Chi ha paura della chimica?1



Ruggero Rollini

Centro di Ricerca sulla Comunicazione Scientifica, Università di Bologna

Sara Tortorella

Gruppo Giovani SCI, Divisione Didattica della Chimica e IIS “Sansi Leonardi Volta”, Spoleto (PG)

e-mail: saratortorella4@gmail.com


Indice

1. La chemofobia esiste?

2. Quando è nata la chemofobia?

3. Chemofobia e scuola

4. Come contrastare la chemofobia?

5. La scuola come possibile soluzione

6. Conclusioni e nuovi inizi 33

Riferimenti



Abstract. “Chemicals are like people – some are good, some are bad, and most are in between”. Unfortunately, chemicals perception in modern society is way more complex than this excellent metaphor. Chemophobia is one of the results of this complexity. By asking and answering direct questions as: What is it? When is it born? How bad is it? Why is it so pervasive? How to solve it? A systematic literature review on chemophobia has been carried out and its results are hereby reported. We hope this review will pave the way for a better understanding of the chemophobia phenomenon, and possible measures to contrast it.

Keywords: Chemofobia; didattica della Chimica; sostanze chimiche

1. La chemofobia esiste?

Può sembrare retorica come domanda, ma non lo è affatto. Se davvero si vuole affrontare efficacemente il problema della chemofobia, bisogna prima riuscire a definirne in modo chiaro i confini. Esiste o è solo nella testa dei chimici? Se esiste, affligge tutto il settore della chimica o solo una sua parte? Nel caso, quale? Solo nell’ultimo decennio sono iniziati a comparire studi sistematici e rigorosi sulla chemofobia. Proviamo ad elencare i principali risultati

Uno dei lavori più importanti sul tema è un report della Royal Society of Chemistry (RSC) del 2015 sulla percezione della chimica nel Regno Unito [1]. Questo massiccio lavoro ha provato a confrontare i dati raccolti ed elaborati da sondaggi e gruppi di discussione con ciò che i chimici pensavano che il pubblico avrebbe risposto.

Già qui si può tirare un sospiro di sollievo, perché nel Regno Unito la chimica è ben vista:

I chimici interpellati si immaginavano un risultato ben più negativo. Generalmente, invece, si guarda alla chimica con neutralità e la si considera una disciplina importante, ma un po’ astratta. Come disciplina non esalta, ma non è nemmeno mal vista.

Un’altra pubblicazione sembra portare a risultati simili, con un approccio completamente diverso [2]. Sono stati analizzati dei tweet pubblicati nel primo semestre del 2015. I ricercatori hanno preso in considerazione 256.833 tweet contenenti le parole «chemistry», «chemical» o «chem» e hanno cercato di capire a che stato d’animo fossero legati. Anche in questo caso, la percezione della chimica sembra essere piuttosto positiva (Figura 1).

La chimica come disciplina non sembra essere colpita dalla chemofobia, che però potrebbe avere come bersaglio i chimici, in quanto professionisti.

Dal report della RSC [1] anche i chimici sembrano uscirne bene: nel Regno Unito si crede che i chimici siano persone oneste, alla mano e che abbiano un impatto positivo sul mondo. Al massimo vengono visti come saputelli, ma possiamo dargli completamente torto?

Bisogna, però, fare un po’ attenzione perché questi dati potrebbero essere in parte falsati dalla confusione anglosassone tra “pharmacist” e “chemist” (rispettivamente farmacista e chimico). In ogni caso si può dire che anche la figura del chimico è al sicuro e gode di una buona percezione pubblica.


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Figura 1. Risultati della sentiment analysis di un sottogruppo di tweet (n = 19804) dove la chimica è intesa come disciplina di studio (sinistra); risultati della sentiment analysis di un sottogruppo di tweet (n = 9159) dove la chimica è intesa come prodotto dell’attività umana e relativi a fatti e novità sull’industria chimica (destra) (Rif. 2)

Resta solo un’ultima cosa da considerare, cioè l’oggetto di studio principale e il prodotto finale della chimica: le sostanze chimiche. In un sondaggio condotto su più di 5500 abitanti di 8 diversi Paesi europei è emerso che il 39% dei partecipanti vorrebbe vivere in un mondo senza sostanze chimiche [3, 4]. Nello stesso lavoro si legge che il 40% afferma che farebbe di tutto per evitare il contatto con le sostanze chimiche nella sua vita quotidiana (Figura 2).


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Figura 2. Risposte ad alcune domande di un sondaggio condotto in otto paesi europei (n = 5.631); i partecipanti dovevano dirsi d’accordo o in disaccordo (totalmente o parzialmente) con certe affermazioni (Rif. 3, 4)

Inutile sottolineare troppo come queste siano affermazioni preoccupanti. Sarebbe letteralmente impossibile vivere in un mondo senza sostanze chimiche.

La vita stessa non esisterebbe senza sostanze chimiche. Nemmeno il mondo esisterebbe senza sostanze chimiche. Noi siamo fatti di sostanza chimiche, l’aria che respiriamo è composta di sostanze chimiche, tutto è fatto da sostanze chimiche!

Possiamo dire con ragionevole sicurezza che la chemofobia colpisce le sostanze chimiche, tanto che più di un terzo delle persone vorrebbe proprio farne a meno. Si può però tirare un sospiro di sollievo, per quanto piccolo e un po’ amaro. C’è probabilmente un importante sottinteso nell’affermare di voler vivere in un mondo senza sostanze chimiche: la locuzione “di sintesi”.

Dalle ricerche svolte, infatti, emerge un’importante distinzione [5]. I ricercatori e le ricercatrici hanno chiesto ai partecipanti che sensazioni gli suscitassero queste tre diciture: “sostanze chimiche”, “sostanze chimiche di sintesi” e “sostanze chimiche naturali”. Ne è emerso che “sostanze chimiche” e “sostanze chimiche di sintesi” generano gli stessi sentimenti negativi, mentre “sostanze chimiche naturali” ne genera di positive. Eccolo qui il sottinteso: quel 39% probabilmente vorrebbe vivere in un mondo senza sostanze chimiche (di sintesi).

A questo punto abbiamo tracciato i confini della chemofobia e possiamo darne una definizione. La chemofobia è la paura irrazionale delle sostanze chimiche (di sintesi). La chemofobia non è una fobia, psichiatricamente parlando, ma un atteggiamento negativo nei confronti delle sostanze chimiche (di sintesi).

2. Quando è nata la chemofobia?

In questo caso non c’è una risposta chiara. Ci sono diverse teorie. Alcune la radicano nell’antichità, altre la fanno iniziare con l’uso delle armi chimiche durante la Prima Guerra Mondiale [6]. L’ipotesi che però riscuote maggiori consensi ha identificato una data simbolica molto precisa: il 1962, con l’uscita del libro Primavera Silenziosa di Rachel Carson [7]. Curiosamente è lo stesso libro con cui si fa nascere l’ambientalismo moderno. Da questo punto di vista è molto probabile che la stessa pubblicazione possa aver generato l’importantissima coscienza ambientale – facendoci rendere conto degli incredibili e drammatici impatti che l’umanità può generare sul pianeta – e la chemofobia, che porta a guardare con eccessivo sospetto una delle discipline che più può contribuire a una riduzione dei nostri impatti.

Sarebbe facile derubricare la chemofobia come ignoranza, anche perché comunque c’è una forte correlazione inversa tra chemofobia e conoscenze di chimica e tossicologia. Purtroppo, come molte risposte facili, sarebbe un’interpretazione semplicistica. La chemofobia, infatti, ha delle basi che potremmo definire del tutto razionali.

Basta guardare tutta la seconda metà del Novecento. In quel periodo le ragioni per guardare con forte scetticismo all’industria chimica erano parecchie (Figura 3).

Tra gli anni ’50 e ’60 si è consumata la tragedia della talidomide, con la nascita di oltre diecimila bambini con gravi malformazioni; nel 1974 si sono identificati i clorofluorocarburi (o CFC) come responsabili del buco dell’ozono; nel 1976 è avvenuto il disastro di Seveso con la dispersione di una nube di diossina; nel 1984 c’è stato il rilascio di isocianato di metile a Bophal, in India, che ha causato migliaia di morti. Insomma, si può dire che c’è stata una vera e propria rottura del rapporto di fiducia tra l’industria chimica e l’opinione pubblica.

La chemofobia quindi affonda le radici in una preoccupazione legittima e del tutto razionale. Bisogna riconoscerlo. Ciò non toglie che c’è una bella differenza tra un sano scetticismo e il voler vivere in un mondo senza sostanze chimiche (di sintesi).


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Figura 3. Alcuni eventi della seconda metà del 1900 che potrebbero aver indotto la nascita della chemofobia

La soluzione non sarà né semplice né immediata. C’è un rapporto di fiducia da ricostruire, che non può prescindere dalla trasparenza nella comunicazione. L’altra parte passa dall’educazione. Vedere il mondo con gli occhi della chimica e possedere delle nozioni base di tossicologia può davvero aiutarci ad affrontare la nostra chemofobia.

3. Chemofobia e scuola

L’insegnamento della Chimica a scuola mira a fornire agli studenti una base solida di conoscenze chimiche, abilità pratiche e una comprensione dell’importanza della chimica nella vita quotidiana e nella società. O almeno questo è quello che ci aspettiamo e auguriamo accada.

La realtà, purtroppo, spesso si discosta da questo scenario idilliaco. Ne dà testimonianza il report della Royal Society of Chemistry (RSC) del 2015 già menzionato sopra [1].

Quando ai cittadini britannici è stato chiesto quale fosse la prima cosa a cui pensavano quando si parlava di chimica, la risposta più frequente (indicata dal 21% del campione) era collegata all’ambito scolastico o agli insegnanti di chimica incontrati nel loro percorso scolastico. La forte correlazione tra la chimica e il contesto scolastico emerge chiaramente anche da un’analisi dei tweet riguardanti la chimica, in cui si è notato che il concetto di “ambiente di apprendimento” veniva frequentemente menzionato [2].

Tuttavia, ciò che emerge in modo preoccupante (Figura 4) è la natura prevalentemente negativa di questa associazione.


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Figura 4. Risultati del report della Royal Society of Chemistry (RSC) del 2015 (Rif.1)

I partecipanti all’indagine, infatti, non consideravano la Chimica come una disciplina rilevante per la loro vita quotidiana e, anzi, faticavano a trovare esempi concreti delle sue applicazioni; al contrario, tendevano a ricordare aneddoti negativi o stereotipi legati alla chimica [1]. Inoltre, è stato suggerito che le misure di sicurezza adottate nei laboratori scolastici, indipendentemente dal reale grado di rischio, potessero contribuire a diffondere l’idea che tutte le sostanze chimiche fossero pericolose allo stesso modo [8]. Si è diffusa la percezione che la chimica fosse una disciplina difficile, potenzialmente ostile e priva del divertimento e l’applicabilità di altre scienze [1]. Per coloro che avevano avuto difficoltà o scarsa affinità con la chimica durante il percorso scolastico, questa materia poteva suscitare sentimenti di inferiorità e disinteresse; il 24% delle persone ha, infatti, dichiarato che l’esperienza scolastica li aveva dissuasi dall’approfondire lo studio di questa disciplina. Tre persone su dieci (31%) hanno, invece, ritenuto che la Chimica appresa a scuola si fosse dimostrata utile nella loro vita quotidiana. Indubbiamente, nessun chimico/a definirebbe la chimica come “astratta” o “lontana dalla vita quotidiana”: in realtà, la chimica, definita anche la “scienza centrale”, è ovunque intorno a noi.

Allora, qual è il divario da colmare? Perché non siamo in grado di trasferire la nostra passione e conoscenza per trasformare la curiosità innata degli studenti in una vera e propria passione duratura per la chimica? La ricerca didattica cerca di individuare le risposte a queste complesse domande. Anche se è difficile stabilire una connessione diretta, le difficoltà incontrate durante l’educazione scolastica potrebbero svolgere un ruolo significativo nello sviluppo della chemofobia, mentre i fattori precedentemente menzionati potrebbero amplificarla dopo la conclusione degli studi [9].

4. Come contrastare la chemofobia?

Nella ricerca di possibili soluzioni per contrastare la chemofobia, si sottolinea il ruolo dei chimici come comunicatori: questi dovrebbero diventare precettori, intermediari del sapere e dispensatori di conoscenza [10]. I chimici dovrebbero comunicare in modo responsabile, coinvolgente e comprensibile, seguendo idealmente il principio delle “5 E”: Educate, Emotionally Engage, Entertain and Energize. Questo approccio si basa sull’assunto che la chemofobia sia un’emozione e che, quindi, dovrebbe essere curata attraverso un’emozione.

Nella comunicazione della chimica occorre infondere maggior passione, dedizione e umanità, come recentemente dimostrato attraverso l’utilizzo di “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust [11]. La comunicazione dovrebbe evitare l’utilizzo di tecnicismi e il messaggio trasmesso dovrebbe essere introdotto mettendolo in relazione alla vita quotidiana. Si incoraggiano spiegazioni insolite o punti di vista non convenzionali. Inoltre, poiché un prerequisito per un dialogo con il pubblico è catturare la sua attenzione, si suggerisce di concentrarsi sul lato umano della chimica, utilizzando il cosiddetto approccio degli “eroi della chimica” come un modo efficace per catturare l’attenzione [12]. Questa strategia serve a due scopi: da un lato, essendo una comunicazione basata sullo storytelling, dovrebbe catturare l’immaginazione del pubblico; dall’altro lato, potrebbe contrastare la proposta “crisi dell’identità del chimico”. Nella presentazione delle storie sui chimici ritratti come eroi della scienza dovrebbe essere utilizzato un linguaggio immaginifico e suggestivo.

Questo approccio mira a promuovere una visione positiva della professione del chimico nonché ad offrire un esempio positivo per l’auto-identificazione, rafforzando così l’identità del chimico. I chimici possono attingere da un insieme di fatti concisi e chiari per cambiare la narrazione sulla chimica e incentivare l’interesse verso la stessa, mettendo in evidenza i meriti unici nel controllo delle infezioni e nella cura delle malattie.

5. La scuola come possibile soluzione

L’istruzione può e deve essere una soluzione alla chemofobia. Gli insegnanti di Chimica hanno a disposizione una varietà di metodi per coinvolgere gli studenti e facilitare l’apprendimento: lezioni frontali, discussioni di gruppo, esperimenti di laboratorio, dimostrazioni, attività pratiche e l’uso di tecnologie digitali. È stato proposto di implementare programmi educativi strutturati in modo strategico, incentrati sui fondamenti della chimica e con un’enfasi sui benefici apportati dai prodotti chimici, al fine di promuovere la cultura chimica e contrastare la chemofobia [13]. In questo senso, il ruolo degli insegnanti è fondamentale nella lotta contro la chemofobia [14]: a loro l’arduo compito di smentire alcuni degli stereotipi più comuni sulla chimica, spiegare la differenza tra composti naturali e sintetici e sottolineare il contributo della chimica alla società moderna [9].

Per quanto riguarda i contenuti di apprendimento, si è suggerito di includere, insieme alle conoscenze di base, l’aspetto umano della chimica (spesso trascurato) e la dimensione della sostenibilità ambientale [13, 15]. Questo approccio dovrebbe concentrarsi su concetti semplici e fornire agli studenti la comprensione di base della chimica necessaria per partecipare costruttivamente ai dibattiti attuali su questioni scientifiche e nuove scoperte. Poiché, come abbiamo visto, spesso la chimica appresa a scuola tende a non essere percepita come rilevante nella vita quotidiana, potrebbe essere utile insegnare una chimica più essenziale e pratica, partendo dall’esperienza di tutti i giorni e da tematiche di attualità [16].

Tra le metodologie didattiche, le attività pratiche, cosiddette hands-on, si sono dimostrate efficaci nel comunicare la scienza ai bambini piccoli. Queste attività consentono, infatti, ai bambini di ottenere una reazione diretta e visibile alle loro azioni e, quando combinate con la narrazione e il disegno, si sono dimostrate utili strumenti di apprendimento informale per le scuole elementari [17, 18]. Le scuole possono anche essere un mezzo per coinvolgere gli adulti: gli studenti possono essere invitati a partecipare a conferenze o dimostrazioni serali, il che potrebbe incoraggiare i genitori ad accompagnarli [19]. Esempi di successo di laboratori pratici proposti durante festival scientifici e attività didattiche alternative basate sui nuovi media e sulla gamification della Chimica possono rappresentare una soluzione alla chemofobia [18].

Sempre nell’ambito dell’apprendimento non formale, la realizzazione di video su YouTube si è dimostrata un potente strumento educativo: gli studenti hanno riferito di avere memorizzato più facilmente i concetti e di essersi divertiti di più rispetto ai colleghi che hanno scritto un articolo [20]. L’utilizzo consapevole dei social media si è dimostrato efficace, nell’ambito della didattica e della ricerca, nel coinvolgere gli studenti e migliorare l’apprendimento della chimica [21]. Questo approccio è vantaggioso sia per l’educazione che per la divulgazione scientifica e dovrebbe essere preso in considerazione nella discussione sulla didattica della chimica. Nell’attuale era digitale, l’Open Science e, più specificamente, l’Open Learning offrono nuovi paradigmi e strumenti per stabilire un’interazione sinergica tra chimica, tecnologia digitale e società a livello globale: occorre prenderli in considerazione per combattere la diffusione della chemofobia tra i giovani.

6. Conclusioni e nuovi inizi

Le soluzioni per affrontare la chemofobia passano attraverso l’istruzione e la comunicazione. Da un lato, i chimici devono impegnarsi attivamente a comunicare le proprie ricerche in modo accessibile anche ai non specialisti, cercando di superare la separazione tra produzione di conoscenza e comunicazione della stessa. Una metafora adatta per affrontare la comunicazione chimica potrebbe essere quella di una “retrosintesi”, partendo dal pubblico di riferimento, ciascuno con i suoi valori, conoscenze, convinzioni e procedendo a ritroso per individuare la strategia comunicativa più appropriata.

Quando si comunica la chimica, è essenziale impegnarsi in un processo bidirezionale con il pubblico per costruire insieme un significato comune. Il pubblico dovrebbe quindi diventare parte integrante del processo di comunicazione. Il chimico dovrebbe parlare in modo semplice di concetti tangibili, magari discutendo del proprio lavoro o di sé stessi come individui e non solo come scienziati, cercando di trovare punti in comune e valori condivisi con chi ascolta.

Dovremmo affrontare la chemofobia considerando che molte persone affermano di sentirsi escluse dalla chimica durante il percorso scolastico. È essenziale che l’insegnamento della chimica si basi su concetti semplici e venga supportato da esempi pratici concreti, rilevanti per la vita quotidiana degli studenti. Un’idea efficace potrebbe consistere nell’introdurre nei programmi didattici nozioni di base di tossicologia, sostenibilità e impatti umani della chimica. In questo contesto, dovremmo anche considerare l’altro aspetto della chemofobia, ovvero l’ansia generata dai corsi di chimica stessi. Quando i chimici cercano di affrontare la chemofobia, è importante ricordare che possono trovare spunti preziosi dalla vasta letteratura esistente sulla comunicazione scientifica e sull’educazione scientifica.

Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che la nostra comprensione della chemofobia, sebbene in crescita, è ancora incompleta. Sono necessarie ulteriori ricerche per approfondire meglio l’entità del fenomeno, il suo impatto sulla società, le sue origini e le possibili soluzioni. Questo contributo rappresenta un primo passo in tale direzione e speriamo che possa contribuire a una migliore comprensione del fenomeno.

Riferimenti

[1] RSC, 2015. Public attitudes to chemistry - research report.

[2] M. Guerris, J. Cuadros, L. González-Sabaté, V. Serrano, Describing the public perception of chemistry on twitter, Chem. Educ. Res. Pract., 2020, 21, 989-999 (https://doi.org/10.1039/C9RP00282K).

[3] A. Bearth, R. Saleh, M. Siegrist, Lay-people’s knowledge about toxicology and its principles in eight European countries, Food and Chemical Toxicology, 2019, 131, 110560 (https://doi.org/10.1016/j.fct.2019.06.007).

[4] M. Siegrist, A. Bearth, Chemophobia in Europe and reasons for biased risk perceptions, Nature Chemistry, 2019, 11, 1071-1072 (https://doi.org/10.1038/s41557-019-0377-8).

[5] R. Saleh, A. Bearth, M. Siegrist, “Chemophobia” Today: Consumers’ Knowledge and Perceptions of Chemicals, Risk Analysis, 2019, 39, 2668-2682 (https://doi.org/10.1111/risa.13375).

[6] P. Laszlo, On the self-image of Chemists, 1950-2000, in The Public Image of Chemistry, World Scientific, 2007, pp. 329-367 (https://doi.org/10.1142/9789812775856_0013).

[7] G. W. Gribble, Food chemistry and chemophobia, Food Sec., 2013, 5, 177-187 (https://doi.org/10.1007/s12571-013-0251-2).

[8] E. L. Behrman, Teaching chemophobia, Chemistry & Industry, 2021, 85, 5-13 (https://doi.org/10.1002/cind.851_3.x).

[9] B.-C. Serban, O. Buiu, M. Bumbac, C.-M. Nicolescu, C. Cobianu, Chemistry - The journey from central science to chemofobia; How should we address this?, Journal of Science and Arts, 2018, 18, 1045-1060.

[10] R. Chalupa, K. Nesměrák, Chelation as a metaphor for the effective fight against chemophobia, Monatsh. Chem., 2019, 150, 1585-1592 (https://doi.org/10.1007/s00706-019-02453-z).

[11] R. Chalupa, K. Nesměrák, Chemophobia and passion: why chemists should desire Marcel Proust, Monatsh. Chem., 2022, 153, 697-705 (https://doi.org/10.1007/s00706-022-02945-5).

[12] R. Chalupa, K. Nesměrák, Chemophobia versus the identity of chemists: heroes of chemistry as an effective communication strategy, Monatsh. Chem., 2020, 151, 1193-1201 (https://doi.org/10.1007/s00706-020-02633-2).

[13] J. Hill, D. D. Kumar, Challenges for chemical education: implementing the ‘Chemistry for All’ vision, The Chemist, 2013, 86, 27-32.

[14] A. Rulev, Chemical education contra chemophobia, CHIMIA International Journal for Chemistry, 2021, 75, 98-100 (https://doi.org/10.2533/chimia.2021.98).

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[16] D. S. Lombardi, T. Celestino, S. Merola, Chemistry, urban environments and ecopedagogy: A possible dialog. Soil as a case-study example for an integrated vision. Ricerche di Pedagogia e Didattica. Journal of Theories and Research in Education, 2023, 18, 87-114 (https://doi.org/10.6092/issn.1970-2221/16127).

[17] C. Morais, Storytelling with chemistry and related hands-on activities: Informal learning experiences to prevent “Chemophobia” and promote young children’s scientific literacy, J. Chem. Educ., 2015, 92, 58-65 (https://doi.org/10.1021/ed5002416).

[18] S. Tortorella, A. Zanelli, V. Domenici, Chemistry beyond the book: Open learning and activities in non-formal environments to inspire passion and curiosity, Substantia, 2019, 3(2), Suppl. 6, 39-47 (https://doi.org/10.13128/SUBSTANTIA-587).

[19] R. B. Smith, N. G. Karousos, E. Cowham, J. Davis, S. Billington, Covert approaches to countering adult chemophobia, J. Chem. Educ., 2008, 85, 379 (https://doi.org/10.1021/ed085p379).

[20] D. K. Smith, iTube, YouTube, WeTube: Social media videos in chemistry education and outreach, J. Chem. Educ., 2014, 91, 1594-1599 (https://doi.org/10.1021/ed400715s).

[21] R. Ciriminna, A. Scurria, M. Pagliaro, Social media for chemistry scholars, 2023 (https://doi.org/10.13140/RG.2.2.15507.35361).


  1. 1 I contenuti di questo articolo si basano sulla review di seguito indicata a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti: R. Rollini, L. Falciola, S. Tortorella, Chemophobia: A systematic review, Tetrahedron, 2022, Volume 113, 132758, ISSN 0040-4020 (https://doi.org/10.1016/j.tet.2022.132758).