La formazione degli insegnanti
come motore dell’innovazione

Mariano Venanzi

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche,
Università di Roma “Tor Vergata”

e-mail: venanzi@uniroma2.it

Indice

1. Introduzione

2. La formazione iniziale degli insegnanti della scuola

3. La formazione in servizio dei docenti della scuola

4. La formazione dei docenti universitari

5. Conclusioni

Riferimenti


Abstract. In this work, we briefly introduce the different levels of training (initial, in-service) of school teachers and academic staff in view of the new law approved in June 2022. The state of art of the organization of the different teacher training programs has been described and briefly commented, focusing on their priorities and critical issues.

Keywords: Formazione iniziale docenti; formazione in servizio docenti; formazione docenti universitari

1. Introduzione

Credo che l’introduzione migliore a questo mio contributo siano due citazioni autorevoli. La prima proviene dall’Agenda 2030 dell’ONU e recita testualmente: ‘L’educazione è la premessa essenziale per accelerare il raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile’. Che insieme a questa seconda citazione: ‘Lo sviluppo delle competenze dei docenti è l’iniziativa politica che presenta la maggiore probabilità di miglioramento della qualità dell’istruzione’ (OECD, Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, 2009), rende conto perfettamente di come la formazione dei docenti a tutti i livelli di istruzione rappresenti il vero motore di ogni reale innovazione e uno dei pochi modi, se non il solo, di sedimentare risultati non effimeri.

In questo contributo vorrei toccare brevemente tre aspetti: a) la formazione iniziale degli insegnanti della scuola; b) la loro formazione in servizio; c) la formazione dei docenti universitari, facendo il punto sulla situazione attuale e mettendone in luce le criticità.

2. La formazione iniziale degli insegnanti della scuola

C’è una sostanziale asimmetria tra la formazione iniziale dei docenti dell’infanzia, della scuola primaria e delle istituzioni AFAM (Alta Formazione Artistica, Musical e Coreutica) e quella dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Per i primi esistono percorsi di laurea strutturati specifici per l’insegnamento (Laurea in Scienze della Formazione Primaria, una laurea magistrale a ciclo unico di durata quinquennale), mentre per i docenti AFAM l’offerta formativa si articola su tre livelli in analogia alla formazione universitaria.

Al contrario, la formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria ha avuto nell’ultimo quindicennio un percorso piuttosto accidentato, che dalla chiusura delle scuole di specializzazione (SISS), avvenuto nel 2009, è passata attraverso il Tirocinio Formativo Attivo (TFA), attivato per due cicli, i percorsi abilitanti speciali (PAS), per finire ai percorsi 24 CFU, forma abortita dei percorsi FIT ‘Buona Scuola’, di cui sono stati attivati ben cinque cicli prima della definitiva chiusura (31 ottobre 2022).

Finalmente, il decreto-legge 36/2022, seguito a più di un anno di distanza dal decreto attuativo del 25 settembre 2023, ha dato attuazione alla riforma della formazione dei docenti prevista nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, introducendo un percorso formativo universitario e accademico di formazione iniziale e abilitazione dei docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, compresi gli insegnanti tecnico-pratici. Il percorso è basato su un modello formativo strutturato tra l’Università e la Scuola, e prevede 60 crediti formativi (CFU), la cui acquisizione abilita ad accedere ad un concorso nazionale che si terrà su base regionale o interregionale. A seguito del superamento di tale concorso, il futuro docente accede a un periodo di prova in servizio di un anno. La formazione riguarda l’ambito psicologico, che si occupa della dimensione cognitiva e affettiva dello studente, l’ambito sociologico, che affronta la questione del rapporto scuola-società, l’ambito metodologico-didattico, che tratta i mezzi, i metodi e gli strumenti dell’insegnamento, e l’ambito dei contenuti, proprio dei saperi disciplinari.

Il decreto attuativo del settembre 2023 specifica i crediti assegnati a ogni ambito. In particolare, sono previsti 10 CFU di ambito pedagogico, 3 relativi alle disabilità e disturbi evolutivi specifici, 3 di area linguistica digitale, 4 per le discipline psico-socio-antropologiche, 2 dedicati alle metodologie didattiche, 2 agli aspetti legislativi della scuola e della professione, 16 di ambito disciplinare, 20 di tirocinio diretto e indiretto.

Significativamente, la frequenza delle attività è obbligatoria, con i corsi erogati per il 70% in presenza, riservando alle attività in telematica un massimo del 20%, e con l’ulteriore condizione che le attività di tirocinio e di laboratorio didattico vengano effettuate in presenza. L’esame finale prevede una prova scritta (analisi critica relativa al tirocinio diretto) e una lezione simulata.

Mi preme sottolineare un aspetto di questa formazione che giudico molto positivamente: la collaborazione strutturata tra università e scuola, che si realizza attraverso il coinvolgimento di docenti tutor, provenienti dalla scuola secondaria di primo e secondo grado, che dovranno sovraintendere alle attività di tirocinio diretto e indiretto. Sottolineo l’importanza di queste attività di formazione, sia per quanto riguarda il tirocinio diretto, che prevede attività di osservazione, analisi e progettazione, sia di quello indiretto, che comporta la realizzazione di attività funzionali all’insegnamento. I ruoli del tutor coordinatore e del tutor scolastico sono, a questo riguardo, fondamentali, a garanzia del raggiungimento degli obiettivi formativi proposti.

Nel regime transitorio sono previsti percorsi di formazione abbreviati per coloro che hanno maturato precedenti esperienze formative (24 CFU, docenza nella scuola, vincitori di concorso senza abilitazione), sui quali per brevità non mi dilungo, rinviando alla lettura del decreto attuativo.

Mi interessa invece sottolineare le competenze che dovranno acquisire i futuri docenti a conclusione del periodo di formazione:

  1. competenze culturali, disciplinari, pedagogiche, psicopedagogiche, didattiche e metodologiche, in relazione ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti;
  2. competenze proprie della professione e della funzione docente (pedagogiche, psicopedagogiche, relazionali, orientative, valutative, organizzative, didattiche, tecnologiche e giuridiche) integrate con i saperi disciplinari, nonché con le competenze giuridiche relative alla legislazione scolastica.

Queste competenze dovrebbero essere seguite dalle capacità:

In definitiva, ai docenti è richiesto di saper gestire un processo multidimensionale e multilivello che necessita della combinazione di competenze disciplinari, metodologiche-didattiche, comunicativo-relazionali, organizzative, riflessive e di ricerca.

Su tutto questo pesa la revisione e l’aggiornamento della tipologia delle classi di concorso per l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado, che si pone l’obbiettivo, attraverso la loro razionalizzazione e il loro accorpamento, di promuovere dei profili professionali. Il provvedimento è a tutt’oggi allo studio nelle sedi ministeriali preposte.

3. La formazione in servizio dei docenti della scuola

Il decreto-legge del giugno 2022 regola anche la formazione in servizio dei docenti della scuola, rendendola obbligatoria per tutti i docenti a decorrere dall’anno scolastico 2023-2024. La formazione continua prosegue e completa la formazione iniziale dei docenti secondo un sistema integrato, volto a introdurre metodologie didattiche innovative e a migliorare le competenze linguistiche, digitali, pedagogiche e psicopedagogiche, nonché le competenze volte a favorire la partecipazione degli studenti.

Il percorso di durata triennale prevede attività di progettazione, tutoraggio, accompagnamento e guida allo sviluppo delle potenzialità degli studenti, con lo scopo di favorire il raggiungimento di obiettivi scolastici specifici e la sperimentazione di nuove modalità didattiche. L’obiettivo è quello di rafforzare le competenze digitali e l’uso critico e responsabile degli strumenti digitali, anche con riferimento al benessere psicofisico degli allievi con disabilità e ai bisogni educativi speciali, nonché alle pratiche laboratoriali e di inclusione. Significativamente, la partecipazione alle attività formative dei percorsi dovrà essere svolta al di fuori dell’orario di insegnamento.

L’elenco dei contenuti dei percorsi di formazione continua è ben lungo, e prevede:

  1. l’aggiornamento delle competenze negli ambiti della pedagogia e delle metodologie e tecnologie didattiche;
  2. l’approfondimento dei contenuti specifici della disciplina di insegnamento;
  3. l’utilizzo di strumenti e tecniche di progettazione-partecipazione a bandi nazionali ed europei;
  4. lo studio dei processi di governance della scuola, finalizzato al miglioramento dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica mediante la formazione tecnico-metodologica e socio-relazionale dello staff e delle figure di sistema;
  5. l’acquisizione di metodologie atte ad aumentare la leadership educativa;
  6. l’acquisizione di tecniche che favoriscano l’inclusione scolastica nella classe con alunni disabili;
  7. la messa a punto di strategie di orientamento formativo e lavorativo;
  8. il potenziamento delle competenze in ordine alla valutazione degli alunni secondo i profili applicativi del sistema nazionale di valutazione delle istituzioni scolastiche;
  9. il potenziamento delle tecniche della didattica digitale.

A questo scopo verrà istituita una Scuola di Alta Formazione dell’Istruzione, posta sotto la vigilanza del Ministero dell’Istruzione e del Merito. La Scuola dovrà promuovere e coordinare la formazione in servizio dei docenti di ruolo, coordinare e indirizzare le attività formative dei dirigenti scolastici, dei direttori dei servizi amministrativi generali, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario e favorire la partecipazione dei docenti alla formazione e alla ricerca educativa.

Tra i compiti della Scuola ci sono quelli di definire gli obiettivi formativi dei percorsi di formazione, di procedere all’accreditamento delle istituzioni deputate a erogare la formazione continua e di curare il raccordo tra formazione iniziale e formazione in servizio dei docenti.

Per lo svolgimento delle sue attività istituzionali, la Scuola si avvarrà dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE) e dell’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di formazione (INVALSI). Potrà, inoltre, stipulare convenzioni con le Università, con le istituzioni AFAM e con soggetti pubblici e privati, fornitori di servizi certificati di formazione.

Uno degli aspetti più significativi delle attività formative previste è che la ricerca in didattica è riconosciuta come una dimensione portante della funzione docente. Al docente viene richiesto di sperimentare nuove modalità didattico-formative che connettano riflessività teorica con la pratica didattica. La ricerca in didattica diventa, dunque, uno strumento per comprendere e intervenire nelle realtà educative, mediante processi iterativi di azione e riflessione scanditi dai momenti di interazione-osservazione-riflessione-progettazione.

Il docente-ricercatore dovrà essere in grado di riflettere in maniera sistematica sulle proprie pratiche didattiche, di valutare le esigenze di formazione, di intraprendere ricerche, di incorporare nell’insegnamento le ricerche effettuate e di saper valutare l’efficacia delle strategie di insegnamento adottate, tenendo conto che il contesto ambientale e le dinamiche sociali diventano parte inscindibile dell’oggetto di studio.

La didattica contemporanea è una didattica che procede per problemi. È stato scritto che ‘rispetto alla necessità di assumere continuamente decisioni, di compiere valutazioni ex ante, in itinere, ex post dei progetti formativi, delle risorse didattiche, dei processi e dei prodotti della formazione è indispensabile non tanto la conoscenza di tutta l’enciclopedia dei saperi pedagogici, quanto il possesso di tecniche di indagine scientifica che possano aiutare i docenti a trovare una soluzione ai tanti problemi che emergono nei contesti formativi’ [1].

Già nel 1978 Visalberghi scriveva che le istituzioni di preparazione degli insegnanti dovrebbero operare come centri di ricerca scientifici ad alto livello [2]. Istanza recepita da un decreto presidenziale del 1999 secondo il quale ‘Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali’ [3].

Questi centri avrebbero dovuto occuparsi della progettazione formativa e della ricerca valutativa, della formazione e aggiornamento culturale e professionale del personale, della innovazione metodologica e disciplinare delle pratiche didattiche, della ricerca didattica, della documentazione educativa, degli scambi di informazione e dell’integrazione tra le diverse articolazioni del sistema scolastico.

Un altro fronte sul quale è richiesto al docente un impegno notevole è quello dell’inclusione, sia dal punto di vista dell’inclusione scolastica, adottando strategie atte a rimuovere le barriere all’apprendimento e alla partecipazione, sia dal punto di vista dell’inclusione sociale, che vede l’insegnante come motore di relazione e mediazione. È l’UNESCO a riconoscere che ‘gli insegnanti sono gli agenti strategici dei processi di inclusione scolastica e sociale’ [4].

Entrambi questi aspetti rimandano alla qualità dell’ambiente di apprendimento. L’insegnante inclusivo, oltre a essere capace di riflettere sul proprio ruolo e sul proprio operato, deve valorizzare le diversità, sostenere lo studente, essere in grado di lavorare in gruppo, farsi promotore dello sviluppo e dell’aggiornamento continuo delle metodologie didattiche e disciplinari.

Non si può, a questo riguardo, sottovalutare il contributo delle neuroscienze cognitive alla innovazione delle metodologie didattiche in un approccio che metta lo studente al centro delle pratiche di apprendimento. È ormai ben riconosciuto che il processo di insegnamento-apprendimento coinvolge tutte assieme le dimensioni intellettiva, corporea, affettiva e relazionale della persona.

Il docente è, dunque, chiamato a conoscere e comprendere i meccanismi cognitivi che sovraintendono allo sviluppo delle abilità di apprendimento. La cognizione non è il risultato di un’azione deterministica, ma è un processo complesso che evolve grazie alle interazioni del sistema, attraverso le varie fasi della comprensione/interpretazione/ragionamento/pianificazione/comunicazione (intersoggettività).

La scuola è pertanto uno spazio-tempo, in cui l’interazione tra docente e studente modifica i reciproci saperi e la loro organizzazione e struttura interna, e richiede da parte di docenti e discenti attenzione, pianificazione, autocontrollo cognitivo e comportamentale, memoria di lavoro e motivazione.

“L’ideale punto di convergenza tra teoria e pratica diventa quindi un insegnante ricercatore capace di un atteggiamento riflessivo verso la propria pratica professionale, in grado di scegliere tra alternative formalmente equivalenti, di mettere in atto la sua scelta, di controllarne i risultati e di rivederne eventualmente il significato” [5].

Insegnare vuol dire spesso agire nell’urgenza, decidere nell’incertezza.

4. La formazione dei docenti universitari

Il decreto-legge del giugno 2022 presenta un ulteriore aspetto fortemente innovativo. Nel quadro dell’autonomia universitaria, dà la possibilità a ogni ateneo di strutturare dei centri di insegnamento di ateneo che, oltre a occuparsi della formazione iniziale dei docenti della scuola, si occupi anche della formazione dei docenti universitari.

Al momento la valutazione dei docenti universitari è centrata essenzialmente sulle competenze disciplinari in termini di attività di ricerca (pubblicazioni) e di gestione di progetti. In particolare, non c’è nessun parametro di valutazione della qualità della didattica, al di là delle schede di valutazione degli studenti, o della valutazione sulla sostenibilità dei corsi in numerosità della docenza. La valutazione dell’attività didattica è meramente quantitativa e tiene conto esclusivamente del numero di CFU impartiti, del numero di esami verbalizzati e del numero di tesisti seguiti come relatore.

Il confronto con la situazione di altri paesi europei è impietoso.

In Svezia la formazione iniziale dei docenti universitari alla didattica è obbligatoria, mentre in Olanda la formazione iniziale dei docenti universitari dura un anno, e prevede nel suo sillabus la capacità di elaborazione di programmi di studi, l’applicazione di metodologie didattiche innovative, l’uso delle piattaforme tecnologiche e l’approfondimento di pratiche di valutazione.

In Francia operano i CIES (Centres d’Initiation à l’Enseignement Universitaire), che prevedono per gli studenti di dottorato percorsi di formazione docente.

In Finlandia esiste un sistema di formazione articolato su tre livelli coordinati dal Centre for Research and Development of Higher Education: i) un corso introduttivo di 10-12 CFU; ii) un corso di formazione iniziale di 30 CFU; iii) un corso avanzato di 70 CFU biennale. I docenti in servizio, inoltre, sono incoraggiati a condurre ricerche sulla didattica universitaria.

In Gran Bretagna gli standard professionali della docenza universitaria sono fissati lungo la carriera accademica da principal fellow a professore associato. Esistono anche delle certificazioni post-graduate delle pratiche didattiche acquisite (PGCAP: Post-Graduate Certificate in Academic Practice).

Al di qua delle Alpi la formazione dei docenti universitari ha visto, fino a ora, solo tentativi sporadici, come il progetto PRODID (Preparazione alla PROfessionalità Docente e Innovazione Didattica) dell’Università di Padova [6], il progetto IRIDI (Incubatore di Ricerca Didattica per l’Innovazione) presso l’Università di Torino, il progetto MENTOR dell’Università di Palermo.

Occasione di discussione importante è stato il recente congresso ‘Faculty development: la via italiana’ tenutosi a Genova nel 2021 e di cui sono stati appena pubblicati gli atti congressuali [7].

Alla domanda se la conoscenza specialistica di una disciplina sia condizione necessaria e sufficiente per garantire una didattica di qualità, la risposta scontata è che è certo necessaria, ma sicuramente non sufficiente. Una didattica efficace deve promuovere apprendimenti in profondità e intendere l’apprendimento come costruzione attiva del sapere, incoraggiare pratiche di valutazione e di autovalutazione dei docenti e degli studenti e sviluppare competenze trasversali con particolare attenzione alle soft skills: la gestione del sé, la gestione del compito, l’interazione con gli altri, la gestione delle informazioni, la capacità di comunicazione.

È necessario per questo saper valutare l’efficacia dei percorsi di formazione e il loro impatto sui docenti (rappresentazione, strategie, percezione, motivazione, coinvolgimento), sull’apprendimento degli studenti e sull’istituzione.

Qualche passo nella giusta direzione è stato fatto. Il processo di Bologna individua ‘l’università come insostituibile fattore di crescita sociale e umana e come elemento indispensabile per consolidare e arricchire la cittadinanza europea’ (Dichiarazione di Bologna, 1999). L’articolazione dei percorsi formativi secondo i descrittori di Dublino, l’accreditamento dei corsi di laurea (ANVUR), la riflessione su queste tematiche condotta dall’ Osservatorio Fondazione CRUI sono ulteriori esempi di una attenzione nuova verso la qualità e l’efficacia delle pratiche didattiche universitarie.

5. Conclusioni

Lo schema 1 rappresenta bene lo spazio-tempo a molte dimensioni in cui si collocano i processi di apprendimento, in relazione, quindi, non solo al rapporto docente-discente, ma anche rispetto al più generale contesto socio-istituzionale in cui le pratiche didattiche si inseriscono [8].

Immagine che contiene testo, schermata, Carattere, diagramma

Descrizione generata automaticamente


Schema 1. Struttura e dinamica dell’interazione docente-discente [8]


La domanda non vuole essere retorica: è davvero necessario elevare il livello della qualità della pratica didattica?

Cito solo questi dati relativi agli iscritti alle lauree triennali di classe Chimica della coorte 2018-2019. Su 3772 immatricolati, ne sono passati al II anno 2716 (72%). Di questi solo 960 (25%) si sono iscritti al II anno con almeno 40 CFU. I laureati in corso sono stati 1021 (1952 totali, 51,7%). Certamente le ragioni dell’abbandono universitario e della elevata durata media dei percorsi di laurea (4,6 anni per la laurea triennale) sono molteplici, ma l’obbligo di aumentare l’efficacia delle pratiche didattiche a tutti i livelli è fuori di dubbio.

Che fare? Se siamo convinti che il miglioramento di ogni didattica parta dalla formazione dei docenti a tutti i livelli della filiera educativa, dalla scuola primaria all’istruzione superiore, allora i tre aspetti che abbiamo brevemente discusso in questo contributo, e cioè la formazione iniziale e in servizio dei docenti della scuola e la formazione dei docenti universitari, devono intrecciarsi e costituire un percorso organizzato che segue la crescita della figura docente nelle diverse fasi. È stato detto che per formare un docente esperto siano necessari almeno dieci anni di attività didattica professionale.

I centri universitari per l’insegnamento possono essere il luogo fisico in cui queste diverse esperienze si incontrano e si mettono alla prova. L’obiettivo è quello di costruire comunità di pratica nelle quali l’innovazione delle metodologie didattiche e l’aggiornamento disciplinare si intrecciano e si completano.

Non mi nascondo le difficoltà, le resistenze e i ritardi che ostacolano questo percorso, che giudico l’unico praticabile negli anni a venire se si vogliono ottenere risultati non effimeri. La Divisione Didattica della Società Chimica Italiana può rivestire un ruolo importante in questi frangenti: ruolo di promozione, di riflessione, di messa a punto di esperienze guida e di studi di caso, di raccordo tra mondo della scuola e accademia. Hic Rhodus, hic salta.

Riferimenti

[1] A. M. Ciraci, Ricerca educativa e formazione degli insegnati. Il docente “ricercatore”, in Atteggiamento scientifico e formazione dei docenti (a cura di V. Blasi e G. Domenici), FrancoAngeli, Milano, 2019, pp. 199-202.

[2] A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1978.

[3] Decreto presidenziale n. 275, 8 marzo 1999.

[4] UNESCO, Policy Guidelines on Inclusion in Education, 2009.

[5] L. Chiappetta Cajola, A. M. Ciraci, Dal profilo professionale alle modalità formative efficaci. Nuove prospettive per la formazione degli insegnanti, in La formazione degli insegnanti. Ricerca, didattica, competenze (a cura di L. Chiappetta Cajola e A. M. Ciraci), Aracne Editrice, Roma, 2019, pp. 153-173.

[6] E. Felisatti, A. Serbati, Professionalità docente e innovazione didattica. Una proposta dell’Università di Padova per lo sviluppo professionale dei docenti universitari, Formazione & Insegnamento, 2014, 12, 137-153.

[7] Faculty development: la via italiana, Proceedings, 28-29 Ottobre, 2021, Genova University Press, 2023.

[8] M. Prosser, S. C. Barrie, Using a student-focused learning perspective to align academic development with institutional quality assurance, in Towards Strategic Staff Development in Higher Education (R. Blackwell & P. Blackmore, Eds.), 2003, pp. 191-221.