L’Istituto di Chimica dell’Università di Roma sotto la direzione di Nicola Parravano

Franco Calascibetta

Presidente del Gruppo Nazionale di Fondamenti e Storia della Chimica

e-mail: franco.calascibetta@fondazione.uniroma1.it

Indice

1. Introduzione

2. Il rapporto tra scienza e politica secondo Nicola Parravano

3. Gli assistenti dell’Istituto di Chimica dal 1923 al 1938

4. Qualche considerazione conclusiva

Riferimenti 73



Abstract. Nicola Parravano was one of the main protagonists of the Italian chemical community in the years between the two world wars. In that period, he was, among his many offices, the Director of the Chemical Institute of the Royal University of Rome. In this article the history of this institution is reconstructed and the personalities who worked in it are recalled, to better highlight the ideas and choices that inspired Parravano’s scientific and political action.

Keywords: Parravano; suo rapporto fra scienza e politica; la chimica romana dal 1923 al 1938


1. Introduzione

Negli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, l’Istituto chimico dell’Università di Roma fu diretto da Nicola Parravano (1883-1938), il quale, in tali anni, rappresentava per l’intera comunità chimica italiana una sorta di capo riconosciuto e indiscusso in ambito accademico e nei rapporti con il mondo della produzione e la società civile. Fu costantemente impegnato a rafforzare il connubio tra la scienza pura e le sue ricadute in campo applicativo, tenendo sempre a mente il progresso scientifico ed economico della nazione. Queste idee determinarono tra l’altro la sua convinta adesione al regime fascista. Tali linee guida sono ravvisabili anche nella maniera con cui guidò l’istituto chimico romano, diretto con ferma autorità, malgrado le molteplici cariche, accademiche e non solo, che contemporaneamente ricopriva.

Appare quindi utile analizzare meglio il periodo in cui l’Istituto chimico romano fu diretto da Nicola Parravano, per verificare la realizzazione concreta delle sue idee sul rapporto tra scienza e politica, in un contesto in cui la sua autorità fu totale e incontrastata.

Questo darà tra l’altro l’occasione di ricordare una serie di chimici, che passarono dall’Istituto di via Panisperna ed ebbero comunque un ruolo non marginale nella chimica italiana della prima metà del Novecento, nel mondo accademico o in quello della produzione industriale.

2. Il rapporto tra scienza e politica secondo Nicola Parravano

Prima di parlare dell’Istituto chimico della Sapienza sotto la direzione di Nicola Parravano, è opportuno illustrare con maggior dettaglio quale fu la visione della scienza che guidò costantemente la sua opera.

Già in un articolo del 1918, intitolato “La chimica e la guerra” [1], è esemplificata la sua idea sul ruolo della scienza, e in particolare della chimica, nel suo rapporto con la società:

La guerra immane che si combatte nel mondo intero ha svelato al pubblico di molte nazioni l’esistenza di una scienza, la chimica, prima ignorata o quasi … Quando però è incominciata la guerra e se ne sono rivelati gli immensi bisogni di armi e munizioni; quando, oltre ai nomi dei comuni prodotti metallici, sono incominciati a circolare quelli di tanti svariati prodotti metallurgici; quando si è incominciato a parlare di toluolo, benzolo, acido picrico, tritolo, gas asfissianti, e si è cominciato a sentir dire della necessità di assicurare per i bisogni della difesa nazionale il rifornimento di vaste quantità di glicerina, acetone, alcool, etere, allora il pubblico si è accorto che oltre ai medici, agli ingegneri, agli avvocati esistono anche i chimici i quali esercitano funzioni non meno indispensabili delle altre alla vita delle nazioni … e così i chimici in tutti i paesi si sono messi alacremente all’opera portando un contributo quanto altro mai valido all’aumento delle forze difensive e offensive ciascuno della propria patria.

Se, nel contesto bellico, l’importanza concreta della chimica restava confinata al ruolo che essa poteva avere per la guerra, traspare anche l’idea che uno scienziato debba sempre collocare la sua opera al servizio della comunità nazionale. Non era del resto la sua una posizione isolata; una parte consistente della comunità scientifica, soprattutto nell’Italia da poco uscita dall’esperienza bellica, condivise tale punto di vista. Questo fu uno dei motivi che determinarono la benevolenza con la quale, senza molte eccezioni, gli scienziati italiani, e in particolare i chimici, accolsero l’avvento del regime fascista, che fu visto come un interlocutore politico che finalmente si rivolgeva alla scienza e ne riconosceva un ruolo, integrato all’interno del sistema politico nazionale. Parravano fu forse il più convinto assertore di una visione della scienza al servizio della nazione. Ciò si tradusse in una sua organica adesione al fascismo. In quasi tutti i suoi articoli, dalla metà degli anni Venti, comparvero riferimenti inneggianti a Mussolini, indicato sempre rigorosamente con la maiuscola come il “Duce”, che avrebbe restituito all’Italia la gloria imperiale, o come “l’Uomo” inviato dal destino, che aveva ridato a ogni italiano uno spirito nuovo. Nel 1926, portando il saluto al II Congresso Nazionale di Chimica, tenutosi a Palermo in occasione del centenario della nascita di Cannizzaro, egli arruolò il defunto chimico siciliano tra i possibili fautori del regime fascista [2]:

Egli [Cannizzaro] amò la patria e la servì sui campi di battaglia e nelle nobili contese civili dell’intelletto; e oggi che esaltare il rinascimento d’Italia non significa ripetere un luogo comune, Egli inneggia con noi alla nuova radiosa primavera italica; e mentre tutte le forze della Nazione si ridestano e si raccolgono intorno al Duce meraviglioso che fortemente vuole dare ai discendenti di Roma un posto degno dei padri, noi sentiamo che sotto lo sprone spirituale del maestro non mancheremo di partecipare in maniera attiva e feconda a questo rinnovamento.

Qualche anno dopo, presentando in una rivista non scientifica quali dovessero essere, secondo il fascismo, gli obiettivi del CNR, di cui dal 1929 divenne Vicepresidente, Parravano così si esprimeva [3]:

La ricerca scientifica è oggi presso di noi quasi esclusivamente affidata ai laboratori universitari, i quali sono spesso congestionati dall’eccessivo lavoro didattico dovuto all’enorme aumento che la popolazione scolastica ha subito negli ultimi anni. D’altronde il gran numero di università e le ragioni storiche e regionali della loro esistenza hanno fatto sì che, malgrado sia venuta crescendo la spesa globale che lo stato sostiene per i nostri istituti superiori, non è stato finora possibile effettuare un concentramento adeguato dei potenti mezzi di indagine di cui si avvale la scienza moderna. Occorre pertanto creare Istituti che abbiano solo finalità di ricerca e nello stesso tempo occorre svegliare le energie dei nostri laboratori universitari e ravvivarne il carattere scientifico che in molti casi è venuto troppo attenuandosi … e perché tutti abbiano a tendersi nel massimo sforzo per la riconquista che il Duce vuole che sia conseguita delle posizioni perdute, la ricerca deve essere disciplinata.

Infine, in un discorso pronunciato nei giorni della presa di Addis Abeba (1936), paragonava il ruolo delle truppe italiane e quello degli scienziati con le seguenti enfatiche parole [4]:

La scienza del tempo fascista non è più creazione astratta ed irreale che ha per fine solo e ultimo la ricerca della verità, ma è principalmente un mezzo di conquista e di utilizzazione di tutte le risorse del paese per assicurare la vita ai suoi figli e potenziarne al massimo la volontà di imperio … lo scienziato fascista è oggi non solo uomo di cultura, ma tecnico applicatore ed individuo etico e politico, e l’opera di lui si integra con quella della Nazione e dello Stato. Egli sente nel suo lavoro le stesse ansie che agitano i soldati e le camicie nere in Africa Orientale, e, abbandonata ogni attitudine agnostica, cerca di creare ordini nuovi così nel campo morale che in quello scientifico e tecnico.

Certo, queste citazioni, e tante altre analoghe, possono essere viste come dovute a retorica. Tuttavia, tenerle presenti nell’esame della attività scientifica di Parravano, anche nella sua veste di Direttore dell’Istituto chimico di via Panisperna, può essere utile per la comprensione di come egli ne organizzò il funzionamento e gestì coloro che furono alle sue dipendenze.

3. Gli assistenti dell’Istituto di Chimica dal 1923 al 1938

Nel passare in rassegna i collaboratori di Parravano nell’Istituto chimico di via Panisperna, si è scelto di considerare soprattutto i suoi assistenti. Certamente anche altri personaggi furono presenti nell’Istituto in quegli anni, senza ruoli ufficiali. Tuttavia, si è preferito limitare questa ricostruzione principalmente a chi ebbe un compito riconosciuto nella struttura e svolse quindi, per periodi più o meno lunghi, funzioni, puntualmente citate negli Annuari dell’Università romana degli anni dal 1923/24 al 1937/38.

Da tale analisi si ricava che gli assistenti, di ruolo, incaricati o volontari, che operarono presso l’Istituto negli anni di direzione di Parravano, furono 32 (vedi Tabella 1).

Per alcuni di essi si hanno molte informazioni, perché la loro carriera universitaria proseguì, alla Sapienza o altrove, e perciò è stato possibile consultare il materiale conservato all’Archivio centrale dello Stato che li riguardava (fascicoli personali, documentazione presentata ai concorsi, etc.).

Altri, dopo il periodo di assistentato, lasciarono il mondo accademico, ma restarono nella ricerca pubblica o privata e si è potuto, quindi, trovare qualche notizia degli sviluppi delle loro successive carriere.

Per molti è stato, inoltre, possibile consultare i necrologi pubblicati su «La Chimica e l’Industria». Solo di alcuni si conosce poco più che il nominativo e qualche scarna informazione ricavabile dai fascicoli personali, comunque conservati presso l’Archivio storico della Sapienza, e dalla ricerca sul web.

Prima di tutto va ricordato come, dal 1919, le cattedre di chimica presso la Facoltà di Scienze MM.FF.NN. della Sapienza fossero ormai stabilmente due. In quell’anno Emanuele Paternò aveva ottenuto lo sdoppiamento della cattedra di Chimica Generale e il trasferimento da Firenze sulla Chimica inorganica di Parravano, suo ex allievo, mantenendo per sé la Chimica organica. Su tale cattedra, nel 1923, al pensionamento di Paternò per raggiunti limiti di età, fu chiamato Guido Bargellini (1879-1963). Questi, dopo essersi diplomato in Farmacia a Siena nel 1900, si era laureato in Chimica a Roma nel 1902. Era stato uno degli ultimi allievi di Cannizzaro e si era occupato, anche lui, nel solco di una ricerca che durava ormai da 40 anni, delle proprietà e della costituzione chimica della santonina. Morto Cannizzaro, le ricerche di Bargellini erano continuate nel campo della chimica organica, sotto gli auspici di Paternò. Chiamato come professore straordinario prima a Cagliari e poi a Siena a partire dal 1920, tornò a Roma nel 1923 come professore al posto di Paternò, grazie anche al prodigarsi dello stesso Parravano, e vi rimase fino alle soglie degli anni ’50, come ordinario, proseguendo la sua attività didattica e di ricerca nel campo della Chimica organica classica, dedito in particolare all’isolamento, alla purificazione e allo studio delle sostanze naturali [5]. Il suo ruolo accademico restò sostanzialmente nell’ombra rispetto a Parravano, anche se i due convissero, per quello che può risultare, in assoluta concordanza di intenti e finalità. Sarà poi Bargellini alla morte di Parravano a prendere su di sé il carico della Direzione dell’Istituto negli anni della Seconda Guerra Mondiale e del successivo dopoguerra.1


Tabella 1: Assistenti dell’Istituto chimico della Sapienza durante la direzione di Nicola Parravano dal 1923/24 al 1937/382

Nome

Cognome

Periodo

Paolo

Agostini

Dal 1927/28 al 1937/38

Tullia

Baldazzi

Dal 1935/36 al 1936/37

Alessandro

Baroni

1937/38

Sergio

Berlingozzi

Dal 1926/27 al 1927/28; Dal 1932/33 al 1933/34

Vincenzo

Caglioti

Dal 1929/30 al 1935/36

Germano

Centola

Dal 1936/37 al 1937/38

Oscar

D’Agostino

1932/33

Felice

De Carli

Dal 1923/24 al 1931/32

Dino

Dinelli

1936/37

Andrea

Ducco

1929/30

Giordano

Giacomello

1937/38

Mario

Giordani

Dal 1930/31 al 1934/35

Antonio

Grippa

Dal 1929/30 al 1935/36

Pietro

Leone

Dal 1923/24 al 1924/25

Francesco

Madesani

Dal 1929/30 al 1931/32

Giovanni

Malquori

Dal 1924/25 al 1931/32

Fabio

Mascalchi

Dal 1923/24 al 1924/25

Carlo

Mazzetti

Dal 1923/24 al 1925/26

Arrigo

Mazzucchelli

1923/24

Giulio

Milazzo

1937/38

Corrado

Minervini

Dal 1935/36 al 1936/37

Paolo

Misciatelli

Dal 1929/30 al 1937/38

Lidia

Monti

Dal 1926/27 al 1937/38

Vincenzo

Montoro

Dal 1925/26 al 1928/29

Biagio

Pesce

Dal 1930/31 al 1937/38

Pedro

Piutti

Dal 1933/34 al 1934/35

Giorgio

Roberti

Dal 1931/32al 1936/37

Cosimo

Rosselli

Dal 1923/24 al 1924/25

Silvano

Merolle

1928/29

Arrigo

Tocchi

1924/25

Filippo

Traetta-Mosca

Dal 1923/24 al 1926/27

Eusebio

Tria

1935/36


3.1 Quelli che c’erano già

Occorre innanzitutto precisare che, tra i 32 assistenti elencati in Tabella 1, quattro, Pietro Leone (1894-1943), Carlo Mazzetti (1890-1958), Arrigo Mazzucchelli (1877-1935) e Filippo Traetta Mosca (1875-1940), erano in realtà presenti nell’Istituto chimico romano da diversi anni e si erano formati nel periodo della direzione di Paternò. In poco tempo, tutti lasciarono la Sapienza per raggiungere altre Università.

Pietro Leone, genero di Emanuele Paternò, si trasferì alla Scuola superiore d’Ingegneria di Palermo, dove insegnò Chimica Industriale, e, nel 1932, vinse il concorso alla Cattedra di Tecnologie Chimico-agrarie.

Arrigo Mazzucchelli vinse nel 1925 il concorso per Chimica Generale all’Università di Messina, ma, dopo tre anni, andò a occupare all’Università di Pisa la cattedra di Chimica Fisica, che era anche il campo in cui svolse le sue principali ricerche, soprattutto centrate sui fenomeni elettrochimici [6].

Filippo Traetta Mosca, che a Roma aveva tenuto per incarico i corsi di Tecnologia Chimico-agraria e poi di Chimica Agraria, nel 1927 vinse la cattedra presso il R. Istituto Superiore Agrario di Portici, per poi passare nel 1939 nella nuova Facoltà di Agraria della R. Università di Bari [7].

Parzialmente diverso fu il caso di Carlo Mazzetti, che Parravano propose a facente funzione di aiuto, al posto di Mazzucchelli per il 1925/26. Mazzetti condivideva con Parravano gli interessi scientifici per leghe ternarie e quaternarie, occupandosi anche dell’uso metallurgico del boro e delle sostanze cementanti. Allorché, nel 1926, vinse il concorso per la cattedra di Chimica Industriale ed Applicata presso l’Università di Padova, Mazzetti fu chiamato alla cattedra di Chimica Industriale presso la Scuola di Ingegneria di Roma, restando alla Sapienza per il resto della sua carriera. Negli anni i suoi interessi si estesero allo studio dei combustibili fossili, delle proprietà e usi dei catrami e degli asfalti e degli sviluppi dell’industria del gas illuminante in Italia [8].

3.2 Quelli che si erano formati in altra Università

Allorché, nel 1919 Parravano arrivò a Roma, portò con sé alcuni giovani laureatisi con lui a Firenze, per costituire un’autonoma linea di ricerca. Essi furono Paolo Agostini, Fabio Mascalchi, Cosimo Rosselli del Turco (1901-1997) e Arrigo Tocchi. Degli ultimi tre, però, la presenza dentro l’Istituto è indicata solo dalla citazione del loro nominativo negli Annuari dell’Università di Roma 1923/24 e 1924/25.

Di Arrigo Tocchi, nato a Salonicco nel 1900 e cessato dal servizio di assistente nel settembre del 1925, non si trova alcuna altra traccia nemmeno in rete. Rosselli del Turco e Mascalchi lasciarono ben presto la carriera universitaria per diventare dirigenti di due industrie chimiche. Il primo avrebbe lavorato presso la Stereol di Brescia, finanziata dalla Società Caffaro, la prima in Italia ad occuparsi della idrogenazione degli oli di pesce e di balena a scopo alimentare e industriale. Mascalchi avrebbe lavorato per molti anni presso la Società Chimica dell’Aniene con sede a Pontemammolo (Roma), che poi, nel 1938, sarebbe diventata consociata della Solvay, con lo spostamento a Rosignano degli impianti per la produzione elettrolitica di soda.

Diverso fu il caso di Paolo Agostini (1895-1938), che per pochi mesi era stato assistente volontario alla Sapienza già nel 1919, lasciando però per diversi anni l’università per motivi familiari. Ritornò all’Università di Roma nel 1927 e vi restò come assistente, e poi aiuto, incaricato di Chimica Analitica, fino al 1938, anno in cui prematuramente morì. Dal punto di vista scientifico, svolse indagini sulla corrosione del ferro, sulla stabilità di alcuni sali doppi e complessi, sulla ricerca in soluzione di anioni e cationi, sull’uso di reattivi organici in chimica analitica, ecc. Scrisse Guida all’analisi chimica qualitativa, un testo che ebbe ampia diffusione per diversi anni dopo la sua morte, a testimonianza delle competenze, quanto meno didattiche, che aveva nel campo della chimica analitica [9].

Un altro degli assistenti di Parravano, morto in giovane età, fu Pedro Piutti (1906-1935), figlio di Arnaldo Piutti (1857-1928), un importante chimico della generazione precedente; per molti anni fu ordinario di Chimica Farmaceutica all’Università di Napoli ed è famoso per i suoi studi sulla separazione, le proprietà, la sintesi in laboratorio e biologica dei due enantiomeri della asparagina [10]. Dopo essersi laureato in Chimica a Napoli nel 1927 e diplomato in Farmacia a Pisa nel 1929, Pedro Piutti lavorò per un breve periodo al Centro Chimico Militare e poi entrò all’Istituto chimico romano. G. B. Marini Bettolo (1915 - 1996) che lo ebbe come suo primo maestro lo ricordò così [11]:

Desidero a questo punto ricordare brevemente l’evoluzione della microanalisi in Italia. Essa è stata introdotta nel 1933 a Roma dall’indimenticabile Dr. Pedro Piutti, che, per interessamento del Prof. N. Parravano, durante il suo soggiorno alla Technische Hochschule di Monaco oltre alle nuove tecniche di sintesi dei pirroli aveva approfondito la microanalisi con il Dr. Unterzaucher. Parravano volle che al suo ritorno a Roma impiantasse un laboratorio di microanalisi. Così vennero a Roma con Piutti le prime bilance Kuhlmann e gli apparecchi di Pregl per il carbonio, idrogeno e azoto.

È possibile notare come alcuni degli assistenti dell’Istituto chimico romano tra il 1923 e il 1938, fin qui citati, non si fossero in realtà laureati a Roma. Estendendo l’analisi agli altri elencati nella Tabella 1, si vede che questi non furono casi isolati. Anche altri assistenti di Parravano si erano formati come chimici in altre università, come Napoli o Milano. Alcuni di essi, in realtà, avevano addirittura già cominciato la carriera universitaria come assistenti in altre sedi prima di arrivare a Roma. Una possibile spiegazione di ciò potrebbe risiedere nel potere accademico di Parravano, che rendeva appetibile per un giovane ambizioso il trasferimento nella capitale, dove avrebbe avuto maggiori occasioni per una brillante carriera. D’altro canto, gli impegni politici e istituzionali di Parravano gli rendevano difficile occuparsi direttamente della formazione scientifica degli allievi. Quindi, poteva essere per lui preferibile prendere giovani già sufficientemente autonomi nella ricerca, da poter intraprendere e sviluppare da soli le linee di studio, comunque indicate dal Direttore. Questa sorta di “campagna acquisti” che Parravano portava avanti, era, di fatto, in genere accettata dai colleghi di altre sedi, che, evidentemente, riconoscevano in lui una leadership sulla comunità chimica nazionale e preferivano non ostacolare la possibilità di emergere, a partire dalla sede romana, dei loro allievi ritenuti da Parravano particolarmente meritevoli. Nel caso di quelli su cui probabilmente più puntava, come Pedro Piutti, Parravano volle che completassero la formazione scientifica, favorendo la loro permanenza, per periodi di tempo più o meno lunghi, presso qualificati laboratori stranieri, a conferma, quanto meno, di una sua lucida consapevolezza della necessità che la ricerca scientifica italiana, anche in campo chimico, dovesse tenersi al passo con le nazioni più all’avanguardia in tale settore.

Di tre assistenti, tutti provenienti da Napoli, a cui le considerazioni appena fatte possono sicuramente riferirsi, Vincenzo Caglioti (1902-1998), Mario Giordani (1899-1966) e Biagio Pesce (1905-1965), si parlerà più oltre, perché le loro figure meritano un’attenzione particolare, visto che, dopo la direzione di Parravano, furono per molti anni, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli ordinari di Chimica della Facoltà di Scienze della Sapienza. Insieme a loro, si parlerà di Giordano Giacomello (1910-1968), proveniente da Padova, che di Parravano fu assistente solo nell’ultimo anno accademico, prima che questi morisse, ma restò nell’Istituto chimico romano durante la Seconda Guerra Mondiale e nel primissimo dopoguerra, prima di divenire, nel 1948, ordinario di Chimica Farmaceutica della Facoltà di Farmacia della Sapienza. Qui di seguito si accennerà, invece, ad altri assistenti di Parravano, provenienti da altre università: Alessandro Baroni, Sergio Berlingozzi, Germano Centola, Andrea Ducco, Corrado Minervini, Vincenzo Montoro, Eusebio Tria.

La vicenda romana di Sergio Berlingozzi (1890-1957) è quanto meno curiosa e mostra il potere accademico a livello nazionale di Parravano, abbastanza disinvolto nel gestire, in base alle necessità del suo istituto, le carriere accademiche dei suoi diretti collaboratori. Berlingozzi, laureatosi in chimica a Siena nel 1913, e lì rimasto come assistente fino al 1922, era poi stato per cinque anni aiuto di Arnaldo Piutti a Napoli. Negli anni accademici 1926/27 e 1927/28 fu trasferito come aiuto di Parravano nell’Istituto chimico romano, dove tale carica, dopo la chiamata di Arrigo Mazzucchelli come ordinario a Messina, era stata affidata, come facente funzioni, a Carlo Mazzetti. Nel novembre del 1928, però, Berlingozzi chiese di tornare a Napoli con il consenso di Parravano che ottenne di nominare, come assistente facente funzioni di aiuto, Felice De Carli. Quando poi, nel 1932, De Carli fu nominato professore a Messina, Parravano richiese di nuovo il trasferimento di Berlingozzi, che quindi fu di nuovo aiuto a Roma per il 1932/33. Alla fine del 1933, Berlingozzi però vinse il concorso di Chimica Farmaceutica all’Università di Siena, dove sarebbe rimasto per molti anni prima di trasferirsi all’Università di Firenze [12].

Il caso di Eusebio Tria (1902-1982) si presta ad analoghe considerazioni, anche se diverso e più semplice. Laureato nel 1931 in Medicina e Chirurgia a Napoli, dopo essere stato per diversi anni assistente di Chimica Biologica, si laureò in Chimica nel 1935. Con la sua venuta a Roma, come assistente di Parravano, il 1° dicembre 1935, si sopperì all’improvvisa scomparsa di Pedro Piutti. Poi, nell’aprile 1937, venne effettuato uno scambio tra due assistenti della Sapienza, Eusebio Tria e Dino Dinelli, laureato in Chimica nel 1931, ma assistente nell’Istituto di Fisiologia Generale, diretto da un altro potente ordinario della Facoltà di Scienze, Sabato Visco (1888 - 1971). Grazie allo scambio, Tria sarebbe diventato assistente a Fisiologia a Roma, fino al 1942, quando divenne ordinario per la stessa disciplina a Ferrara, tornando infine a Roma sulla cattedra di Fisiologia Generale nel 1964. Laureato a Roma, e passato come assistente dall’Istituto di Fisiologia all’Istituto chimico, Dinelli si dimise pochi mesi dopo, alla fine del 1937, per entrare nel mondo dell’industria, dove sarebbe stato, per molti anni, direttore dei laboratori chimici della “Terni-Società per l’Industria e l’Elettricità”, conservando tuttavia una collaborazione con la Sapienza. Per tutti gli anni ’50 del Novecento tenne, come libero docente, vari corsi nella Facoltà di Scienze e poi in quella di Ingegneria.

Degli altri assistenti di Parravano trattati in questo paragrafo, il primo che, in ordine di tempo, ricoprì l’incarico di assistente nell’Istituto chimico, fu Vincenzo Montoro. Laureato in Ingegneria Industriale nel 1923 al Politecnico di Milano, aveva poi svolto ricerche nel campo della metallurgia presso l’Istituto scientifico Breda, di cui Parravano era consulente scientifico. Fu questo, quindi, il canale che lo portò a Roma, dal dicembre del 1925 fino al novembre del 1929, allorché venne spostato, sempre come assistente, sulla cattedra di Tecnologia dei Materiali Aereonautici, facente parte della Scuola di Ingegneria di Roma, tenuta dallo stesso Parravano. Dopo pochi mesi, Montoro si dimise dall’Università romana e tornò come assistente al Politecnico di Milano nell’Istituto di Chimica Fisica e Metallurgica, diretto da Oscar Scarpa (1876-1955).

Scarse sono le notizie su Andrea Ducco (1908-1995), che fu assistente a Roma dal febbraio al novembre del 1930. Brillantemente laureato a Torino nel luglio del 1929, aveva vinto il concorso di assistente al quale aveva partecipato anche Biagio Pesce, la cui carriera accademica romana sarà, come vedremo, ben più significativa. Ducco, però, si dimise dopo pochi mesi per entrare nella società Nobel. Non se ne hanno ulteriori notizie fino al 1945, anno in cui emigrò con moglie e figlio in Brasile, per restarvi, fino alla morte, avvenuta nel 1995.

Informazioni ancora più frammentarie restano su Corrado Minervini che fu assistente incaricato, per nomina del direttore anno per anno, negli anni accademici, 1935/36 e 1936/37. Nel 1931 si era laureato al Politecnico di Milano in Ingegneria Industriale (con votazione non brillantissima) e poi era stato assistente “provvisorio” all’Università di Pavia. Nella lettera di nomina inviata al Rettore dell’Università di Roma, Parravano indicava la necessità di coprire il posto lasciato scoperto da un altro assistente, Mario Giordani, vincitore di cattedra in altra università e, quindi, non più in forza presso l’Istituto. Mario Giordani sarebbe poi tornato alla Sapienza come professore di Chimica Analitica, a partire dal 1940. Dopo il biennio di incarico come assistente, Minervini non ebbe più il rinnovo della nomina da parte di Parravano. Da quel momento non se ne hanno ulteriori notizie.

Sicuramente più significative, nel quadro della chimica italiana, furono invece le figure di Germano Centola (1908-1970) e Alessandro Baroni (1906-1974).

Centola si era laureato nel 1930 presso la Facoltà di Chimica Industriale di Bologna. Alla fine del 1932, Parravano, nella sua qualità di professore di Tecnologia dei Materiali di Aviazione presso la Regia Scuola di Aereonautica, lo indicò come assistente incaricato. Restò alle dipendenze di Parravano fino al 1936/37, allorché fu trasferito, sempre come assistente, all’Istituto chimico. Tenne l’incarico di Chimica Applicata e poi di Chimica Industriale. Morto Parravano, restò ancora alcuni anni a Roma, ma nel 1941 tornò, come assistente all’Università di Bologna fino al 1942, quando venne nominato Direttore della Stazione Sperimentale Cellulosa, Carta e Fibre Tessili[13].

Laureatosi nel 1929 presso l’Università statale di Milano, Alessandro Baroni vi restò per alcuni anni come assistente, fino al 1937/8, quando si trasferì all’Università di Roma. Durante la guerra restò come assistente alla Sapienza, anche se dal settembre 1943 fu per un certo periodo in aspettativa. Ritornato in servizio alla fine della guerra, abbandonò definitivamente la carriera universitaria nel 1947 per dirigere l’Istituto di Ricerche Donegani di Novara [14].

3.3 Quelli che si erano formati alla Sapienza

Naturalmente molti degli assistenti dell’Istituto chimico romano studiarono e si laurearono alla Sapienza. Si è già accennato a Dino Dinelli e in questo paragrafo si parlerà di nove di essi: Oscar D’Agostino, Felice De Carli, Antonio Grippa, Francesco Madesani, Giovanni Malquori, Silvano Merolle, Giulio Milazzo, Paolo Misciattelli, Giorgio Roberti.

Le figure che hanno avuto minore impatto sulla vita dell’Istituto sono state quelle di Silvano Merolle e Francesco Madesani.

Il primo fu chiamato come assistente da Parravano nel febbraio 1929, ma si dimise agli inizi del 1930, in quanto entrò a lavorare presso la “Società meridionale Seta artificiale”, una delle industrie sorte nel napoletano negli anni ’20 del Novecento per la produzione di fibre artificiali.

Poco più lunga fu la permanenza nell’Istituto di Francesco (o Franz) Madesani (1903-1966). Nato a Roma, si laureò in Chimica nel luglio del 1928 con 110/110. Il suo assistentato alle dipendenze di Parravano durò dal gennaio del 1929 fino al luglio del 1932, quando si dimise perché assunto presso il Servizio Chimico Militare. È interessante ricordare che egli era il secondo figlio di Grazia Deledda (1871-1936) e il suo nome compare spesso nei documenti e negli scritti della scrittrice sarda.

Antonio Grippa, Giulio Milazzo, Paolo Misciattelli e Giorgio Roberti, nella diversità delle loro carriere e dei loro interessi scientifici, hanno avuto in comune l’aver lasciato, dopo il periodo di assistentato, la carriera universitaria, senza però perdere completamente i legami con la Sapienza, in quanto vi continuarono a insegnare per molti anni come docenti esterni.

Antonio Grippa, anche se formalmente assistente volontario dell’Istituto chimico diretto da Parravano, era in realtà libero docente di Chimica Farmaceutica e incaricato del corso di Tecnica e Legislazione Farmaceutica presso la Scuola di Farmacia, convertita poi in Facoltà a partire dal 1934. Nella vecchia sede di via Panisperna, l’Istituto chimico e l’Istituto di Chimica Farmaceutica, diretto da Vincenzo Paolini, convivevano nello stesso edificio, su due piani differenti. Grippa mantenne il posto di assistente fino al 1937, ma ancora per molti anni avrebbe proseguito a tenere lo stesso corso come docente esterno.

Giulio Milazzo (1912-1993) si laureò in Chimica nel 1932 con 110/110 e lode. Fu assistente incaricato di Parravano per la cattedra di Tecnologia dei Materiali Aereonautici e poi, dall’anno accademico 1937/38, assistente di ruolo nell’Istituto chimico. Mantenne la posizione anche negli anni della guerra insegnando Elettrochimica. Nel 1942 si dimise, avendo vinto un concorso all’Istituto Superiore di Sanità, ma, come libero docente, continuò e tenere alla Sapienza il corso di Elettrochimica e più oltre anche altri corsi [15]. Dal punto di vista scientifico ebbe fama internazionale in particolare per aver approfondito gli aspetti elettrochimici della biologia. Negli anni ’70 del Novecento scrisse cinque volumi nella serie Topics in bioelectrochemistry and bioenergetics. Un’altra sua opera particolarmente fortunata fu un suo testo di Elettrochimica che ebbe due edizioni italiane e fu tradotto in tedesco, inglese e francese.

Paolo Misciattelli si laureò in Chimica a Roma nel 1925 con 110/110. A Oxford conseguì il PhD e collaborò con Frederick Soddy (1877-1956) nelle ricerche sulla purificazione, l’estrazione e l’analisi di elementi radioattivi e dei loro composti. Tornato alla Sapienza dopo due anni, fu prima assistente incaricato e poi di ruolo, dal 1927 all’inizio del 1934, quando presentò le sue dimissioni. Da allora, tenne come libero docente il corso di Chimica Generale, prima alla Facoltà di Medicina e poi, per molti anni, alla Facoltà di Architettura. Nobile e possidente, non lavorò più in nessun ente, ma dal 1944 alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso fu proprietario e responsabile scientifico di una fabbrica di ceramiche artistiche, sorta a Vasanello, nei pressi di Viterbo, in locali del suo palazzo familiare.

Giorgio Roberti, laureato in Chimica alla Sapienza nel 1926 con 110/110, fu assistente nell’Istituto dal 1930 al 1937, dapprima volontario, quindi incaricato ed infine di ruolo. Dal 1932 ebbe l’incarico di Chimica Fisica e dal 1936 quello di Chimica Industriale. Nell’ottobre del 1937 si dimise dal ruolo di assistente per entrare come dirigente all’AGIP, mantenendo tuttavia anche lui un rapporto con la Sapienza, in cui insegnò materie attinenti alla petrolchimica, come docente esterno nella Facoltà di Ingegneria. Dal punto di vista scientifico fu uno dei massimi esperti di idrogenazione degli idrocarburi negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale [16].

Consultando gli annuari della Sapienza, la presenza presso l’Istituto chimico di Oscar D’Agostino (1901-1975) appare limitata all’anno accademico 1932/33, in qualità di assistente incaricato. Tuttavia, rispondendo ad una lettera del Rettore del 19373, Parravano dichiarava:

È stato mio collaboratore negli anni 1927, 1931, 1933 e 1934. Ha frequentato il laboratorio di M.me Curie a Parigi nel 1935 e successivamente ha collaborato con S. E. Fermi nelle ricerche sulla radioattività artificiale. Attualmente è mio collaboratore nell’Istituto Nazionale di Chimica del Consiglio delle Ricerche. La sua attività di ricercatore e di studioso fa di lui uno dei giovani meglio preparati per la ricerca.

Il passo riportato sottolinea l’importanza scientifica di D’Agostino, che fu come noto l’unico chimico del gruppo guidato da Fermi. Così la vicenda viene ricordata da Marini-Bettolo [17]:

Nel 1933, per iniziativa di O. Corbino ed E. Fermi, D’Agostino ottenne una borsa del Consiglio nazionale delle ricerche per perfezionarsi nella chimica delle sostanze radioattive, allora agli inizi. Dopo un periodo trascorso all’Institut du radium a Parigi, dove aveva approfondito le sue cognizioni nel campo dei radioisotopi, rientrò a Roma. Qui fu associato al lavoro del gruppo di fisici guidato da E. Fermi e formato da E. Amaldi, B. Pontecorvo, F. Rasetti, E. Segrè, nelle ricerche sulla radioattività artificiale da neutroni che si svolgevano presso l’Istituto fisico dell’Università di Roma. Terminato il suo impegno con l’Istituto fisico (1936), il D’Agostino entrò con la qualifica di ricercatore nell’allora nascente Istituto nazionale di chimica del CNR, diretto da Parravano.

Per molti anni fu al CNR, prima con Parravano e poi con Francesco Giordani. Quindi passò all’Istituto Superiore di Sanità dove si occupò di radioisotopi. Dal punto di vista universitario, come libero docente, tenne corsi di Chimica Nucleare, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Per quanto riguarda Giovanni Malquori (1900 - 1967) e Felice De Carli (1901-1965), per un certo periodo di tempo la loro carriera fu parallela. Malquori si laureò nel 1923, De Carli l’anno prima; entrambi furono prima assistenti incaricati e poi, nel 1925, vinsero il concorso ad assistente. Dal 1927 tennero un corso di insegnamento: Malquori insegnò Chimica Fisica, De Carli Chimica Generale per la Facoltà di Medicina. Dal 1928 De Carli venne promosso aiuto di Parravano. Entrambi svolsero ricerche nel campo della chimica inorganica. Malquori si dedicò allo studio chimico fisico degli equilibri che presiedono alla cristallizzazione frazionata di soluzioni complesse. De Carli si interessò in particolare delle leghe contenenti boro o magnesio e delle loro caratteristiche. I due lasciarono la Sapienza nel 1932, avendo vinto un concorso per professore straordinario, Malquori di Chimica Farmaceutica a Catania, De Carli di Chimica Generale a Messina. Per Malquori la parentesi nel campo della chimica farmaceutica durò solo pochi anni. Trasferito all’Università di Napoli dal 1940, passò a dirigere l’Istituto di Chimica Industriale. Da allora i suoi interessi si sarebbero indirizzati allo studio dei cementi e dei materiali di costruzione non metallici. A fianco dell’attività universitaria, fu consulente di molti enti e aziende attive nel settore [18]. De Carli da Messina passò a Perugia, quindi a Bologna e infine di nuovo alla Sapienza alla direzione dell’Istituto di Metallurgia e Metallografia della Facoltà di Ingegneria. Continuò a occuparsi di metallurgia, curandone sia le implicazioni teoriche, sia gli aspetti tecnologici e industriali [19].

3.4 E le donne?

Salta ovviamente agli occhi come finora si sia parlato di assistenti tutti rigorosamente di sesso maschile, anche se le studentesse che nel periodo in esame arrivavano alla laurea in Chimica all’Università di Roma non erano probabilmente pochissime. Nell’annuario dell’Università per l’anno accademico 1934/35 vengono ad esempio elencate 26 donne laureate in Chimica per il 1933/34 su un totale di 65 laureati. Le difficoltà che, nel particolare contesto sociale ed economico, le giovani donne incontravano a iniziare una carriera accademica, soprattutto nelle facoltà scientifiche, sono state studiate ad esempio da Paola Govoni [20]. Qui si daranno alcune notizie sulle uniche due assistenti donne dell’Istituto chimico nel periodo della direzione di Nicola Parravano, che per altro furono in assoluto le prime.

Di una di loro, Tullia Baldazzi (1910-2006), si è trovato solo che fu assistente volontaria presso l’Istituto per due anni accademici, 1935/36 e 1936/37. Si laureò nel novembre del 1934 con 110/110 con una tesi dal titolo “Sulla perdita del magnesio nell’analisi qualitativa sistematica”, come riportato nell’Annuario della Sapienza del 1934/35. Di lei resta una pubblicazione insieme a Paolo Agostini sugli Annali di Chimica Applicata, con lo stesso titolo della tesi e poi niente altro, salvo una lettera, conservata nel suo fascicolo di assistente,4 datata 19 novembre 1937, del Rettore della Sapienza, Pietro De Francisci (1883-1971). Nella lettera le veniva comunicato che il Direttore dell’Istituto non l’aveva confermata nel posto di assistente volontaria per l’anno 1937/38 e, pertanto, essa sarebbe cessata definitivamente dal servizio in data 29 ottobre 1937.

Non sappiamo se dietro questa lettera ci sia un giudizio di Parravano che non la ritenne adatta a proseguire la carriera accademica o cosa altro. Si trovano in rete su di lei scarse ulteriori notizie che la individuano, probabilmente già nell’anno successivo, “seria e benvoluta” insegnante supplente di Scienze presso il liceo di Pisino in Istria. Lì conobbe il Preside, Tommaso Mancini, pugliese, che sposò a Roma nel 1939. Probabilmente restò nell’insegnamento secondario visto che nel sito web, che riporta la sua morte a Siena nel 2006, viene indicata come professoressa.

Decisamente più abbondanti sono le notizie disponibili sull’altra assistente, Lydia Monti (1890-1993), che, in realtà, si era laureata nel 1913 quando l’Istituto chimico era guidato da Paternò e aveva pubblicato alcuni articoli di sintesi e caratterizzazione di sostanze organiche, in collaborazione con Bargellini. Aveva però presto lasciato il mondo della ricerca per lavorare come chimico nell’Ufficio tecnologico del comune di Roma, e, in seguito, presso industrie chimiche private nell’area romana. Rientrò all’Università a partire dal 1927 come assistente incaricata retribuita, ma, dall’anno successivo fino al 1934, la sua qualifica divenne quella di assistente volontaria senza retribuzione. In quegli stessi anni fu nominata assistente alla cattedra di Tecnologia dei Materiali Aeronautici e poi nella Scuola Superiore di Malariologia. Assistente di ruolo nell’Istituto chimico dal 1934, tenne l’insegnamento del corso di Preparazioni Chimiche. La prima parte della sua carriera accademica appare quindi faticosa e lunga, ma alla fine nel 1940 si trasferì a Siena, dove aveva vinto il concorso come professore straordinario di Chimica Farmaceutica all’Università, continuando a operarvi fino alla quiescenza negli anni ’60 del Novecento [21].

3.5 Quelli che restarono

In questo paragrafo saranno trattate le figure di Vincenzo Caglioti, Mario Giordani e Biagio Pesce, tutti provenienti dall’Università di Napoli. Essi furono quelli che restarono nell’Istituto chimico dopo la morte di Parravano e divennero rispettivamente i direttori dei Laboratori di Chimica Generale ed Inorganica, Chimica Analitica e Chimica Fisica. Tali laboratori insieme a quello di Chimica Organica diretto da Bargellini, costituirono la struttura in cui si articolò l’Istituto chimico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, articolazione che, con qualche modifica, giunse fino all’inizio degli anni ’80 del Novecento.

Nato a Soriano Calabro nel 1902 e terminati gli studi superiori in Calabria, Caglioti si iscrisse all’Università di Napoli, al corso di laurea in Ingegneria, passando poco dopo al corso di laurea in Chimica, laureandosi a pieni voti nel luglio del 1924. Cominciò la propria carriera universitaria come assistente nell’istituto di Chimica Generale dell’Università di Napoli, diretto da Ferruccio Zambonini (1880-1932), dove conseguì la libera docenza nel gennaio del 1928. All’epoca aveva già pubblicato qualche decina di articoli su argomenti di Chimica Inorganica e Mineralogica.

Nel 1929, decise di trasferirsi all’Università di Roma, come assistente incaricato nell’Istituto chimico di Via Panisperna, probabilmente perché Parravano era, di fatto, all’epoca, il leader della comunità chimica nazionale, come confermato dalla sua nomina, nel 1929, ad Accademico d’Italia, unico chimico, per diretta disposizione dello stesso Mussolini. Perciò lavorare presso di lui poteva costituire l’occasione per mettersi maggiormente in luce. D’altro canto, per i suoi molteplici impegni istituzionali e politici, Parravano non aveva forse la possibilità di formare pazientemente validi e autonomi allievi, ma, probabilmente, fin dal primo incontro con Caglioti, in occasione del II Congresso Nazionale di Chimica Pura ed Applicata, tenutosi a Palermo nel 1926, vide in lui uno scienziato promettente in grado più di altri di divenire rapidamente il suo braccio destro.

Per prima cosa, Parravano incoraggiò Caglioti a proseguire nella propria formazione scientifica, con un soggiorno in Germania, prima a Francoforte presso G. Sachs (1896-1960), e poi a Gottinga con G. Tammann (1861-1938), offrendogli un contributo da un fondo privato messo a disposizione per la formazione di giovani chimici da Giovanni Morselli (1875-1958), presidente della Carlo Erba. Tornato a Roma dopo aver acquisito particolari competenze nello studio delle leghe e della metallurgia, Caglioti rapidamente salì nelle gerarchie dell’Istituto, divenendo aiuto di Parravano nel 1934.

Commemorando l’antico maestro, nel 1984, Caglioti ricordò dal suo punto di vista alcuni aspetti del proprio rapporto con Parravano, indicativi di alcune caratteristiche della maniera con cui questi dirigeva l’Istituto di via Panisperna [23]:

Esigeva da noi assistenti dedizione assoluta alla ricerca: in compenso ciascuno di noi godeva della sua piena fiducia, e poteva lavorare in un’atmosfera di serenità che ricordava la tranquillità spirituale dell’antico convento di Panisperna. Il nostro compito era produrre scientificamente; ai riconoscimenti, se si meritavano, avrebbe certamente pensato lui con l’intuizione, la tempestività e la fermezza che gli erano proprie. Un bel giorno, infatti, a novembre del 1935, viene nel mio studio, e mettendomi una mano sulla spalla, mi dice che era arrivato il mio turno: preparassi titoli e documenti per il prossimo concorso. Nel 1936 vinco il concorso per Chimica generale a Firenze e, all’inizio del corso resto in quella città per tutta la settimana in cerca di casa. Tornato a Roma il sabato, mi chiama e mi comunica con autorità, ma con benevolenza che non comprendeva questo mio accanimento a cercare casa: era suo intendimento farmi tornare a Roma a Chimica Fisica e avrei dovuto a tal fine rifare un nuovo concorso per quella disciplina. Il che si verificò puntualmente.

Infatti, dopo solo un anno a Firenze, Caglioti, alla fine del 1937, poté tornare come straordinario di Chimica Fisica all’Università di Roma, sulla cattedra che era stata lasciata da Giulio Natta, trasferito al Politecnico di Torino, che l’aveva ricoperta nei due anni accademici precedenti.

Nel caso di Caglioti, la visione accentratrice e totalitaria di Parravano nel programmare il destino dei suoi sottoposti ebbe effetti del tutto favorevoli per l’interessato, ma, probabilmente, come visto in altri casi, non per tutti fu altrettanto solerte e prodigo di sostegno.

Mario Giordani (1899-1966), fratello minore del più noto Francesco, si laureò in Chimica a Napoli nel 1922 e nella città campana fu assistente di Chimica Tecnologica Organica per alcuni anni presso la Scuola di Ingegneria. Nel 1925 si trasferì a Roma, essendo stato assunto come chimico presso il Laboratorio della Direzione Generale della Sanità pubblica [24].

Dal 1928, conseguita la libera docenza in Chimica Farmaceutica e Tossicologica, iniziò a tenere un corso di insegnamento presso l’Università di Roma, Chimica Generale ed Applicata ai materiali da costruzione per studenti di Architettura, probabilmente favorito in questo anche dalla stretta collaborazione istituzionale che il fratello Francesco e Nicola Parravano mantennero costantemente nella loro vita professionale. Nel 1930 Mario Giordani fece un percorso di perfezionamento all’estero recandosi presso il prof. Gabriel Bertrand (1867-1962) nell’Istituto Pasteur di Parigi, dove si interessò di problemi di chimica biologica ed enzimatica. Nel 1931 entrò definitivamente nella carriera accademica come assistente di ruolo nell’Istituto chimico romano, dove rimase fino al 1935, anno in cui vinse la cattedra di Chimica Agraria a Perugia. Sarebbe infine tornato definitivamente a Roma alla fine del 1940, andando a occupare la cattedra di Chimica Analitica5, appena istituita.

Biagio Pesce (1905-1965) nato a Trecchina, in Basilicata, si laureò in Chimica all’Università di Napoli nel 1928. Come Caglioti, fu per un anno assistente di Ferruccio Zambonini, ma l’anno successivo si trasferì a Roma nell’Istituto chimico della Sapienza. Come ricordato, partecipò a un concorso per assistente il cui vincitore risultò Andrea Ducco, ma restò come assistente volontario non retribuito fino al 1934. In questo periodo, trascorse tre anni a Monaco presso il laboratorio di Kasimir Fajans (1887-1975) occupandosi dal punto di vista teorico e sperimentale del comportamento degli elettroliti forti in soluzione acquosa. Dal 1934/35 divenne assistente di Parravano e tenne presso la Facoltà di Ingegneria il corso di Chimica Fisica, materia per la quale conseguì nello stesso anno anche la libera docenza.6

Parravano morì improvvisamente nel 1938 e i suoi disegni per la definizione dell’organigramma dell’Istituto Chimico romano negli anni successivi dovettero, quindi, subire modeste variazioni rispetto a quanto da lui delineato.

Per il 1938/39 la situazione fu temporaneamente sistemata dal Ministero, che dispose la copertura dell’insegnamento della Chimica Generale ed Inorganica della Sapienza con un incarico esterno dato al professore ordinario di Elettrochimica dell’Università di Napoli, Francesco Giordani, mentre Caglioti copriva, come nell’anno accademico precedente, la cattedra di Chimica Fisica. Già nel 1939/40 fu trovata una soluzione diversa, trasferendo Caglioti sulla cattedra che era stata di Parravano e dando, per incarico esterno, la cattedra di Chimica Fisica a Francesco Giordani.

La sistemazione definitiva si ebbe poi nel 1940/41, allorché, avendo Biagio Pesce vinto il concorso per la cattedra di Chimica Generale all’Università di Camerino, la sua preparazione come chimico fisico consentì alla Facoltà di Scienze dell’Università di Roma di chiamarlo a coprire la cattedra di Chimica Fisica alla Sapienza.

In questo paragrafo è inserito anche Giordano Giacomello (1910-1968) che, in realtà, fu assistente di Parravano per pochi mesi, a partire dal novembre 1937. Si era laureato in chimica a Padova nel 1933 e per quattro anni vi era stato assistente, avendo come maestri Arturo Miolati (1869-1956) e Carlo Sandonnini (1884-1961). In questi anni svolse alcuni periodi di formazione all’estero, in particolare fu a Vienna nell’Istituto diretto da Hermann Mark (1895-1992), per apprendere le tecniche di diffrazione dei raggi X. Egli, infatti, fu tra i primi chimici a comprendere l’importanza dei metodi fisici di indagine cristallografica, allora in via di sviluppo, per la determinazione della struttura di complesse molecole organiche. Restò come assistente presso l’Istituto chimico negli anni della guerra e poi nel primissimo dopoguerra, come aiuto di Vincenzo Caglioti, ormai Direttore del Laboratorio di Chimica Generale ed Inorganica. Nel 1948, avendo vinto il concorso come professore per Chimica Farmaceutica e Tossicologica, Giacomello fu chiamato dalla Facoltà di Farmacia della Sapienza [25].7

4. Qualche considerazione conclusiva

Confesso che all’inizio di questa mia ricerca mi ero domandato se alla comunità raccoltasi tra le due guerre mondiali sotto la guida di Parravano potesse essere applicabile la definizione di “seconda scuola romana di chimica”, visto che taluno ha voluto in passato definire “scuola romana” già quell’insieme di chimici che lavorarono a Roma ai tempi della Direzione di Cannizzaro (1872-1910) [26]. Alla fine del presente studio, devo però concludere che la mia domanda era del tutto improponibile. L’idea di “scuola di ricerca”, intesa come un gruppo di scienziati che lavorano in un’istituzione e perseguono un programma di indagine, in associazione con studenti avanzati, introdotta da J. Morrell negli anni ‘70 del Novecento [27] e poi, successivamente, rivalutata e ampliata [28], richiede innanzitutto un connubio tra ricerca e formazione, in cui studenti e insegnanti instaurano un contatto stretto e informale. Inoltre, in genere, le scuole di ricerca, così etichettate dagli storici, sono caratterizzate da una sostanziale omogeneità di metodologie e tecniche di laboratorio utilizzate. Oltre all’esempio classico della scuola di Liebig, altre ne sono state proposte nello studio della storia della chimica o delle altre scienze. Personalmente, trovai molte delle caratteristiche sopra indicate nella nascita della scuola polarografica guidata da J. Heyrovský, dedita, a partire dagli anni ‘20, all’uso della polarografia in moltissimi campi della ricerca chimica. Per anni, il leader scientifico era il primo ad arrivare tutti i giorni all’istituto e a promuovere alla sera, dopo il lavoro, incontri informali davanti a una tazza di the, in cui ciascuno discuteva risultati e dubbi emersi durante la giornata [29]. Parlando di situazioni italiane, è stata giustamente definita una scuola di ricerca quella formatasi a Palermo dal 1860 grazie a Cannizzaro [30], mentre mi pare meno adatta tale definizione per il gruppo di chimici che si riunì a Roma dopo la presa di Porta Pia, attratti dal prestigio dello stesso Cannizzaro. In questo caso, troppo diversi furono i temi, i metodi e gli stili di ricerca usati da chimici che si trovavano a lavorare nella stessa sede, ma che si erano già indipendentemente formati in diverse realtà italiane e straniere (Ciamician, Nasini, Piccini, Villavecchia etc.).

Questa fu una caratteristica comune tra l’Istituto romano ai tempi di Cannizzaro e quello ai tempi di Parravano; ma se, nel primo caso, esisteva la giustificazione dell’impossibilità di poter contare da subito su una base formatasi in loco, data la situazione di totale abbandono che Cannizzaro trovò arrivando a Roma, per Parravano tale giustificazione non può essere addotta, rimanendo, come altra spiegazione, la sua sostanziale difficoltà di fungere da leader sul piano scientifico, per i tantissimi impegni istituzionali e politici, che lo tenevano quasi sempre lontano dall’Istituto e dall’insegnamento, facendogli perdere fatalmente i contatti con l’avanzamento delle ricerche che ognuno portava avanti.

Molti anni dopo, commemorando Vincenzo Caglioti, G. G. Volpi ricordò un raffronto sul diverso andamento dell’Istituto nell’epoca Parravano e nell’epoca Caglioti, fatto spesso dal personale tecnico e ausiliario, che aveva avuto modo di vivere entrambe le situazioni. L’atmosfera scientifica, che al tempo di Caglioti risultava dinamica e stimolante, con un ritmo a volte fin troppo frenetico, non piaceva del tutto ai vecchi dipendenti che rimpiangevano l’ordine che si viveva prima della guerra, quando “le cose filavano come un orologio!” [31]. Credo, in conclusione, che proprio questo ordine, questa disciplina quasi da caserma, finirono per essere la caratteristica, ma forse anche il limite, dell’Istituto chimico romano al tempo di Parravano.

Riferimenti

[1] N. Parravano, L’Industria, 1918, 32, 8.

[2] D. Marotta (a cura di), Atti del II Congresso Nazionale di Chimica Pura ed Applicata, Tipografia Editrice Italia, Roma, 1927, pp. 18-19.

[3] N. Parravano, Gerarchia, 1928, 8(1), 12.

[4] N. Parravano, La Chimica e l’Industria, 1936, 18, 222.

[5] G. B. Marini Bettolo, La Chimica e l’Industria, 1963, 45, 1558.

[6] C. Porlezza, La Chimica e l’Industria, 1935, 17, 186.

[7] A. De Dominicis, La Chimica e l’Industria, 1940, 22, 304.

[8] E. Mariani, La Chimica e l’Industria, 1958, 40, 668.

[9] V. Caglioti, La Chimica e l’Industria, 1938, 20, 630.

[10] F. Calascibetta, 2015; https://www.treccani.it/enciclopedia/arnaldo-piutti_%28Dizionario-Biografico%29/ (ultimo accesso 2 agosto 2023).

[11] G. B. Marini Bettolo, Ann. Ist. Sup. Sanità, 1966, 2 (Fasc. Spec.), 229.

[12] G. Canneri, La Chimica e l’Industria, 1958, 40, 61.

[13] D. Borruso, La Chimica e l’Industria, 1970, 52, 94.

[14] M. Bonicatti, La Chimica e l’Industria, 1974, 56, 733.

[15] V. Caglioti, La Chimica e l’Industria, 1993, 75, 432.

[16] L. Cerruti, La comunità dei chimici italiani nel contesto scientifico internazionale 1890-1940, in A. Casella, A. Ferraresi; G. Giuliani, E. Signori (a cura di), Una difficile modernità. tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia 1890-1940, La Goliardica, Pavia, 2000, pp. 197-255.

[17] G. B. Marini Bettolo, 1985; https://www.treccani.it/enciclopedia/oscar-d-agostino_%28Dizionario-Biografico%29/ (ultimo accesso 2 agosto 2023).

[18] L. Massimilla, La Chimica e l’Industria, 1967, 49, 1107.

[19] P. Spinedi, La Chimica e l’Industria, 1966, 48, 79.

[20] P. Govoni, A Long-term History of Women and the Sciences in Italian Universities, in S. Badaloni, C. A. Drace, O. Gia, M. C. Levorato, F. Vidotto (Eds.), Under-representation of Women in Science and Technology, Quaderni del Comitato Pari Opportunità, Cleup, Padua, 2008, 7, pp. 151-160.

[21] G. Franchi, La Chimica e l’Industria, 1993, 75, 782.

[22] F. Calascibetta, Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL - Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 2017, 135 (Tomo II), 137.

[23] V. Caglioti, Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL - Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 1984, 102, 261.

[24] G. De Angelis, 2001; https://www.treccani.it/enciclopedia/mario-giordani_(Dizionario-Biografico) (ultimo accesso 2 agosto 2023).

[25] V. Caglioti, La Chimica e l’Industria, 1968, 50, 938.

[26] A. Di Meo, Scienza e Stato. Il Laboratorio chimico centrale delle gabelle dalle origini al secondo dopoguerra, Carocci, Roma, 2003.

[27] J. B. Morrell, Ambix, 1972, 19, 1.

[28] G. L. Geison, F. L. Holmes (Eds.), Research Schools: Historical Reappraisals, (Osiris, 2nd Series, 8), University of Chicago Press, Chicago, 1993.

[29] F. Calascibetta, Centaurus, 1997, 39, 368.

[30] C. Colella, R. Zingales, Atti Accademia Pontaniana Napoli N. S., 2013, 52, 191.

[31] G. G. Volpi, Rendiconti Lincei (Supplemento), 1999, serie 9, 10, 53.


1 Nel 1944 Bargellini fu sottoposto a giudizio di epurazione per eventuale coinvolgimento col regime fascista, ma pochi mesi dopo l’alto commissario aggiunto per l’epurazione decise di rinunciare al procedimento.

2 N. B. Nella tabella si considerano gli anni di assistentato di ciascuno a prescindere dalla specifica qualifica (assistente volontario, incaricato, di ruolo, etc.)

3 Archivio storico della Sapienza, fascicolo personale D’Agostino Oscar AS5740.

4 ASS, fascicolo personale Tullia Baldazzi, AS 1465.

5 Non si può non notare una certa ecletticità negli insegnamenti che Mario Giordani ricoprì nella sua carriera universitaria, anche se non va dimenticato che all’epoca le specializzazioni e le specificità di competenze scientifiche erano meno stringenti rispetto ai giorni nostri.

6 Le informazioni su Biagio Pesce sono tratte da: Archivio Storico della Sapienza, fascicolo personale AS 985; Archivio Centrale dello Stato, Ministero Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione universitaria - Fascicoli personali dei professori ordinari 1940-1970 III versamento (inv. 16/049), Biagio Pesce, Busta 371. In AS 985 è contenuto anche il testo dattiloscritto di una commemorazione, pronunciata alla sua morte in una seduta della Facoltà di Scienze MM.FF.NN. da un suo allievo, Giovanni De Maria, a sua volta ordinario di Chimica Fisica alla Sapienza a partire dagli anni ’60 del Novecento.

7 In base alla scelta operata, non saranno trattati altri chimici che non furono nel periodo 1923-1938 assistenti dell’istituto, ma che in qualche forma erano invece già presenti in esso. Basti citarne due: Giovanni Battista Marini Bettolo (1915-1996), che aveva svolto un lungo periodo come studente interno di chimica prima di laurearsi nel 1937 e divenire assistente dal 1938/39, e Guido Sartori (1909-1981) che, laureatosi a Pisa nel 1932, era giunto a Roma presso l’Istituto chimico, ma, avendo ottenuto delle borse di studio per la formazione all’estero, era stato per diversi anni in Germania e in Inghilterra, prima di tornare a Roma a ricoprire il ruolo di assistente, pochi mesi dopo la morte di Parravano.