno di singoli e piccoli gruppi di potere, non del pianeta e dell’umanità.

A mio parere è di questi temi che, in relazione alla scienza e alle nuove tecnologie, si dovrebbe dialogare con chi è giovane. La politica (locale e internazionale), com’è ormai evidente da anni, si nutre del sostegno di un’opinione pubblica che naviga a vista attingendo ai social, non certo alle fonti verificate del giornalismo d’inchiesta. Abbiamo invece bisogno di politiche intelligenti e che si basano su dati verificati. Non ne abbiamo bisogno come italiane/i o europei o occidentali o altro. Ne abbiamo bisogno come specie. Dobbiamo per questo, in primo luogo, saper scegliere quelle politiche – per l’ambiente e insieme per i diritti – che sono in grado di andare oltre schieramenti bipolari che appartengono alle strategie novecentesche di un mondo che non c’è più: con le reti digitali abbiamo creato un mondo molto più piccolo e questo, che potrebbe essere un vantaggio enorme, può allo stesso tempo trasformarsi in un grave pericolo.

Scelte le politiche, potremo applicare la scienza e la tecnologia di cui disponiamo: che, in effetti, sono spesso straordinarie. Senza politiche lungimiranti la scienza è cieca e, quando nelle mani sbagliate, cioè in quelle che difendono gli interessi di pochi, è pericolosa. È a una scienza che mostra con coraggiosa sincerità questa sua componente sociale e politica che dobbiamo allenare le e i giovani perché sappiamo scegliere in autonomia e oltre gli interessi di parte.

Ma quale scienza può attirare i giovani? Questo è forse il primo quesito che ci dobbiamo porre se lavoriamo in ambito educativo. Seguito da un’altra, non meno importante, domanda: come distinguere tra dati e informazioni verificate e la propaganda?

2. La scuola e l’università ai tempi di ChatGPT

Quali strumenti possiamo offrire alle nuove generazioni perché riescano a cavarsela in un mondo digitale che offre risorse straordinarie e insieme trabocchetti, vicoli ciechi e trappole? Non esistono, è evidente, metodi o modelli che valgano una volta per tutte: pensare con la propria testa e non smettere di cercare risposte a nuovi quesiti sembra l’unica soluzione. Dobbiamo mantenerci allenate/i alla libertà dai vincoli imposti dai ‘maestri’, dagli ipse dixit e da tutte le retoriche di cui spesso sono pieni i manuali, molte voci di Wikipedia (soprattutto in lingua italiana), per non dire di social e media che non sembrano in grado di uscire dalla logica delle fazioni contrapposte: a favore o contro … Alla complessa sfaccettatura e variabilità dei fenomeni la risposta non può essere che “dipende”. Pieni di dubbi, ma con dati verificati alla mano, dovremo ogni volta saper fare scelte adeguate alle circostanze e al contesto. Come chi gioca a poker e a scacchi o lavora in laboratorio, dobbiamo imparare a fare scommesse sensate con i dati di cui disponiamo, verificati una volta di più, ma nella consapevolezza che molto raramente, se non mai, saranno dati definitivi. In scienza nulla è certo. Le certezze appartengono al regno delle ideologie, laiche o meno che siano.

Forse, ragionare in questi termini insieme con ragazze e ragazzi potrebbe aiutarli – e noi con loro – a non cadere nelle trappole che con facilità si incontrano navigando in rete. Le tecnologie sono nuove, ma le strategie di difesa sono forse ancora quelle di chi, lavorando con successo in ambito scientifico, già nel Novecento ci ha lasciato suggestioni valide ancora oggi, in tempi di ChatGPT: uno strumento che, come altri, a mio parere dobbiamo lasciar entrare in classe per smontarlo, mostrarne i limiti e i pericoli insieme alle enormi potenzialità.

Con ChatGPT copiano? Se lo faranno, saranno le e gli stessi che copiavano prima, gli altri trarranno vantaggio da un nuovo strumento in più, da usare insieme al/la docente e non da soli, come sono spesso fuori dall’aula. Chi sa come usare in modo utile questo strumento in classe? Nessuno, lo stiamo imparando insieme ai nostri studenti. Noi potremo offrire loro quell’esperienza che consente di intercettare errori, inesattezze, superficialità e luoghi comuni che la chatbot rifila in abbondanza: provare per credere. Per non dire della totale mancanza di riferimenti precisi alle fonti che la chatbot usa e che, tra l’altro, si fermano – come ChatGPT stessa avvisa – al 2021. Studentesse e studenti ci sapranno aiutare con tutte le domande e i dubbi tipici di chi è giovane e ai quali la chatbot può dare risposte interessanti. Certo, quelle domande intelligenti ci saranno se non spegniamo i giovani a suon di programmi ministeriali, manuali e retorica, inclusa quella del ‘metodo scientifico’, il tutto finalizzato a ‘verifiche’ e ‘valutazioni’.

3. Scienza è: incertezze, dubbi, errori…

Nel primo anno di pandemia fu pubblicato un rapporto del Center for Countering Digital Hate che dimostrava come gran parte della disinformazione e delle teorie cospirative anti-vaccino contro il Covid-19 provenissero da dodici persone seguite, pare, da 59 milioni di profili [1]. È facile immaginare come la disinformazione si sia diffusa in poco tempo ovunque, sollevando dubbi alimentati da paura e pregiudizi che hanno vinto in molti sulle conoscenze che abbiamo da ormai tre secoli sull’efficacia dei vaccini. Si tratta di conoscenze provenienti da quantità enormi di dati scientifici, storici e sociali. Conoscenze che ci rassicurano circa l’importanza vitale della vaccinazione per le comunità: il che non significa, com’è ovvio, rischi zero per la singola persona. Ognuno, dati alla mano, dovrà valutare per sé o i propri figli, ma senza pretendere generalizzazioni che la storia e la scienza non consentono.

Scienziata e antropologa con una laurea in medicina, un’educatrice come Maria Montessori (1870-1952) ha lasciato pagine interessanti anche su un tema come questo. Con molto più successo a livello internazionale che a sud delle Alpi, il metodo montessoriano presenta il processo educativo come, in primo luogo, a opera della bambina e del bambino che devono crescere liberi. In un ambiente ricco di attività e stimoli, il primo laboratorio di scienza durante l’infanzia per Montessori è all’aria aperta: quell’ambiente che chiamiamo naturale, con il sapere scientifico, per Montessori favorirà rapporti interpersonali e sociali rispettosi e alla pari, le basi a suo dire della pace.

A proposito di scienza, incertezza ed errore in un saggio del 1952 Montessori scrive [2]:

Qualunque cosa ci dia la scienza, ce la dà con una approssimazione, non come assoluta, e di questa approssimazione si tien conto nel risultato. Per esempio, un’iniezione antimicrobica dà un risultato sicuro nel 95 % dei casi, ma è importante sapere che esiste un 5% di incertezza. Anche una misura è considerata corretta fino ad un certo numero di millesimi. Nella scienza nulla è dato o accettato senza l’indicazione del probabile errore, e ciò che dà importanza agli elementi è il calcolo degli errori. Nessun dato è considerato serio se il risultato non è corredato dall’errore probabile, importante quanto il risultato stesso. Se questo calcolo dell’errore è tanto importante per la scienza esatta, lo sarà ancor più per il nostro lavoro [di educatrici e educatori], dove l’errore presenta uno speciale interesse e la sua conoscenza è necessaria per correggere o controllare.

Negando le incertezze in cui naviga la migliore delle scienziate o il migliore degli scienziati, è in quegli anni che, invece, mise radici nella sfera pubblica e in ambito educativo quell’immagine di scienza come cultura della ‘verità’ e ‘oggettività’, conseguibili a colpi di ‘metodo scientifico’: immagini semplicistiche e tipicamente maschili delle quali tanti manuali ancora non si sono liberati, nonostante le battaglie di numerosi scienziati.


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James B. Conant (1893-1978) fu un brillante chimico ad Harvard prima di diventarne rettore nel 1933. Lo sarebbe rimasto fino al 1953, tra la depressione e il maccartismo, e nel frattempo fu anche uno dei responsabili del progetto Manhattan. Conant fu un funzionario di potere e fuori dagli schemi (tra le altre cose, aprì Harvard alle donne), uno scienziato di riconosciuto valore, politicamente un radicale jeffersoniano, insomma, una figura non etichettabile facilmente, controversa e insieme di straordinario interesse. Una figura utile per confrontarci in classe con questioni scientifiche quanto politiche difficili e sempre attuali. Terminato il conflitto, Conant si dedicò a ricostruire la fiducia delle nuove generazioni nei confronti di una scienza che, come si disse, con le bombe atomiche aveva conosciuto il peccato. Per evitare in futuro di cadere nuovamente nell’incubo di una guerra mondiale che sarebbe stata nucleare, per Conant era importante formare scienziati consapevoli delle dimensioni storiche che orientano la scienza. Era inoltre convinto che fosse necessario comunicare a un pubblico ampio che lo scienziato è un umano non meno assillato dai dubbi di qualsiasi altra persona [3]:

Il modo incespicante in cui anche il più abile degli scienziati in ogni generazione deve combattere in roveti fitti di osservazioni errate, generalizzazioni ingannevoli, formulazioni inadeguate e pregiudizi inconsci è raramente apprezzato da coloro che ricavano il loro sapere scientifico dai manuali.

Di questi temi scomodi, ma di cui tanti scienziati sono stati disposti a parlare con onestà, si occupano gli studi della scienza, o science studies (o, per usare gerghi accademici, Science and Technology Studies, STS), che potrebbero trovare applicazioni interessanti anche in ambito scolastico [4]. Al contrario, raramente i manuali scolastici si confrontano con queste questioni, tantomeno in prospettica storica. Affidando il messaggio a quelle che un altro scienziato controverso e interessante, Richard P. Feynman (1918-1988), chiamava le “mystic formula”, i manuali combattono, a suon di scientismo, metodi e modelli, la loro battaglia contro le derive antiscientifiche (che, com’è ovvio, preoccupano anche me), ottenendo il più delle volte effetti contrari.

Feynman, forse il più noto dei demolitori delle retoriche accademiche, in più occasioni dichiarò [5]:

Posso vivere nel dubbio e nell’incertezza e senza sapere. Anzi, penso che sia molto più interessante vivere senza sapere piuttosto che darsi risposte sbagliate. Se soltanto possiamo ammettere che, mentre procediamo nella conoscenza, rimaniamo allo stesso tempo insicuri, lasceremo aperta la strada a diverse possibilità alternative. Non diventeremo fanatici per il fatto, la conoscenza, la verità assoluta del giorno, ma rimarremo sempre incerti…Per progredire davvero dobbiamo lasciare socchiuse le porte verso ciò che non è conosciuto.

Perché non privilegiare questa retorica invece di quella paralizzante di un metodo scientifico che inevitabilmente alimenta il mito della “verità assoluta del giorno”? Il rischio con le immagini semplicistiche è di alimentare la convinzione che, seguendo un certo percorso, non potremo fare a meno, prima o poi, di ottenere dei risultati. Le cose non stanno così, almeno a giudicare dalle testimonianze di chi la scienza la pratica e l’ha praticata in passato con successo. Perché allora avvilire la curiosità e l’impertinenza intellettuale di tante e tanti giovani?

Mille variabili possono intervenire nella costruzione di nuovo sapere e un probabile mancato risultato può per un giovane essere destabilizzante se presentato come fallimento, invece che come un percorso inevitabile: in classe, nella vita come in laboratorio. Lavorare in un laboratorio avendo nella cassetta degli attrezzi anche gli errori, l’incertezza e i dubbi a volte paralizzanti, oltre che una solida conoscenza della storia, potrebbe aiutare chi è giovane a capire meglio quanto la questione sia più complessa di come la celebrino i manuali – infatti abbandonati in quei paesi dove più si investe in educazione innovativa –, per non dire di tanti divulgatori assetati di affermazione personale.

In scienza (come in qualsiasi altro ambito) i metodi esistono, il problema è che ce ne sono forse tanti quanti sono gli scienziati e le scienziate.

4. Accettare di confrontarsi con l’incertezza

Viviamo tempi difficili, non c’è dubbio, ma piuttosto che autocommiserarci o abbandonarci alla rassegnazione, conviene ricordare che la vita umana incerta lo è sempre stata. Anche in questi processi di autosostegno la storia potrebbe avere un ruolo più importante di quello che solitamente ha. Basterebbe conoscere meglio quanto hanno vissuto in Europa donne e uomini di un paio di generazioni prima di noi, tra due guerre mondiali e la Shoah. Una storia che, sempre grazie a manuali noiosi e pieni di semplificazioni, i giovani evitano, con il risultato che non sanno praticamente nulla di quanto accaduto nel Novecento: un secolo nel quale scienza e tecnologia, nel bene e nel male, sono diventate definitivamente le protagoniste.

Negli ultimi decenni, un livello di vita migliore via via raggiunto da porzioni sempre più ampie della società e, più di recente, la diffusione delle ICT e ora dell’IA, hanno dato a molti l’illusione di appartenere a una specie vincente su ogni fenomeno terrestre. Il problema è che il pianeta è distruggibile, ma non dominabile a nostra immagine e somiglianza, come alcune tradizioni culturali ci hanno lasciato credere.

Con l’arrivo anche nel Mediterraneo e in Europa degli effetti dell’innalzamento della temperatura globale, ci stiamo confrontando con un senso di incertezza sempre più profondo. Ricordarci di chi, come Montessori o Feynman, ha parlato di scienza come cultura della libertà di pensiero, di conseguenza una cultura del dubbio e dell’incertezza, ci può aiutare a ragionare con i giovani circa l’urgenza di evitare di cadere nelle trappole semplicistiche dello scientismo, del negazionismo o, peggio, dell’indifferenza.

5. Costruire fiducia coltivando il dubbio

Il 16 maggio 2023 Sam Altman, CEO di OpenAI, il laboratorio di IA che ha creato ChatGPT, ha risposto alle domande del Senato degli Stati Uniti in un’audizione che alcuni commentatori hanno descritto come surreale: Democratici e Repubblicani sembravano concordare su tutto. Ulteriore prova di quanto potenzialmente pericolosi siano strumenti come le chatbot. La domanda è: chi e come userà questo potere? Manipolare l’opinione pubblica con notizie false su ambiente, politica, economia, salute sarà sempre più facile. Gli incontri su questi temi si stanno moltiplicando ovunque.

In una conferenza alla Harvard Kennedy School nei primi giorni di ottobre 2023, l’ex Ceo di Google, Eric Schmidt attirava nuovamente l’attenzione sui possibili effetti dello sviluppo dell’IA per la sicurezza americana e globale. Schmidt ha espresso forte preoccupazione riguardo alla possibilità di guerre psicologiche e manipolazione dell’opinione pubblica tramite i sistemi di IA, con particolare riferimento alle elezioni del 2024: in India, Europa e Stati Uniti, zone del pianeta dove abitano più di 2,5 miliardi di persone. Uno stress test mica male per la democrazia mondiale e le politiche ambientali che quelle zone del mondo adotteranno con le loro scelte elettorali. Conferenze internazionali sono annunciate in Europa su questi temi ed è un buon segno.

Si è già visto come i social abbiano potuto condizionare elezioni importanti in passato facendo circolare notizie false. Oggi più che mai è vitale prendere decisioni basate su dati e conoscenze che aprano la strada a politiche a sostegno del sistema Terra. Regolamentare dall’alto l’IA con sistemi di controllo interni alle aziende, con norme e leggi (nazionali e sovranazionali) è vitale, ma non è assolutamente sufficiente. Ognuna di noi deve vigilare su chi e in cosa riporre la fiducia, mantenendo alta la guardia del dubbio, tipici di chi non si fida e continua a indagare: certamente la scuola e l’università, le biblioteche, i musei e i centri della scienza, ma anche i bar e le piazze – in primo luogo digitali – devono essere i luoghi in cui imparare questo (non) metodo.

6. Come e che cosa imparare?

Da sempre i dati denunciano come siano pochissimi in Italia i e le giovani che proseguono gli studi all’università rispetto a quelli di altre zone dell’Europa. Le ragioni sono diverse e affondano le radici in una storia antica, ma evidentemente l’approccio all’insegnamento di tutti i saperi, non solo quello scientifico, non è adeguato al mondo in cui viviamo: se a scuola si rendesse il conoscere divertente, interessante e di qualche utilità pratica, non sarebbero molti di più quelli che vorrebbero continuare a studiare? D’altra parte, anche i pochi che arrivano all’università, com’è noto, tra il 1° e il 2° anno spesso abbandonano gli studi. Evidentemente, nemmeno all’università li sappiamo trattenere.

L’ibridazione tra una burocrazia in espansione e riti accademici consolidati sembra spesso vincere su quel pensiero libero che dovrebbe circolare a scuola e all’università. Una situazione che alimenta un clima culturale conformista che può rendere i temi che trattiamo in aula troppo teorici e avulsi dalla realtà – digitale e non – in cui i giovani si ritrovano appena usciti dall’aula. È allora importante portare in classe tutti gli argomenti, gli strumenti e i social con i quali ragazze e ragazzi si confrontano da soli e in gruppo. Sarà allora inevitabile adottare approcci integrati, o interdisciplinari di cui tanto si parla. Sappiamo da svariate esperienze che ciò che sembra funzionare meglio è scegliere di volta in volta dei temi attuali e che appassionano i ragazzi e le ragazze da affrontare da gruppi di docenti che lavorano insieme, ma da punti vista diversi [6].

Invece, quello che ancora spesso vince a scuola è l’abbraccio mortale delle ‘discipline’, mentre all’università dilaga la mistica dei ‘settori scientifico-disciplinari’ (al momento sono 383: trecento-ottanta-tre).

Per restare ancora un momento sul tema della cosiddetta interdisciplinarità, ricorro ancora a Montessori. Nel 1938, costretta a lasciare un paese fascista che, com’è ovvio, non poteva tollerare una pedagogia che si reggeva sul concetto di libertà, Montessori fu invitata in Olanda a tenere una conferenza. La scienziata-pedagoga era già al lavoro, come dimostra quel testo, su quella educazione che chiamerà cosmica e che avrebbe sviluppato durante il suo lungo soggiorno in India [7]. È noto che Montessori si sarebbe spinta sempre più verso visioni spirituali, ma questo non le impedì certamente di restare in primo luogo una scienziata di formazione darwiniana. In quella conferenza, tenuta in un momento tra i più terribili della storia europea, Montessori ragiona su ciò che oggi chiamiamo sistema Terra, mettendo in relazione eventi geofisici e biologici. Montessori porta in ambito educativo quelle esigenze di visione unitaria dei fenomeni che sono andate perdute a causa delle politiche ‘patetiche’ delle ‘discipline’ e dei ‘settori scientifico disciplinari’: le visioni unitarie del sistema Terra ci sono oggi più che mai indispensabili per capire e affrontare per quanto possibile l’emergenza climatica, nella ricerca come in ambito educativo [8, 9].

Montessori esordiva dicendo che l’oggetto della sua ricerca era “lo scopo, la finalità dell’esistenza umana” [10]:

In effetti la finalità non si può comprendere, ma si può almeno illuminare un poco l’essenza della vita umana sulla Terra. E questo vogliamo tentare di fare da un punto di vista scientifico non inventando, ma cercando nei grandi studi attuali che tanto hanno nobilitato l’intelligenza umana, per orientarci e per trovare quanto possa maggiormente favorire l’educazione.

Non si tratta di avere più cultura, più informazioni, ma di [analizzare] conoscenze che soddisfino il bisogno profondo che è in noi di capire meglio noi stessi e il nostro compito o destino. […] La questione è molto complessa […] Diciamo intanto che si possono considerare da un punto di vista sintetico varie scienze in rapporto tra loro. Ad esempio, la biologia, la mineralogia, la geologia, la storia della Terra […] tutte insieme possono avere un punto in comune e poiché l’essere umano vive sulla Terra possono illuminare anche il senso della vita umana. Lo sforzo dei nostri tempi è quello di cercare rapporti sempre più logici e profondi tra le varie ricerche. Oggi gli scienziati non studiano più i semplici fenomeni, ma le relazioni tra di essi e questo porta verso l’origine delle cose, verso l’unità, come ad esempio nella fisica.

Vorrei chiudere affiancando a questa un’altra citazione che ci ricorda la necessità di non lasciarci mai affascinare dai ‘maestri’, incluse le Montessori o i Feynman.

Wolfgang E. Pauli (1900-1958), austriaco naturalizzato americano, è stato uno dei pionieri della meccanica quantistica e il suo lavoro è stato riconosciuto con il Nobel nel 1945. A Zurigo nel febbraio del 1929, mentre con Werner K. Heisenberg (1901-1976) stava lavorando a uno dei paper che sono oggi considerati tra i capisaldi dell’elettrodinamica quantistica, Pauli conobbe J. Robert Oppenheimer (1904-1967). La differenza di età tra i due era minima, ma Pauli era già Pauli nelle chiacchiere dei giovani dottorandi come Oppenheimer. Scrivendo al più anziano Paul Ehrenfest (1880-1933) con consapevolezza spocchiosa di sé (sì, anche vedere da vicino le meschinerie dei grandi può salvare i giovani dai miti), Pauli non perdeva l’autoironia [11]:

Credo che Oppenheimer sia perfettamente a suo agio a Zurigo […] Il suo punto di forza è che ha molte buone idee e molta immaginazione. Il suo punto debole è che si accontenta troppo in fretta di enunciazioni scarsamente fondate […]. Ma […] ha buona volontà e non è testardo. Purtroppo, ha un tratto molto negativo: si rapporta a me con una fede piuttosto incondizionata nell’autorità e considera tutto ciò che dico come verità conclusiva e definitiva. Non mi sfuggono le origini di questo bisogno dell’autorità di altri.

Sentiamo il bisogno di un’autorità che ci guidi, non solo quando siamo giovani e insicuri, ma anche nei momenti storici di grande incertezza, come questo che stiamo vivendo. Per questo dobbiamo vigilare su di noi e investire nella nostra autonomia di pensiero e, se siamo docenti, resistendo alla tentazione di presentarci come autorità dispensatrici di vero. Combattere a scuola le immagini di ‘verità definitive’ e la ‘fede nell’autorità’, di cui scriveva Pauli un secolo fa, senza scadere nel negazionismo o nella volgarità dell’insulto è, mi pare, il difficile compito di chiunque si occupi di educazione, a ogni livello e in ogni contesto.

Restare autonome e autonomi è una grande fatica, è più facile aggregarsi a un gruppo, ma è una fatica che dobbiamo saper affrontare se vogliamo evitare vicoli ciechi già imboccati in passato.

Riferimenti

[1] Center for Countering Digital Hate (CCDH), The Disinformation Dozen. Why platforms must act on twelve leading online anti-vaxxers, 2021 (https://counterhate.com/wp-content/uploads/2022/05/210324-The-Disinformation-Dozen.pdf) (ultimo accesso, 25 maggio 2024).

[2] M. Montessori, L’errore e il suo controllo, in EAD, La mente del bambino. Mente assorbente, Garzanti, Milano, 1970 (prima edizione del 1952), p. 246.

[3] J. B. Conant, On understanding science, Yale University Press, New Haven, 1947, p. 44 (traduzione dell’autrice del contributo).

[4] G. Polisena, La scuola di oggi e il mondo di domani. Insegnamento delle scienze, storia e studi della scienza (STS), CnS, La Chimica nella Scuola, 2022, 3, 50-55.

[5] R. P. Feynman, The Pleasure of finding things out: The best short works of Richard P. Feynman, (Ed. Jeffrey Robbins), Perseus Books Group, New York, 1999, p. 24 (traduzione e corsivi dell’autrice del contributo).

[6] L’avventura del progetto IRRESISTIBLE, Insegnanti, studenti ed esperti a confronto su temi di ricerca d’avanguardia e aspetti della Ricerca e Innovazione Responsabile, a cura di Margherita Venturi, Bononia University Press, Bologna, 2018.

[7] R. Raimondo, Origini, caratterizzazioni e sviluppi dell’educazione cosmica in Maria Montessori, Rivisita di storia dell’educazione, 2019, 1, pp. 69-79.

[8] B. Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, prefazione di Luca Mercalli, Meltemi, Milano, 2020 (prima edizione originale del 2015), p. 160.

[9] P. Govoni, M. G. Belcastro, A. Bonoli, G. Guerzoni, Ripensare l’Antropocene. Oltre natura e cultura, Carocci, Roma, 2024.

[10] Dal testo della Conferenza di Maria Montessori per l’Unione degli Incontri dei Direttori Montessori in Olanda, domenica 25 settembre 1938; dattiloscritto conservato presso l’Archivio “Giuliana Sorge”, Centro Nascita Montessori, ora pubblicato in Il Quaderno Montessori, no. 109, cit. pp. 59-60 (pp. 57-64, corsivi dell’autrice del contributo).

[11] W. Pauli, a P. Ehrenfest, 15 febbraio 1929, in Scientific Correndence (p. 486), cit. in Abraham Pais, Oppenheimer. La tragedia di uno scienziato: dalla bomba atomica alla Guerra fredda, a cura di R. P. Crease, Mondadori, Milano, 2023 (prima edizione originale del 2006). p. 26 (corsivi dell’autrice del contributo).