Verità e diritto; scienza,
pseudoscienza e fake news



Luca Simonetti

avvocato e scrittore

e-mail: info@lucasimonetti.it


Indice

1. Rapporto fra verità e diritto

2. Articolo 33 della Costituzione e la libertà di insegnamento della scienza: i limiti estrinseci

3. I limiti intrinseci: la libertà di espressione

4. Pseudoscienza, verità e diritto



Abstract. In Italy, academic freedom is guaranteed by the Constitution (article 33), but it has its limits, like all other liberties. First, it has to be reconciled with the right of the schools to decide what has to be taught and how, and with the students’ right to receive the best possible instruction as well. Secondly, academic freedom faces the normal limits of all expressions of thought, and it can therefore be limited if it endangers other rights or values also guaranteed by the Constitution (as it happened during the COVID-19 pandemic).

However, the falsehood of a teaching is not per se a reason to forbid it. Consequently, it is difficult to envisage a prohibition of the teaching of pseudoscience or of the diffusion of fake news simply because they are false.

Keywords: Costituzione; articolo 33; diritto e libertà d’insegnamento

1. Rapporto fra verità e diritto

Che il rapporto tra verità e diritto non sia semplice, ce lo fa intuire una famosa frase di Hobbes nel Leviatano: auctoritas, non veritas, facit legem.1

Hobbes, nel suo grandioso tentativo di fondare l’autorità dello Stato su un terreno razionale e non più teologico, polemizzava con quelli per cui era una Verità trascendente a fondare il diritto: non è la Verità che pone le leggi, obietta il filosofo inglese, ma il sovrano. In questa negazione si apre uno spazio inaspettato per la libertà umana: se infatti non esiste una sola Verità, indiscutibile perché trascendente, lassù, allora ognuno di noi è libero di cercarsene una propria, quaggiù. Di qui, secondo molti, nasce la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata e quindi tutta la traiettoria del costituzionalismo moderno.2

Ma se la libertà di pensiero, fondamento di tutte le libertà dell’uomo e del cittadino, nasce con la negazione di una (sola) Verità, non sarà che il diritto moderno finisca col trovarsi in conflitto permanente col concetto stesso di verità, approdando a una qualche forma di relativismo radicale? Non sarà che lo Stato e il diritto moderno, dopo aver cacciato dall’ambito del dicibile la Verità con la maiuscola, hanno qualche difficoltà anche ad affrontare le verità con la minuscola, cioè quelle della scienza? Il sospetto non è peregrino.3

Per fortuna, il nostro tema è molto più ristretto: quel che ci interessa qui è la libertà di insegnamento e i suoi rapporti con la pseudoscienza.

Allora, per cominciare, dobbiamo chiederci: che cos’è la pseudoscienza? Nel Dizionario Treccani leggiamo la seguente definizione:

pseudosciènza s. f. [comp. di pseudo- e scienza] – Teoria, dottrina, corrente di pensiero e sim. che pretende di essere riconosciuta come scienza, pur essendo priva di fondamenti scientifici: scopo dell’indagine epistemologica è stabilire i criteri di demarcazione tra scienza e pseudoscienza.

Come vedete, è una definizione per relationem: ciò che non è scienza, ma vuole passare per tale, è pseudoscienza.

È inevitabile concluderne che la pseudoscienza, essendo un concetto derivativo, non possa comprendersi che in opposizione alla scienza.

Purtroppo, però, anche la scienza è difficile a definirsi: tanto che molti manuali di Filosofia della Scienza si guardano bene dal tentarlo.4 La definizione che ne fornisce ancora il Dizionario Treccani si estende per quasi tre pagine. Un importante commentario alla Costituzione,5 dal suo canto, se la cava così:

Il concetto di scienza include tutte le discipline fondate sul metodo scientifico, quest’ultimo consistente nello studio sistematico, empirico, controllato e critico di ipotesi relative a rapporti di causalità, secondo un approccio fondato sulla popperiana ‘falsificabilità’ (‘nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione, un unico esperimento può dimostrare che ho sbagliato’: A. Einstein). Sono chiaramente incluse anche le cd. scienze morali, in quanto fondate sul metodo speculativo.

Se questa definizione vi pare insoddisfacente, non sbagliate. Alla base dei due concetti che ci interessano infatti c’è un problema difficile, noto come problema della demarcazione: come si fa a distinguere tra ciò che è scienza e ciò che non lo è?

Analogo problema è destinato ad affrontare anche chi voglia definire il concetto di fake news, che il Dizionario Treccani definisce così:

locuzione inglese (lett. notizie false) … per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente … e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti.


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Però, siccome non è questa la sede per esaminare anche solo sommariamente tali questioni, facciamo una mossa analoga alla dimostrazione per assurdo dei matematici: supponiamo cioè di avere già definito in modo adeguato scienza e pseudoscienza, oppure, in alternativa, occupiamoci di qualche teoria, o disciplina, che tutti sono d’accordo a considerare pseudoscientifica (qualunque cosa significhi “pseudoscientifico”). Prendiamo, per esempio, l’astrologia. Giacché esiste un consenso pressoché unanime che l’astrologia sia effettivamente una pseudoscienza,6 chiediamoci: quali limiti potrebbe incontrare uno che volesse insegnare l’astrologia? Per rispondere, dobbiamo necessariamente partire dall’art. 33 della nostra Costituzione.

2. Articolo 33 della Costituzione e la libertà di insegnamento della scienza: i limiti estrinseci

L’articolo 33 della Costituzione7 così recita al primo comma:

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.

Altre norme sovranazionali sono in senso analogo.8

Il resto dell’articolo ha poi come oggetto la libertà di istituire scuole o altri centri di istruzione non statali, nei limiti previsti dalla legge (e rispettando il vincolo dell’assenza di oneri per lo Stato), ma non riguarda direttamente il nostro argomento, che è la libertà dell’insegnante, dovunque si trovi a operare (che sia cioè in una scuola statale o in una privata). Libertà, in primo luogo, da vincoli e condizionamenti ideologici: lo Stato non può pretendere di imporre proprie dottrine, né effettuare “ingerenze di ordine politico o comunque ingerenze estranee alle premesse tecniche e scientifiche dell’insegnamento”.9

Tuttavia, in Italia come in altri paesi, le libertà e i diritti, per quanto costituzionalmente garantiti, devono sempre confrontarsi con altre libertà e altri diritti, con i quali talvolta entrano in conflitto, e solo dal loro bilanciamento in concreto, volta per volta, emergerà quello che deve prevalere. La formula oggi corrente è che non esistono “diritti tiranni”.10 Per dirla nei termini in cui si è espressa la Corte costituzionale in una sentenza famosa (sul caso ILVA):

Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri (…) Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.11

Perciò, anche la libertà di insegnamento incontra inevitabilmente dei limiti, quando di fronte a essa si pongono altri diritti e libertà. Distingueremo questi limiti in due gruppi.

Il primo tipo di limite è, diciamo così, estrinseco: nella misura in cui l’insegnamento, anche privato, è inserito in un contesto come quello scolastico (il che, tra l’altro, comporta anche un vincolo di subordinazione dell’insegnante rispetto all’istituto scolastico), in cui il docente deve impartire conoscenze che dovranno poi essere in qualche modo verificate e certificate da un esame necessario per ottenere un certo tipo di pubblico riconoscimento (tipicamente: un titolo di studio riconosciuto dallo Stato), allora la libertà dell’insegnante deve evidentemente coordinarsi con il tipo di conoscenze che lo Stato ritiene necessarie per concedere quel riconoscimento.12 Se voglio diplomarmi al Liceo scientifico, dovrò svolgere un certo programma di matematica, fisica, italiano, latino, eccetera, previsto dalle norme scolastiche; se voglio laurearmi in Chimica, dovrò superare certi esami e in ciascuno di essi dimostrare di avere acquisito certe conoscenze, che stavolta non saranno dettate tanto dalle norme scolastiche quanto piuttosto dovranno, in linea di massima, corrispondere a un certo standard internazionalmente condiviso dalla comunità scientifica di riferimento.

Tutto ciò vale però solo in quanto alla fine del percorso educativo sia prevista una validazione esterna, pubblica. Se questa non c’è, se cioè l’allievo non deve sostenere alcun esame per conseguire un qualche tipo di pubblico riconoscimento, allora questo limite non opera. In tal caso, almeno in teoria, qualunque tipo di insegnamento potrà essere impartito: un corso di “medicina non tradizionale” in cui si insegni la teoria dei quattro umori, uno di “storia alternativa” nel quale Napoleone vinca a Waterloo, o uno di “fisica pseudo-tolemaica” in cui al centro del sistema solare, o magari dell’universo intero, ci sia la Terra.13 L’unico limite, in questo caso, sembra essere il consenso del discente, che andrà informato del carattere eterodosso dell’insegnamento che va ad essergli impartito. Altrimenti, com’è chiaro, potrebbero darsi conseguenze civili o penali.

Un altro limite estrinseco discende direttamente dal vincolo di subordinazione del docente rispetto all’istituto scolastico, che è un problema che si pone soprattutto per quelle istituzioni scolastiche private che possiedono un proprio netto orientamento ideologico-valoriale, le cosiddette organizzazioni di tendenza (chiese, partiti, sindacati, ecc.). In questi casi non bisogna dimenticare che l’articolo 33 non garantisce solo la libertà di insegnamento nella scuola, cioè la libertà del docente di stabilire, entro i limiti già visti, contenuto e modalità del suo insegnamento, ma afferma anche la libertà della scuola, vale a dire (come recita il terzo comma dell’articolo) che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.14 Ora, visto che le organizzazioni di tendenza hanno il diritto di fondare scuole e università, avranno anche il diritto – in linea di massima, e sempre nei limiti fissati dalle leggi (articolo 33, II comma) nonché col vincolo che agli alunni delle scuole private venga comunque garantito “un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali” (articolo 33, IV comma) – di pretendere che i propri docenti si astengano da insegnare cose in contrasto con il proprio orientamento? Un’università cattolica, ad esempio, può lecitamente licenziare un proprio insegnante perché sostiene teorie contrarie alla dottrina della Chiesa? In un famoso caso del 1972, la Corte costituzionale ha risposto di sì, perché in caso contrario si negherebbe di fatto la libertà della scuola.15

Il punto veramente cruciale è che la libertà di insegnamento è una libertà individuale, del docente, che però viene garantita dalla Costituzione soprattutto a tutela di un interesse collettivo: la cultura, l’educazione, il progresso della conoscenza (è stato infatti detto che libertà di scienza e arti e libertà di insegnamento sono due facce di una stessa medaglia).16 Ecco perché la libertà in questione si atteggia in modo così peculiare: infatti, il docente è sì libero nell’insegnamento, ma non è libero di decidere se insegnare o no (mentre, per es., chi ha il diritto di esprimere la sua opinione può decidere di non esprimerla, chi ha il diritto di associarsi può decidere di non associarsi, e così via);17 inoltre, la libertà di insegnamento non significa che chiunque lo voglia abbia il diritto di insegnare, bensì solo che colui che possiede i necessari requisiti può farlo liberamente, ma con ciò, allo stesso tempo, adempiendo anche al dovere del proprio ufficio.18 In altri termini, siccome le scuole e università devono esistere (proprio perché l’insegnamento è un preciso obbligo dello Stato: articolo 34 della Costituzione), il docente che risulti qualificato, una volta inserito in una struttura scolastica, deve insegnare, e potrà farlo senza intromissioni altrui (coi limiti già indicati e gli altri che indicheremo) e senza timore di subire conseguenze nel suo rapporto di lavoro.19 Al tempo stesso, la sua libertà d’insegnamento, per tutti i motivi già esposti, deve “coordinarsi con lo specifico progetto formativo elaborato collegialmente da ciascuna scuola”.20

3. I limiti intrinseci: la libertà di espressione

Ma oltre a quelli che abbiamo appena visto esiste un altro genere di limiti, che chiameremo invece intrinseci, e che coincidono, grosso modo, con i limiti che incontra l’espressione del pensiero in generale. Non è, infatti, possibile attribuire alla libertà di esprimersi dell’insegnante una latitudine diversa da quella che spetta a chi scrive sui giornali o parla alla radio (o scrive sui social network).21 Sono i normali limiti indicati in varie norme italiane, dall’articolo 21 della Costituzione ad alcune norme penali, tra cui particolarmente importante è l’articolo 595 del Codice penale sul reato di diffamazione.22

A livello europeo, i testi più importanti sono la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che risale al 1950, e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza o CDFUE) del 2000.

Da noi, l’articolo 21 della Costituzione recita:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Come vedete, nell’articolo 21 i limiti previsti sono quelli della commissione di delitti e del buon costume, ma ne esistono altri. Per es., il già citato articolo 595 del Codice penale prevede che l’espressione del pensiero, in presenza di una pluralità di persone, costituisce reato (diffamazione) se offende la reputazione altrui. Insomma, come tutte le libertà e i diritti costituzionalmente garantiti, anche quella di espressione è tutelata non in modo assoluto, ma a condizione che non confligga con altri diritti o libertà di rango costituzionale,23 come l’onore, la reputazione, la riservatezza, l’ordine pubblico, la sicurezza dello Stato,24 la salute pubblica, il regolare svolgimento della giustizia e dell’attività economica, eccetera.25

È stato osservato che, a differenza del costituzionalismo degli Stati Uniti, dove il Primo Emendamento esclude formalmente ogni limitazione legislativa al free speech,26 il costituzionalismo europeo inserisce i limiti alla libertà di espressione all’interno della stessa enunciazione di quella libertà;27 è un po’ come se i testi costituzionali europei volessero dirci che non esiste libertà di espressione senza limiti – il che del resto corrisponde a quel che abbiamo visto sopra, in merito all’inesistenza di “diritti tiranni”. L’esame della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – ma un’analisi della giurisprudenza UE sulla Carta di Nizza o della Corte costituzionale italiana non condurrebbe a risultati diversi – indica come da sempre la libertà di espressione incontri alcuni limiti, la cui validità giuridica si fonda su queste condizioni: (1) che la limitazione sia disposta per legge (riserva di legge), (2) che venga rispettato un criterio di proporzionalità tra il limite imposto e la lesione di diritti che intende impedire e (3) che la limitazione sia necessaria per proteggere interessi o diritti costituzionalmente tutelati.28 Da questo punto di vista, utilizzando anche l’articolo 17 CEDU che sanziona l’abuso del diritto, la Corte di Strasburgo ha più volte deciso per la liceità di limiti posti dalla legge all’hate speech (nelle forme dell’odio religioso e razziale) e al negazionismo.29 Anche in Italia queste forme di manifestazione del pensiero incontrano limiti certamente legittimi: pensiamo alle norme che vietano, per tutelare diritti e interessi ritenuti prevalenti, le espressioni di odio razziale e religioso (come la Legge Mancino) e in taluni casi anche l’odio politico (come è il caso delle norme sulle manifestazioni fasciste e sulla ricostituzione del partito fascista).

Torniamo adesso alla libertà di insegnamento. Non è possibile insegnare a qualcuno cose che comportino, o per il loro oggetto o per le modalità dell’insegnamento stesso, offesa ad altri valori costituzionalmente tutelati. Questi limiti si applicano anche all’insegnamento “libero” e totalmente privato che abbiamo visto sopra, che cioè non cerca un pubblico riconoscimento. Ma perciò, a contrario, ne deriva anche che, nella misura in cui chi insegna una pseudoscienza come l’astrologia si presenti onestamente come tale, senza cioè millantare degli effetti mirabolanti, e senza che alla fine del corso si pretenda una pubblica certificazione della conoscenza astrologica acquisita, l’insegnamento dell’astrologia è lecito. Anche perché è lecito praticare l’astrologia:30 in particolare, le norme penali che vietano il ciarlatanismo come pratica si applicano solo a coloro che in qualunque modo si approfittino della credulità popolare31 (l’articolo 121 TULPS vieta “il mestiere del ciarlatano” e l’articolo 231 del Regolamento precisa che “sotto la denominazione di ‘mestiere di ciarlatano’ si comprende ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità, o a sfruttare o alimentare l’altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose”). Il discorso potrebbe cambiare se l’insegnante di astrologia pretendesse di fornire all’allievo una conoscenza oggettiva, verificabile e significativa: una scienza, cioè, anziché una pseudoscienza.32 Ma è da notare che, comunque, non mancano pronunce che da una parte ritengono addirittura l’astrologia “disciplina allineata all’evoluzione delle scienze”33 e dall’altra parte la considerano, benché infondata, innocua, incapace cioè di turlupinare nessuno, data la crescita culturale nel frattempo sperimentata in Italia.34

4. Pseudoscienza, verità e diritto

Ma le pseudoscienze sollecitano un’ultima riflessione: è cioè possibile individuare una base costituzionale per un divieto generalizzato della diffusione, a scuola o anche fuori, di notizie, informazioni o cognizioni false? Indipendentemente, cioè, dall’eventuale lesione che da questa diffusione derivi a danno di altri diritti costituzionalmente tutelati? Può, insomma, il falso essere vietato in sé e per sé, solo in quanto falso?

Così si ritorna alla questione cui si accennava all’inizio, quella della verità. Cominciamo col ricordare che alcune teorie, direttamente derivate dal costituzionalismo statunitense, vogliono che la migliore difesa contro le opinioni errate e pericolose non stia nel vietarle, bensì nel garantire la massima libertà a tutte le opinioni, in modo che l’opinione “buona” vinca e scacci quella “cattiva” nel “libero mercato delle idee”,35 così come la teoria economica ritiene che sul mercato il prodotto migliore scacci quello peggiore. Si tratta però di una posizione che – per quanto intellettualmente nobile e alle origini anche del concetto europeo di libertà di pensiero (basti pensare a Milton e a J. S. Mill) – oggi appare pericolosamente astratta e ottimistica. Anche in campo economico, intanto, quanto auspicato accade solo se il mercato in questione è davvero concorrenziale, ma non avviene più se esistono barriere all’ingresso, asimmetrie informative o esternalità (nel qual caso occorre un intervento pubblico). Inoltre, è frequente e sempre meglio conosciuto il fenomeno per cui, almeno in certi casi, la semplice esposizione all’opinione “buona” non riesce affatto a far cambiare idea a chi sia convinto dell’opinione “cattiva”, ma anzi finisce col rafforzare ulteriormente tale convincimento (sono le cosiddette “bolle” o “echo chamber”). Basti pensare al famoso caso dell’associazione (fasulla) trovata da Wakefield tra vaccino trivalente e autismo: nonostante si tratti di un falso sbugiardato ormai da decenni, è una teoria che continua a trovare credito e non c’è dubbio che moltissimi che la condividono siano in perfetta buona fede.

Sta comunque di fatto che, per la Corte Suprema USA, la falsità di un’opinione non sia sufficiente a bandirla. È così anche per il diritto europeo? In breve: sì.

In UE c’è stato un certo attivismo, ma finora con pochi risultati. Se Francia e Germania hanno promulgato due leggi contro le fake news e l’hate speech,36 l’Italia ha prodotto solo due disegni di legge (il D.L. Gambaro e il D.L. Zanda), rapidamente naufragati in aula, nonché un’iniziativa della Polizia postale (il cosiddetto “bottone rosso” per le fake news via web) nel 2018, presto abbandonata dopo le critiche ricevute dall’ONU. Poi ci sono stati i cosiddetti “codici di autoregolamentazione” proposti dalla Commissione UE, che però, per quanto evitino un intervento censorio delle autorità statali o unionali, comportano un rischio ancora peggiore, cioè quello di attribuire il ruolo di censore a entità private come i motori di ricerca e i gestori di social network, le cui motivazioni e i cui standard sono ancor meno trasparenti e controllabili delle autorità pubbliche.

Alla luce della normativa ad oggi vigente, non pare proprio che in UE o in Italia sia possibile raggiungere una conclusione diversa. Nonostante alcune suggestioni dottrinali, rimaste senza seguito pratico, la mera falsità di una teoria non giustifica interventi censori. Da noi, insomma, non esistono i cosiddetti diritti aletici, di recente proposti da alcuni filosofi.37 Nemmeno utilizzare il concetto di libertà di informazione pare promettente, proprio perché non esiste un generale “dovere di verità” a carico di chiunque metta in circolazione notizie, dovere che, peraltro, finirebbe per generare più problemi di quanti non possa risolvere – anche se va ricordato che talune categorie di soggetti, come ad es. i giornalisti, sono certamente soggetti a un dovere di verità, sia pure da intendere restrittivamente come dovere di ricerca della verità, al meglio delle possibilità soggettive.38 Molti anni fa Paolo Barile giustamente obiettava: “come se la verità fosse sempre e soltanto una, e bastasse sollevare il moggio per scoprirla, e non farlo significasse malafede e dolo”.39

Il consenso generale sul punto si trova espresso da ultimo nella Joint Declaration sulla libertà di espressione e sulle ‘fake news’, la disinformazione e la propaganda di ONU, OCSE, OAS e ACHPR del 3 marzo 2017. Ivi si legge che gli Stati “possono imporre restrizioni al diritto di libertà di espressione solo in conformità col test per tali restrizioni in base al diritto internazionale, vale a dire che esse siano disposte per legge, servano a uno degli interessi legittimi riconosciuti dal diritto internazionale e siano necessarie e proporzionate alla protezione di quell’interesse” (come vedete, sono gli stessi parametri già visti nella giurisprudenza italiana e UE), oppure (sempre a condizione del rispetto di quanto sopra), “per proibire la propaganda di odio che costituisca incitamento alla violenza, alla discriminazione o all’ostilità” (articolo 1, lett. a e b), e infine che le “proibizioni generali alla diffusione di informazioni basate su idee vaghe e ambigue, come ‘notizie false’ o ‘informazione non obiettiva’ sono incompatibili con gli standard internazionali per le restrizioni alla libertà di espressione, come esposte all’articolo 1 (a), e devono essere abolite”.

Non rimane quindi che ricorrere, ancora una volta, al criterio del bilanciamento: quando dire il falso comporta una lesione ingiustificata ad altri diritti e interessi costituzionalmente tutelati, ecco che esso potrà, in base a un giudizio comparativo fondato su criteri di ragionevolezza e proporzionalità, essere limitato.

Il problema va, quindi, posto non in astratto (perché la possibilità di imporre limitazioni alla libertà di espressione e di insegnamento è pacifica, e anzi connaturata alla libertà stessa), ma in concreto. E allora: quali diritti o interessi costituzionalmente tutelati viola la pseudoscienza? Alcuni sostengono che nel caso delle fake news “soltanto in ipotesi determinate si assiste al contrasto con altri diritti tutelati dall’ordinamento giuridico”,40 ma di fatto non c’è dubbio che la diffusione di notizie false possa benissimo, almeno in certi casi, mettere a repentaglio altri diritti e interessi di rango costituzionale: ce lo ha dimostrato, con la massima evidenza, la pandemia da COVID-19.

Ma siamo ormai giunti alla fine, e bisogna tirare le fila di quanto detto finora.

L’insegnamento delle pseudoscienze in Italia incontra entrambi i tipi di limite che abbiamo descritto.

Quanto ai limiti intrinseci, non essendo previsto nel nostro ordinamento un generico dovere di veridicità, la falsità di una notizia non è di per sé ragione sufficiente per vietarne la diffusione, a meno che essa non confligga con un altro diritto o interesse costituzionalmente garantito.

Quanto invece ai limiti estrinseci, il discorso è ovviamente diverso. Nella misura in cui lo Stato e le istituzioni scolastiche sono impegnati a fornire agli studenti non già un insegnamento qualsiasi, ma l’insegnamento migliore possibile, perché solo a questa stregua la scuola adempie ai suoi obblighi costituzionali, è chiaro che le pseudoscienze a scuola non possono venire insegnate. La strada maestra per evitarlo non sta tuttavia in interventi censori, del resto di dubbia praticabilità giuridica, ma nella necessità per scuole e università di fornire un’offerta didattica all’altezza dell’importanza che educazione, istruzione e progresso della ricerca hanno per una società moderna, e che è iscritta nella stessa Costituzione. Una scuola e università che insegnassero teorie pseudoscientifiche anziché fornire nozioni scientificamente solide abdicherebbero perciò al loro ruolo. La migliore (e in gran parte dei casi, anche l’unica) difesa contro le pseudoscienze consiste, quindi, nella presa di coscienza dell’importanza di questo ruolo da parte dei docenti, delle istituzioni scolastiche, della comunità educativa e, in ultima analisi, dell’opinione pubblica.




  1. 1 Cioè “è l’autorità, non la verità, a fare la legge”; T. Hobbes, Leviatano (versione latina), II, 26.

  2. 2 C. Magnani, Libertà di espressione e fake news, il difficile rapporto tra verità e diritto. Una prospettiva teorica, in Costituzionalismo.it, 3/2018, p. 23.

  3. 3 È un argomento di cui mi sono occupato in due libri, che mi permetto citare: La scienza in tribunale, Roma, Fandango, 2018 e La scienza in tribunale 2. La vendetta, Roma, Fandango, 2020.

  4. 4 Vedere, ad es., G. Giorello (a cura di), Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, Bompiani, 1999, o prima ancora L. Geymonat, Lineamenti di filosofia della scienza, Milano, Mondadori, 1985.

  5. 5 AA.VV., Commentario breve alla Costituzione, a cura di Crisafulli-Paladin-Bartole-Bin, Padova, CEDAM, 2008, p. 333.

  6. 6 Vedere, ad es., P. R. Thagard, Why Astrology is a Pseudoscience, in PSA (Proceedings of the Philosophy of Science Ass.n) 1978, pp. 223-234.

  7. 7 Sulla cui storia vedere U. Pototschnig, Insegnamento (libertà di), in Enc. dir., vol. XXI, Giuffrè, 1971, p. 725 ss.

  8. 8 Per es., la Carta di Nizza (vedere appresso nel testo) all’art. 13 (Libertà delle arti e delle scienze): Le arti e la ricerca scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata.

  9. 9 Corte costituzionale n. 143/1972.

  10. 10 Vedere al riguardo, da ultimo, l’ottima ricostruzione di L. Butti, Non esistono diritti tiranni, Milano, Mimesis, 2023.

  11. 11 Corte costituzionale, n. 85/2013; da citare anche Consiglio di Stato n. 8167 del 22 settembre 2022.

  12. 12 Anche questo discende chiaramente dall’articolo 33, che al V comma prevede appunto un esame di Stato “per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”.

  13. 13 Non stiamo parlando, ovviamente, dell’insegnamento di teorie pseudoscientifiche dal punto di vista della storia della filosofia, della scienza o della cultura, che è perfettamente lecito e assai diffuso e utile.

  14. 14 In questo senso andrebbe letto anche l’articolo 12 della Carta di Nizza sulle libertà di riunione e di associazione.

  15. 15 Corte costituzionale n. 195/1972 (è il cosiddetto caso Cordero).

  16. 16 Corte costituzionale n. 240/1974. Cf. anche G. Fontana, in AA.VV., Commentario alla Costituzione, a cura di Bifulco-Celotto-Olivetti, Torino, UTET, 2006, vol. I, p. 681.

  17. 17 Così Pototschnig, op. cit., p. 725, p. 737 e passim; Fontana, op. cit., p. 683.

  18. 18 Pototschnig, op. cit., p. 740.

  19. 19 Pototschnig, op. cit., p. 741.

  20. 20 Fontana, op. cit., p. 687.

  21. 21 Fontana, op. cit., p. 684.

  22. 22 A differenza di altri testi costituzionali, la libertà di espressione nella Costituzione italiana non è regolata organicamente in un solo articolo, ma viene trattata, sotto profili diversi, in più luoghi; per es., l’articolo 15 sulla libertà della corrispondenza, l’articolo 19 sulla libertà religiosa, e lo stesso articolo 21.

  23. 23 In questo senso era già il fondamentale P. Barile, Libertà di manifestazione del pensiero, Enc. dir., XXIV (1974), p. 459.

  24. 24 Si è detto, per es., che la libertà di insegnamento non può coincidere con la libertà di propaganda e proselitismo, che, se è lecita in generale, “deve ritenersi esclusa per i docenti esercenti una pubblica funzione in ambito scolastico”: Fontana, op. cit., p. 684.

  25. 25 Cf., ad es., l’articolo 656 Codice penale (Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito...) Altri casi di divieto sono il reato di disfattismo politico (articolo 265 Codice penale), l’aggiotaggio (articolo 501 Codice penale) e il procurato allarme (articolo 658 Codice penale).

  26. 26 “Congress shall make no law respecting an establishment of religion or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press”. Il che, notate bene, implica solo che il Congresso non può limitare la libertà d’espressione, non che limiti non possano essere imposti dalla magistratura e, infatti, la Corte Suprema da sempre ammette alcune limitazioni al free speech.

  27. 27 Cf. O. Pollicino, La prospettiva costituzionale sulla libertà di espressione nell’era di Internet, in Riv. dir. dei media, 1/2018, passim.

  28. 28 Cf, Pollicino, op. cit., p. 3.

  29. 29 Pollicino, op. cit., p. 5, menziona i casi Garaudy v. France (sul negazionismo), Ivanov v. Russia (odio razziale) e Norwwod v. UK (odio religioso).

  30. 30 Su questo punto esistono diverse pronunce in materia di cartomanzia, pratica che è certamente meno “rispettabile” dell’astrologia: vedere Consiglio di Stato, sez. 3, n. 4189/2020; Corte d’Appello di Milano n. 1753 del 26 aprile 2017, nonché in materia di “consulenza parapsicologica (es. astrologia, grafologia)”: vedere Cassazione n. 3939/1989.

  31. 31 Vedere Corte d’Appello di Milano n. 1753 del 26 aprile 2017.

  32. 32 Vedere in questo senso TAR Lazio, n. 1322372005: “tutte le attività in esame… concernono non una consapevole pattuizione riguardante una vicenda … dichiaratamente aleatoria, bensì l’offerta di tecniche e metodologie dichiaratamente volte a conoscere e guidare il futuro in favore del cliente, che potrebbe in tal modo comprare la propria fortuna futura, eliminando o quanto meno riducendo, senza alcuna evidenza di fondamento scientifico, l’incertezza, e quindi l’angoscia.”

  33. 33 Cassazione n. 179/1986.

  34. 34 Consiglio di Stato, sez. 3, n. 4189/2020.

  35. 35 Così O. W. Holmes jr in Abrams v. U.S. (1919): “the ultimate good desired is better reached by the free trade in ideas – (..) the best test of truth is the power of the thought to get itself accepted in the competition of the market, and that truth is the only ground upon which their wishes safely can be carried out”. Similmente Brandeis in Whitney v. California (1927) e Kennedy in U.S. v Alvarez (2012). Cf. anche R. Perrone, Fake news e libertà di manifestazione del pensiero: brevi coordinate in tema di tutela costituzionale del falso, Nomos 2/2018, passim.

  36. 36 In Germania la NetzDG, Netzwerkdurchsetzungsgesetz, del 30 giugno 2017 sull’odio in rete, in Francia la legge n. 1202 del 22 dicembre 2018 per la lotta contro la manipolazione dell’informazione. Su entrambe cf. Magnani, op. cit., p. 26.

  37. 37 F. D’Agostini, M. Ferrera, La verità al potere, Torino, Einaudi, 2019; cf. anche Magnani, op. cit., p. 43 ss.

  38. 38 Vedere, oltre al Codice deontologico dei giornalisti (articolo 2 lett. a) (“il giornalista…ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti”), Cassazione n. 5259/1984 e SS.UU. penali del 30 giugno 1984. Per ultimi riferimenti vedere R. Perrone, op. cit., p. 17.

  39. 39 Barile, op. cit., p. 432.

  40. 40 Pollicino, op. cit., p. 14.