Educazione scientifica e/o educazione ambientale1

Paola Conti

CIDI di Firenze (Scuola dell’Infanzia)

e-mail: paola.conti1@posta.istruzione.it

Indice

1. Introduzione

2. Tra scienza e ambiente: un legame sempre più forte

3. Il contatto con la natura

4. Un esempio: camminare

5. Ambiente naturale e ambienti digitali

6. Educazione scientifica come antidoto

7. Come? La scuola del curricolo

8. Una proposta sintetica delle fasi del percorso

9. L’ossessione sul curricolo

Riferimenti


Abstract. This contribution describes a pedagogical way of addressing the problem of the environmental emergency that combines the method for teaching scientific education with an ecological perspective based on attitudes and behaviors. Starting from knowledge and discovery it is, in fact, possible to build emotional bonds with what we are observing. This is a first approach to the issue which, however, represents an attempt to underline some points useful to start the work in this direction.

Keywords: curricolo; educazione scientifica; scienza; scuola dell’infanzia

1. Introduzione

Da decenni il Gruppo di Ricerca e Sperimentazione del CIDI di Firenze (Scuola dell’Infanzia) elabora, progetta, sperimenta e documenta percorsi curricolari di educazione scientifica per i bambini dai 3 ai 6 anni. In tutti questi anni abbiamo accuratamente evitato di usare l’espressione “educazione ambientale” perché non volevamo che le nostre proposte potessero essere messe in relazione con la miriade di progetti che le scuole andavano realizzando sotto quella dicitura. Troppo spesso, infatti, al di là delle buone intenzioni c’era ben poco. Talvolta si trattava di proposte di enti esterni alla scuola, operanti sul territorio e che venivano sponsorizzati dalle amministrazioni locali; altre volte prendevano le mosse dalla “passione ecologista” di qualche insegnante. Raramente si concretizzavano in proposte adatte all’età dei bambini e mostravano scarsa attenzione nei confronti della costruzione di competenze stabili e durature, ancorché trasversali. Sulla base di questa valutazione, come dicevo, ci siamo tenute a debita distanza. Negli ultimi anni però le cose sono cambiate e abbiamo sentito l’esigenza, come gruppo, di “riaprire la pratica” dell’educazione ambientale accantonando istintivi pregiudizi.

Ciò che ci ha imposto uno sguardo nuovo sulla questione è l’emergenza ambientale che stiamo vivendo e che ha assunto nel giro di pochi anni, dimensioni (intese come entità dei fenomeni e come globalità di effetti) nei confronti delle quali non sono ammesse distrazioni. Quasi quotidianamente assistiamo a catastrofi che sconvolgono territori più o meno vicini con una sorta di disagio frutto di frustrazione, ansia e impotenza. Sembra che tutto dipenda da noi (l’impronta dell’uomo sul pianeta) ma, allo stesso tempo, sembra che qualunque atto o comportamento possiamo mettere in atto sia sempre troppo piccolo, insufficiente (se non ininfluente) di fronte alla vastità dei fenomeni coinvolti. E poi ci sono le nostre abitudini, i nostri ritmi, i nostri stili di vita che diamo per scontati come “normali” e ai quali non crediamo di dover rinunciare neanche con piccole modifiche. Allora bisogna che la scuola si faccia carico della questione, affrontandola in modo nuovo, visto che decenni di progetti fatti di buoni propositi non hanno sortito l’effetto sperato. “Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno”, recita un proverbio popolare e mai come in questo caso la saggezza popolare è in grado di descrivere la situazione in cui ci troviamo a vivere.

Partendo da queste considerazioni, abbiamo cercato un modo pedagogico di affrontare la questione, combinando il nostro metodo per l’insegnamento dell’educazione scientifica con uno sguardo ecologico fondato su atteggiamenti e comportamenti che, partendo dalla conoscenza e dalla scoperta, fosse in grado di costruire legami anche emotivi con ciò che andiamo osservando. In verità, lo abbiamo sempre fatto, ma in maniera implicita; dando per scontato che (anche in funzione dell’età dei bambini) quei legami si stabilissero quasi in automatico e che, altrettanto automaticamente, fossero in grado di produrre atteggiamenti rispettosi e protettivi.

Dobbiamo riflettere sul fatto che, forse, le cose non vanno sempre così e che, forse, (vista la gravità della situazione) bisogna che ciò che davamo per scontato, che rimaneva implicito anche nelle nostre progettazioni, debba diventare oggetto di riflessione, prima, e di sperimentazione e ricerca didattica, poi.

Ciò che segue rappresenta solo un primo approccio alla questione; un tentativo di mettere sul campo alcuni punti da cui poter iniziare un lavoro in questo senso.

2. Tra scienza e ambiente: un legame sempre più forte

Il legame si può determinare non solo perché solo la scienza può aiutarci a ridurre l’impatto delle catastrofi climatiche e ambientali, ma soprattutto perché è a partire dall’osservazione dell’ambiente che ci circonda (terra, animali, piante) che si possono costruire metodi di ricerca e saperi generalizzabili.

Si è sempre definita la storia “maestra di vita”; dobbiamo cominciare a dire che la natura è maestra di vita e sperare che i suoi insegnamenti siano più seguiti di quelli della storia. Cosa ci insegna la natura in campo educativo?

Trascorrere del tempo nella natura fa bene al corpo e alla mente dei bambini. I bambini (tutti ormai, anche quelli che vivono nei piccoli paesi e in campagna) sono deprivati del contatto con la natura e le cose naturali. Gli anni del Covid hanno decretato poi la separazione definitiva da qualunque contatto di tipo naturale. Ma negli ultimi due decenni numerosi studi scientifici hanno cercato di isolare tutti i benefici del verde. La scoperta più importante è il legame tra tempo speso nella natura ed efficace apprendimento scolastico: contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i bambini che trascorrono qualche ora nel verde ogni settimana ottengono risultati migliori di chi è costretto in casa o non ha modo di spostarsi dall’ambiente urbano.

3. Il contatto con la natura

3.1 La natura migliora l’attenzione dei bambini

Il tempo trascorso nella natura rigenera e potenzia l’attenzione dei bambini. Addirittura, è emerso da studi scientifici [1-3] che le attività nella natura alleviano i sintomi dell’ADHD (deficit di attenzione e iperattività).

3.2 La natura combatte lo stress

Trascorrere del tempo nel verde aiuta grandi e bambini ad alleviare lo stress. In particolare, uno studio [4, 5] sui bambini che abitavano nelle aree rurali ha rivelato che chi cresce circondato dal verde presenta livelli di logoramento molto più bassi rispetto a chi cresce in un contesto urbano. La natura aiuta a sviluppare l’auto-disciplina. L’autocontrollo e la disciplina sono elementi molto importanti per il successo a scuola, nel lavoro e, più in generale, per il benessere personale. I disturbi nel controllo degli impulsi e della condotta sono sempre più frequenti nei bambini: anche in questo caso, prendere parte ad attività nella natura aiuta a ritrovare l’autocontrollo e porta ad un miglioramento della condotta.

3.3 L’educazione all’aperto cattura l’interesse dei bambini

Gli insegnamenti scolastici impartiti all’aperto catturano l’attenzione dei bambini in modo molto maggiore di quelli impartiti in aula. Esistono delle sperimentazioni molto interessanti [6-8] su come sia possibile svolgere l’intero curricolo di scienze del ciclo primario all’aperto, in un orto didattico, con effetti benefici sulla motivazione e sulla partecipazione dei bambini. Inoltre, al rientro da un’attività svolta all’aperto, i bambini riescono a concentrarsi meglio sulla lezione successiva.

3.4 Il tempo trascorso all’aperto migliora la forma fisica

È scontato che le attività nella natura migliorino la forma fisica; meno intuitiva è la correlazione tra questa forma fisica e i risultati scolastici dei bambini: gli antichi dicevano mens sana in corpore sano e i moderni ricercatori [9, 10] possono confermarlo. In particolare, la capacità cardiorespiratoria è legata ai processi cognitivi.

3.5 Le attività nella natura promuovono le relazioni sociali

Gli studi scientifici [11, 12] rivelano che l’ambiente sociale dei bambini è molto importante per il loro successo scolastico. Il gioco e l’esplorazione nell’ambiente naturale promuovono le relazioni tra pari e la costruzione di un gruppo affiatato: si tratta di obiettivi educativi importanti.

4. Un esempio: camminare

Sembra una provocazione, ma i bambini che arrivano alla Scuola dell’Infanzia non sanno camminare. Corrono, deambulano, mettono un piede dietro l’altro, ma non camminano. In parte dipende dal normale sviluppo delle abilità motorie che, a tre anni, è ancora caratterizzato da uno scarso controllo e consapevolezza su movimenti che pure si è capaci di compiere. Su questo la scuola lavora con percorsi didattici specifici di educazione motoria. Ma in larga misura i bambini (anche oltre i 3 anni) non sanno camminare perché non hanno spazi idonei per poter imparare, occasioni nelle quali esercitare ciò che potenzialmente sono già in grado di fare. Muoversi dentro un’aula piena di arredi e di persone non è camminare, come non lo è fare esercizi in palestra. I bambini corrono, sbattono nei giochi e tra di loro. Fuori dall’aula inciampano, non si fermano in tempo davanti ad un ostacolo e non ne valutano l’eventuale pericolosità, non si fermano a guardare ciò che calpestano, si stancano alla prima, lieve, pendenza.

Camminare è un’altra cosa.

Le nostre scuole non hanno un giardino e quando ce l’hanno è troppo piccolo per il numero dei bambini che lo usano, o è troppo pieno di giochi e giocattoli. Per camminare bisogna uscire dalla scuola, anche dal giardino; bisogna individuare aree adatte a questo tipo di attività; organizzare modalità sicure, ma continuative nel tempo in modo che si non tratti di una “gita” da fare una volta all’anno.

5. Ambiente naturale e ambienti digitali

Ogni nuova tecnologia introduce nel mondo non solo nuovi strumenti, ma anche nuovi modi di guardare la realtà. Ogni nuova tecnologia è portatrice di potenzialità e di rischi. Naturale e digitale non sono necessariamente in conflitto e la scuola non deve parteggiare per l’uno o per l’altro, ma anche qui si tratta di riflettere pedagogicamente su potenzialità e rischi senza demonizzare il digitale, rincorrendo una fantomatica età dell’oro in cui vivevamo tutti felici senza cellulari e tablet, ma evitando anche facili entusiasmi generati da una narrazione intenzionale che lascia intravedere nell’utilizzo di strumenti digitali la panacea di tutti i problemi della scuola, determinando il miglioramento dell’interesse dei bambini, la facilitazione dell’apprendimento, la risoluzione delle dinamiche relazionali, ecc. Va poi considerato che il digitale “va avanti da sé”; per le sue caratteristiche e per la potenza attrattiva che gli è intrinseca, attrae e pervade la vita dei bambini dalla nascita. I bambini scoprono e utilizzano da soli le potenzialità dei dispositivi e degli applicativi: spesso sono loro ad indicarcene alcune che noi non conoscevamo. Ci sono, tuttavia, anche i rischi. Gli strumenti digitali sono idonei ad aiutare i bambini di questa età nella costruzione del senso di realtà? Nella ricerca della realtà? Nell’individuazione delle modalità e degli strumenti per giungere alla realtà? O rischia di costruire mondi nei quali non c’è distinzione tra realtà e finzione, dove la realizzazione di desideri, spesso effimeri e momentanei, mette in secondo piano (quando non elude del tutto) la considerazione delle conseguenze della loro realizzazione? E, per tornare al tema di questo ragionamento, i dispositivi digitali non sono in grado di avvicinare i bambini alla realtà naturale che li circonda e producono piuttosto (seppure involontariamente) un allontanamento, dovuto alla sostituzione della realtà naturale con una natura artefatta, priva di odori, umori, sensazioni tattili talvolta anche spiacevoli.

Non c’è il rischio che creino un’immagine della natura piuttosto che un contatto con essa?

6. Educazione scientifica come antidoto

Dunque, ci vuole un antidoto; qualcosa in grado non di combattere, ma di accompagnare l’inevitabile (e spesso utilissimo) utilizzo del digitale in modo che i bambini non siano soli con le immagini; qualcosa che li riporti alla realtà, alla natura, all’ambiente, quello reale, quando il digitale diventa troppo invasivo e fuorviante. Però, come i “veleni” presi nelle giuste dosi e sotto controllo medico possono essere usati in medicina, ci sono occasioni e momenti nei quali gli strumenti digitali rappresentano un valido aiuto e devono essere inseriti all’interno di quella “cassetta degli attrezzi” didattici che costituisce il bagaglio indispensabile di ogni insegnante. Ma non possono diventare il soggetto dell’azione didattica, il suo centro, il suo fine. Come qualsiasi altro strumento, sono portatori di potenzialità e di pericoli, specialmente quando vengono usati con bambini molto piccoli. L’alto grado di formalizzazione, che si nasconde dietro l’apparente semplicità di immagini e video, stimola la creazione di spiegazioni fantasiose se non fantascientifiche, nei bambini. Così come l’abbondanza di stimolazioni contemporanee (immagini, suoni, emozioni, sollecitazioni di desideri e bisogni indotti) indirizza la mente dei bambini verso modalità standardizzate di costruzione dei concetti, li conduce verso esiti “obbligati” che non sono il risultato di un’elaborazione cognitiva personale, magari meno accurata o esatta, ma sicuramente più feconda dal punto di vista delle competenze che sviluppa. Infine, proprio il fatto che tutto sembri così facile, così vicino, così immediato da ottenere, rischia di alimentare atteggiamenti superficiali e passivi, in cui lo sforzo cognitivo, la ricerca, l’esperienza dell’errore sono ridotti al minimo.

Di fronte a questi rischi, la scuola deve interrogarsi e riflettere, realizzando proposte di educazione scientifica capaci di contrastare le derive che sopra abbiamo esposto e di promuovere e incrementare competenze e atteggiamenti caratterizzati da attenzione, ricerca, curiosità attiva, sviluppo di un metodo autonomo, in grado di portare i bambini e le bambine gradualmente verso la concettualizzazione degli elementi che compongono l’esperienza.

C’è bisogno di un’ambientazione didattica di alta qualità: ricerca di materiali, costruzione di strumenti operativi e concettuali, organizzazione e strutturazione di tempi e spazi, attenzione alle dinamiche di gruppo e alle strategie individuali di apprendimento. Bisogna scegliere saperi sempre diversi e progressivamente più strutturati. L’operatività, la dimensione corporea, la manipolazione sono le basi sulle quali promuovere l’avvio alla rielaborazione concettuale delle esperienze e dei vissuti e lo sviluppo delle prime forme di rappresentazione, socializzazione, documentazione e ricostruzione delle conoscenze. Diventano, quindi, fondamentali gli spazi aperti, le aule verdi, l’esplorazione di boschi, fiumi, prati, ambienti naturali vissuti direttamente e non visti su uno schermo, o ricostruiti con effetti 3D all’interno di aule immersive.

7. Come? La scuola del curricolo

Il curricolo verticale di educazione scientifica e ambientale si deve far carico di questa necessità, di questo bisogno di contatto organizzando, proponendo e realizzando occasioni di attività all’aperto che poi continuano in sezione con l’esame e l’osservazione, effettuata anche tramite strumentazioni tecnologiche dei materiali raccolti che, a loro volta producono nuove ipotesi e piste di lavoro, che richiedono nuove uscite per essere verificate nel confronto con l’ambiente reale.

Quali criteri per scegliere?

8. Una proposta sintetica delle fasi del percorso

  1. Fase esplorativa libera
  2. Fase esplorativa guidata (eventuale raccolta di materiale e documentazione)
  3. Rielaborazione individuale (schede strutturate, disegni, costruzioni, verbalizzazioni, relazioni scritte …)
  4. Rielaborazione collettiva (cartelloni di codifica, tabelle, diagrammi, attività di simbolizzazione e modellizzazione, …)
  5. Sviluppo e potenziamento delle abilità linguistiche (capacità di descrizione, argomentazione, uso di un linguaggio specifico, allargamento del patrimonio lessicale, costruzione del testo scientifico)
  6. Verifiche: concetti e competenze (schede individuali, conversazioni registrate, interviste, prove strutturate); comportamenti (osservazione sistematica delle modifiche comportamentali iniziali e finali e delle produzioni linguistiche spontanee)

9. L’ossessione sul curricolo

Sembra scontato parlare di curricolo, che, dopo un’ondata di entusiasmo che ha preceduto e seguito di poco l’emanazione delle Indicazioni Nazionali del 2012, è stato fatto entrare nell’ambito degli adempimenti della scuola, ma non nella sua prassi. Ogni scuola a suo modo, con il proprio schema e il proprio linguaggio ha realizzato documenti periodicamente revisionati da commissioni più o meno partecipate, senza abbandonare, nella maggioranza dei casi, la tutela del modo tradizionale di insegnare. “Abbiamo il curricolo” si dice e, con questo, abbiamo evaso la pratica. Una sfilza di obiettivi, contenuti, qualche accenno di metodologia genericamente espressa (“il bambino al centro”) e poi si fa scuola come sempre si è fatto. Oppure, in maniera più subdola, si adottano alcuni aspetti di ciò che è indicato nel documento curricolare senza, tuttavia, modificare la sostanza del fare scuola. Assumere una prospettiva curricolare vuol dire cambiare lo sguardo che si ha sui bambini, ribaltare le priorità dell’insegnamento realizzando uno spostamento fondamentale dai contenuti alle competenze, ricercare continuamente, continuamente modificare e adattare i percorsi sulla base delle risposte dei bambini che abbiamo davanti qui e ora.

Il curricolo non “si ha”: si fa e si disfa continuamente.

Anche per l’educazione ambientale c’è bisogno di curricolo, c’è bisogno di rigore progettuale, intenzionalità pedagogica e consapevolezza professionale, altrimenti si finisce ai progetti di riciclo e alle visite alle isole ecologiche. Il curricolo di educazione ambientale richiede “ambiente” e le nostre scuole non sono attrezzate per questo. Ancora una volta, come sempre, prima di potersi mettere a lavoro con i bambini, c’è bisogno di creare le condizioni per potere svolgere quel lavoro.

Ma non abbiamo scelta: non ci sono scorciatoie.

Riferimenti

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[12] C. Becker, G. Lauterbach, S. Spengler, U. Dettweiler, F. Mess, Effects of Regular Classes in Outdoor Education Settings: A Systematic Review on Students’ Learning, Social and Health Dimensions, International Journal of Environmental Research and Public Health, 2017, 14, 485 (DOI: 10.3390/ijerph14050485).


1 Pubblicato su Insegnare il 29 marzo 2023