Hermann Kolbe
L’ultimo resistente
Renato Noto
Professore emerito di Chimica Organica dell’Università di Palermo
e-mail: renato.noto@unipa.it
Indice
Abstract. With the advent of the structural theory, modern organic chemistry began to develop. Some of the most famous chemists of the time took a cold attitude towards the new theory, others were decidedly against it. Prominent among them was Kolbe, who was decidedly hostile not only towards the structural theory but also towards those who were its greatest supporters.
Keywords: teoria strutturistica; teoria dei radicali, stereochimica
Davanti a ogni innovazione epocale o anche soltanto a cambiamenti significativi nel modo di vedere le cose, ci si divide molto spesso in due categorie. A una categoria appartengono gli entusiasti, spesso acritici, sostenitori del nuovo; all’altra afferiscono coloro che pregiudizievolmente si oppongono a ogni cambiamento. In molti casi le due categorie sono caratterizzate da età e caratteri differenti; i giovani e gli ottimisti sono largamente presenti nella prima categoria mentre i meno giovani, gli anziani e i pessimisti affollano la seconda categoria. La composizione degli schieramenti si determina, inizialmente, su basi essenzialmente emotive e successivamente ciascun schieramento cerca un supporto razionale.
Anche nel mondo scientifico si assiste alla stessa divisione davanti a ogni significativo cambiamento. Le resistenze degli anziani sono tali che un grande scienziato come il fisico Max Plank (1858-1947) affermava “Una nuova verità scientifica non si afferma convincendo i suoi avversari e illuminandoli, ma piuttosto perché dopo molti anni i suoi avversari muoiono e le nuove generazioni crescono abituate ad essa” [1].
In chimica, nel secolo XIX, cambiamenti ce ne furono parecchi, quello su cui porrò la mia attenzione è legato alla nascita e all’affermazione della teoria strutturistica che possiamo collocare nel ventennio che va dal 1855 al 1875. Il russo Alexander Butlerov (1828-1886), nel 1861, esprimeva i principi fondamentali della teoria della struttura affermando che la natura chimica delle molecole era determinata, non solo, da quella degli atomi componenti e dal loro numero, ma dipendeva anche dalla struttura chimica [2]. Insieme a Butlerov un ruolo di primo piano spetta a Friederich August Kekulé (1829-1896) per avere proposto la tetravalenza dell’atomo di carbonio, nonché la possibile formazione di strutture cicliche. In realtà, successivamente si è riconosciuto il ruolo fondamentale che ebbe il chimico scozzese Archibald Scott Couper (1831-1892) nella descrizione della struttura del benzene e in generale delle molecole organiche, ma negli anni in cui si sviluppò la polemica oggetto di questo scritto il nome del chimico scozzese fu del tutto ignorato.
Quando la chimica strutturistica venne proposta, la maggior parte dei chimici aderiva alla teoria dei radicali organici, secondo la quale si riteneva che le molecole organiche fossero costituite da – e quindi risolvibili in – sottocomponenti (“radicali”) che potevano esistere anche indipendentemente. Questi radicali venivano assimilati agli atomi e come gli atomi indistruttibili. Quando la teoria strutturistica incominciò a prendere corpo, e a essere accettata dalla maggioranza dei chimici, contro di essa si schierò con vigore e arroganza il chimico tedesco Kolbe.
I grandi scienziati sono utili nella prima metà della loro vita e dannosi nell’altra. Gaston Bachelard [3]
Adolph Wilhelm Hermann Kolbe (1818-1884) era il figlio maggiore del reverendo Carl Kolbe di Elliehausen, paese vicino a Göttingen (Hannover) nella bassa Sassonia. Fu educato a casa dal padre fino al quattordicesimo anno, quando entrò nel Ginnasio di Göttingen. Nell’aprile del 1838 iniziò lo studio della chimica, sotto la guida di Friederich Wöhler (1800-1882), all’Università di Göttingen, dove acquisì anche una profonda conoscenza teorica e pratica della fisica e della mineralogia. Conseguì il dottorato nel 1843 con Robert Bunsen (1811-1899) all’Università di Marburgo (Assia) con una tesi dal titolo “Sui prodotti dell’azione del cloro sul bisolfuro di carbonio”. Successivamente, trascorse a Londra un periodo di due anni (1845-1847) come post-doctor presso Lyon Payfair (1819-1898). In questo periodo fece amicizia e iniziò a collaborare con Edward Frankland (1825-1899). Tornato a Marburgo, successe a Bunsen, in tale Università, nel 1851. Nel 1865 fu chiamato all’Università di Lipsia (Sassonia). Dal 1857 ebbe una serie di gravi malattie e una seria di rancorose dispute con colleghi che sicuramente influirono negativamente sulla sua psiche. Kolbe fu un leader nel campo della chimica organica, proprio quando questo campo stava entrando in un periodo di crescita esplosiva. Già nel 1844/45 pubblicò un metodo per la sintesi dell’acido acetico a partire da materiali inorganici, realizzando la prima sintesi generalmente accettata di un composto organico da composti inorganici (cloro e solfuro di carbonio).1 Come la maggior parte dei chimici degli anni Quaranta del XIX secolo aderì alla teoria dei radicali organici. Le indagini di Kolbe su questi radicali fornirono gradualmente i mezzi per discernere la costituzione dettagliata delle sostanze organiche. Il nome di Kolbe, oltre alla sintesi dell’acido acetico, è legato a quella dell’acido salicilico, nonché all’elettrolisi degli acidi carbossilici.
Morì improvvisamente, per una malattia cardiaca, la sera del 25 novembre 1884 [4, 5].
Come detto, quando la teoria strutturistica incominciò a prendere corpo e a essere accettata dalla maggioranza dei chimici, Kolbe assunse una posizione di netto rifiuto, ritenendo che i diagrammi strutturali molecolari non fossero corrispondenti alla realtà, ma addirittura dannosi allo sviluppo della chimica. Kolbe accettava la teoria classica dei radicali, che concepiva gruppi di atomi tenuti insieme da presunte forze elettrostatiche, perfettamente sufficiente per rappresentare anche le molecole organiche più complesse, e riteneva che le nuove formule strutturali fossero eccessivamente speculative. La posizione di Kolbe era preconcetta; infatti, ammise che fino al 1881 non aveva mai letto il classico trattato di Kekulé [6], dove la teoria della struttura era trattata in modo sistematico, poiché sapeva di non poterne trarre alcun insegnamento [5].
Altri chimici assunsero un atteggiamento prudente verso la nuova teoria, ma nessuno ebbe un atteggiamento così chiuso e ostile come Kolbe “… l’inconciliabile divergenza tra Kolbe e tutti i chimici dell’epoca nostra …” [7]. La posizione di Kolbe nei confronti della teoria strutturistica è in qualche modo sorprendente, visto che è considerato, insieme a Frankland, uno dei chimici che aveva contribuito a stabilire le basi della teoria [5]. Probabilmente, a questo riguardo, è vera l’ipotesi di Marino che “Alla difesa del vecchio contro il nuovo partecipano, a volte, anche eminenti scienziati, feriti forse nell’orgoglio per non averci pensato loro, difensori delle teorie che avevano concorso a stabilire e che vengono messe in discussione” [8]. L’estrema difesa della teoria dei radicali risultò a tanti anacronistica. Eloquenti sono le parole con cui Stanislao Cannizzaro (1826-1910) presentò, in una storica seduta2 del 27 marzo 1869, le memorie di Emanuele Paternò (1847-1935) e di Johann Wilhelm Körner (1839-1925). “Nel dimetile (etano, ndr) si hanno connessi insieme due atomi di carbonio, ognuno dei quali porta tre atomi di idrogeno. Non credo che siavi chimico (eccetto Kolbe) il quale ponga in dubbio che i due residui CH3 legati insieme siano perfettamente simili” [9]. Secondo Kolbe in una molecola organica vi era un atomo di carbonio gerarchicamente predominante e gli altri subordinati [10]. Così, ad esempio, nell’1-cloropropano,3 l’atomo di carbonio 1 è quello gerarchicamente dominante, mentre, se dall’1-cloropropano si passa all’1,3-dicloropropano, i due atomi di cloro non sono identici perché legati ad atomi di carbonio aventi posizioni gerarchiche differenti. La rappresentazione strutturistica dell’1,3-dicloropropano non dava conto di questa differenza; pertanto, era errata secondo l’opinione di Kolbe. Cannizzaro mostrò, con una serie di esempi, quanto erronea fosse la posizione di Kolbe [11]. La sintesi dell’etano per condensazione di due molecole di ioduro di metile indotta da sodio metallico fa dire a Cannizzaro “Come può dubitarsi che nell’etano i due residui siano eguali?” Allo stesso modo, considerando tutta una serie di reazioni ben note attraverso cui era possibile arrivare dal cianogeno (CN)2 all’acido ossalico (COOH)2 e da questi all’alcol etilico, passando per l’acido idrossiacetico prima e all’acido acetico successivamente, Cannizzaro scrive “Se si ammettesse che in quest’ultimo (alcol etilico, ndr) i due atomi di carbonio non siano di egual grado, cioè l’uno sia predominante e l’altro subordinato, dovrà ammettersi che lo stesso segua nell’acido ossalico e nel cianogeno” [11].
Quando Kolbe nel 1870 assunse la direzione della rivista Journal für Praktische Chemie, sfruttando il ruolo di editore, si fece appassionato e ossessivo oppositore della chimica strutturale, che, sulla base della dottrina della tetravalenza e della capacità di formare catene di atomi di carbonio, portò al chiarimento di molti problemi irrisolti e a una fioritura senza precedenti della chimica organica, nonché costruì le basi della chimica organica moderna. Kolbe non solo si oppose alla nuova teoria, ma si scagliò con forza contro questa “eresia” e contro il suo maggiore artefice.
Per quale ragione Kolbe fu così rigido e, si potrebbe dire, odioso nei confronti di Kekulé, del suo insegnamento e di tutti i suoi seguaci?
Sembra che Kolbe disprezzasse Kekulé e che lo considerasse uno sciocco chiacchierone, uno che ostentatamente promuoveva sé stesso e le proprie idee. Inoltre, riteneva che la reputazione di cui godeva sarebbe venuta meno quanto prima [5].
Sicuramente certi aspetti caratteriali e culturali dividevano i due. Alcuni contemporanei, che ebbero divergenze, con Kolbe lo descrissero come uno incapace di ascoltare le opinioni altrui. Inoltre, bisogna considerare la sua educazione che, immagino, si basasse su verità assolute e non ammettesse di dubitare di queste. L’educazione, come detto, avvenne a opera del padre, pastore protestante, che viene descritto [5] come individuo determinato, eccezionalmente energico, di ferma volontà, parole che possono essere applicate anche al figlio. Kolbe era sciovinista convinto, orgoglioso del costituito impero germanico (1871); il tono dei suoi scritti e l’immagine che si trova su internet danno l’idea di un individuo burbero.
Di contro Kekulé proveniva da una famiglia della medio-alta borghesia, cosmopolita in grado di parlare correttamente le maggiori lingue europee. A leggere ciò che Kekulé raccontò circa l’ispirazione che lo indusse a pensare alla struttura ciclica del benzene, ci si fa l’idea di un buontempone dotato di grande fantasia. Infatti, Kekulé modificò, negli anni, il racconto, passando dal serpente che si mordeva la coda, alle scimmiette che si tenevano fra loro formando un circolo, agli atomi in movimento che si combinavano fra loro e gli ballavano davanti agli occhi. Un altro motivo alla base dell’aspra disputa era legato al fatto che Kolbe riteneva di aver riconosciuto, ancor prima di Kekulé, la tetravalenza dell’atomo di carbonio [12]. Tuttavia, non avendola mai resa pubblica, questa idea era evidente solo per lui, ma non così per gli altri [5].
Bisogna anche considerare che Kekulé corresse i risultati comparsi in una pubblicazione di Kolbe, mostrandosi stupito dell’errore commesso [5]. Un ulteriore motivo di contrasto era probabilmente legato al fatto che quando il giovane Kekulé, insieme a Charles-Adolphe Wurtz (1817-1884) e a Karl Weltzien (1813-1870), organizzò il primo Congresso dei chimici a Karlsruhe (1860), Kolbe non era compreso tra i chimici a cui fu inviata la prima circolare.
Per avere idea dell’asprezza, almeno da parte di Kolbe, della disputa possiamo considerare cosa scriveva in alcuni articoli pubblicati sul Journal für Praktische Chemie. Nell’articolo dal titolo emblematico “Critica al discorso di A. Kekulé: Sugli obiettivi e i risultati scientifici della chimica” Kolbe esordisce scrivendo “Degli scritti di Kekulé presento al lettore una serie di passaggi, che indicano innanzitutto il suo stile (carente, ndr) e la sua mancanza di logica e successivamente quelli che testimoniano le sue eccentricità chimiche” [13]. Come si vede, prescindendo dalla critica alla teoria, veniva attaccato pesantemente Kekulé; denigrare Kekulé era un modo per screditare le idee che questi sosteneva. Più avanti nel suo articolo Kolbe scriveva “Con la dottrina del legame tra atomi e soprattutto dell’anello benzenico, Kekulé ha promesso di spiegare le numerose isomerie, soprattutto dei composti aromatici. Questa ipotesi ha indubbiamente dato molti frutti ma in una direzione completamente diversa. Ha portato alla scoperta di nuovi composti isomerici, in alcuni casi piuttosto interessanti. Per la spiegazione delle cause di queste isomerie, ciò che Kekulé e i suoi seguaci affermano di aver spiegato non è altro che immagini, come figure disegnate in modo fantasioso e artistico, figure più o meno simmetricamente ordinate e collegate tra loro da trattini. Questi simboli, come comparse sul palcoscenico, possono assumere posizioni diverse l’uno rispetto all’altro, l’orto-, para- e meta- posizioni, e così si spiega l’isomeria” [13]. Kolbe si lasciò andare a fare una previsione “Nel giro di pochi anni, la teoria delle catene avrà lo stesso destino della teoria dei tipi, sarà obsoleta e dimenticata” [12].
Secondo Kolbe la teoria strutturistica non era altro che figure disegnate in modo fantasioso e destinata da lì a poco a essere dimenticata e sostituita. Interessante è la parte dell’articolo in cui critica l’idea di Kekulé della dinamicità delle valenze, ovvero del doppio legame oscillante. Kolbe giustamente, anche se ironicamente, afferma che con il movimento degli atomi all’interno delle molecole queste non potevano essere descritte in uno spazio tridimensionale, che lui non accettava, ma necessitavano di uno spazio tetradimensionale introducendo la dimensione tempo. Kolbe, che mi sembra volesse con ironia “distruggere” quest’altra ipotesi fantasiosa, anticipava, involontariamente, ciò che oggigiorno è del tutto chiaro: le molecole sono delle realtà dinamiche.
Anche se Kekulé fu il suo principale bersaglio, non si salvarono dalle critiche altri illustri chimici, quali August W. Hofmann (1818-1892), Friedrich Baeyer (1825-1880), Johannes Vislicenus (1835-1902) e Emil Fischer (1852-1919). “La scienza chimica in Germania sta andando sempre più a rotoli” [14].
Quando la chimica strutturale compì un ulteriore, oserei dire ovvio, passo avanti, grazie a due giovani chimici l’olandese Jakobus H. van’t Hoff (1852-1911) e il francese Joseph A. Le Bel (1847-1930), Kolbe si scagliò contro questa nuova eresia che dava alle formule una struttura spaziale. “In un saggio pubblicato di recente ho descritto come una delle cause dell’odierno declino (sic) della ricerca chimica in Germania sia la mancanza di una formazione chimica generale e allo stesso tempo approfondita. A chi questa preoccupazione sembra esagerata, legga, se può, la recente pubblicazione del signor van’t Hoff. Il dott. van’t Hoff, della Scuola di Medicina Veterinaria di Utrecht, sembra non avere alcun gusto per la ricerca chimica esatta. Ha trovato più conveniente salire sul Pegaso, apparentemente preso in prestito dalla Thierarzneischule, e con un volo ardito proclamare nel suo “La chimie dans l’espace” come gli atomi fossero disposti nello spazio” [15]. Non solo gli atomi legati fra loro, ma addirittura una disposizione spaziale di questi. Anche in questo caso Kolbe cercava di mettere in cattiva luce l’autore della pubblicazione (appartenente alla Scuola di Medicina Veterinaria e non all’Università) così da denigrare la teoria proposta.
A questa filippica van’t Hoff rispose nel modo più sobrio e più sereno con una nota pubblicata nel 1877. “Se qualcuno, anche se è un uomo di merito nella chimica come Kolbe, pensa che un chimico non dovrebbe preoccuparsi delle teorie perché è ancora sconosciuto e impiegato in una scuola di medicina veterinaria; se non ritiene degno salutare i rappresentanti di una nuova visione (magari errata), come gli eroi di Omero facevano con i loro avversari prima della battaglia, sostengo che tale comportamento non debba fortunatamente essere interpretato come un segno dei tempi, ma come un contributo alla conoscenza di un individuo” [16].
Nell’ottobre del 1878 van’t Hoff iniziò la sua prolusione come professore ad Amsterdam, con la lettura testuale dell’attacco di Kolbe, non per una polemica diretta, ma per una serena rivendicazione dell’importanza e della legittimità dell’intervento della fantasia creatrice nelle scienze esatte [17]. “Se la fantasia – disse van’t Hoff – non si trova in contrasto con i fatti, essa diventa ipotesi; quando quest’ultima, direttamente studiata, si dimostra esatta, essa diventa verità” [18].
Kolbe fu sicuramente uno dei maggiori chimici organici del suo tempo; il suo scontro con i di lui più giovani chimici strutturali fu dovuto sicuramente non solo a una diversa visione della chimica, ma anche a un insieme di altri fattori (caratteriali, culturali) che contribuirono ad alimentare l’aspra polemica. Secondo Kolbe la chimica era una scienza sottile, che richiedeva sofisticate catene di inferenze per trarre conclusioni affidabili; la chimica strutturale, viceversa, sembrava a Kolbe materialistica, meccanica e non rispondente alla sua visione di chimica, dove le molecole dovevano rispondere a un “disegno” paragonabile a una monarchia costituzionale ben organizzata [12]. Altresì, la descrizione strutturistica, “negando” aprioristicamente l’esistenza di una gerarchia precostituita, doveva, a mio avviso, sembrargli una sorta di democrazia popolare. Kolbe aveva un’idea romantica della chimica, mentre quella strutturistica era una visione naturalistica.
L’aspro scontro che Kolbe ebbe con Kekulé e con i chimici strutturali ci insegna almeno due cose. La prima è che nel giudicare dobbiamo prescindere da aspetti umorali; la seconda è che in tutte le attività umane la rigidezza nelle proprie convinzioni può essere una debolezza. Sforzarci di capire le opinioni differenti ci aiuta a migliorare i nostri convincimenti. Non sono le opinioni della maggioranza a renderle corrette, ma se una maggioranza, di nostri pari, ha un’opinione differente dalla nostra ciò dovrebbe indurci a una seria riflessione. Nel caso di Kolbe tutto indica che questa riflessione non ci fu.
[1] G. Polizzi, Bachelard e la formazione dello spirito scientifico: una prospettiva di pedagogia della conoscenza, Comunicazione Filosofica, n. 10 (maggio 2022); www.sfi.it/archiviosfi/cf/cf10/articoli/polizzi.htm ultimo accesso 21.02.2024.
[2] J. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico dal ‘600 ai giorni nostri, Monda dori EST, Milano, 1976.
[3] F. Barone, Revue Internazionale de Philosophie, 1963, 17, 453-476.
[4] E. von Mayer, Journal für Praktische Chemie, 1884, 136, 417-466.
[5] A. J. Rocke, Ambix, 1987, 34, 156-168; A. J. Rocke, The Quiet Revolution. Hermann Kolbe and the Science of Organic Chemistry, University of California Press, 1993.
[6] F. A. Kekulé, Lehrbuch der Organischen Chemie, Erlangen and Stuttgart, 1861.
[7] S. Cannizzaro, Gazzetta Chimica Italiana, 1871, 1, 402.
[8] G. Marino, Rendiconti dell’Accademia delle Scienze detta dei XL, 1995, 219-223.
[9] S. Cannizzaro, Giornale di Scienze Naturali ed Economiche, 1869, 5, 115-116.
[10] G. Pisati, Gazzetta Chimica Italiana, 1871, 1, 402-406; traduzione di un articolo di Kolbe comparso su Journal für Praktische Chemie dello stesso anno.
[11] S. Cannizzaro, Gazzetta Chimica Italiana, 1871, 1, 407-421.
[12] H. Kolbe, Journal für Praktische Chemie, 1880, 132, 353-378.
[13] H. Kolbe, Journal für Praktische Chemie, 1878, 125, 139-156.
[14] H. Kolbe, Journal für Praktische Chemie, 1882, 134, 323-340.
[15] H. Kolbe, Journal für Praktische Chemie, 1877, 124, 473-477.
[16] J. H. van’t Hoff, Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, 1877, 10, 1620-1623.
[17] G. Bruni, Scientia, 1911, XIX, 55-31.
[18] Riferimento 2, pagina 429.
1 Con l’intervento determinante della luce solare, vedi H. Kolbe, Annalen der Chemie und Pharmacie, 1845, 54, 146-188.
2 Paternò mostrò, attraverso l’uso di modelli molecolari, come fosse spiegabile l’esistenza di un terzo isomero del dibromobenzene; Körner dimostrò che i sei atomi di idrogeno del benzene erano identici.
3 I nomi dei composti sono quelli corretti secondo le regole IUPAC e non quelli che compaiono nell’articolo originale.