Giovanni Villani:
L’interpretazione chimica del vivente - Fondamenti sistemici delle scienze della vita
Biblioteca CLUEB, 2023
Recensione di Elena Ghibaudi
Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino
e-mail: elena.ghibaudi@unito.it
Ambizioso e stimolante: ci pare che questi due aggettivi riassumano il carattere del testo che Giovanni Villani ha appena dato alle stampe per la Biblioteca CLUEB. Ambizioso, perché l’autore esce dai confini degli interessi chimici per avventurarsi decisamente sul terreno della biologia, sostenendo la centralità della prospettiva chimica nell’esplorazione del fenomeno vita. Stimolante, perché è un invito a pensare il mondo biologico (e dunque anche noi stessi, in quanto organismi viventi) secondo categorie nuove, largamente ispirate dalla chimica entro una prospettiva complessa (nel senso tecnico e non generico del termine).
Sin dalle prime righe, l’autore dichiara il carattere trans-disciplinare di questo testo, che intreccia concetti, teorie, storie e modalità di pensiero appartenenti ai distinti universi della chimica, della biologia, della biochimica, della fisica e delle rispettive filosofie disciplinari. Non per nulla il testo è inquadrabile a tutti gli effetti come un’opera di filosofia della scienza. La (grande) domanda di fondo che lo ispira è: cosa differenzia la materia inanimata da quella animata?
La tesi sostenuta dall’autore è che sia possibile superare il tradizionale dualismo che separa (in termini più o meno radicali) mondo non vivente e mondo vivente, adottando categorie esplicative derivanti dalla chimica, dalla termodinamica e dall’approccio sistemico alla realtà.
Fin da subito, al lettore viene chiarita la distinzione tra visione riduzionista, olistica e sistemica. Il riduzionismo si focalizza sullo studio delle componenti del sistema che è oggetto di indagine: pertanto esso adotta un approccio analitico, sia sul piano filosofico che metodologico e, di fatto, riduce ogni sistema alla mera somma delle sue parti. Sul piano diametralmente opposto, l’olismo riconduce tutto al concetto di totalità: il sistema è un tutto integrato e come tale va pensato e trattato. Contrariamente al riduzionismo, l’olismo non porta con sé lo sviluppo di uno specifico metodo di indagine; conseguentemente, i suoi contorni restano sfumati ed esso si configura come una prospettiva filosofica di indubbio valore, ma di modesta presa pratica. L’approccio sistemico - secondo l’accezione che Villani attribuisce a questa locuzione - ha il merito di superare questi due limiti attraverso l’assunzione del rapporto dialettico che si instaura tra le parti del sistema e il sistema inteso come un tutto unitario.
Due sono gli assi portanti dell’approccio proposto da Villani: il concetto di sistema e quello di causalità complessa.
Ispirandosi alla vasta letteratura sul tema, l’autore specifica che un sistema va inteso come “un insieme di elementi con interrelazioni specifiche e non lineari tra loro” (p. 18). La sua identità non è univocamente definita dalle parti che lo compongono: ciò che lo istituisce come sistema è la sua organizzazione intesa come “la configurazione delle relazioni tra le parti del sistema, tra il sistema nel suo insieme e le parti e, infine, tra le parti e il tutto” (p. 18).
L’organizzazione del sistema comporta dunque una rete di relazioni che si sviluppano secondo tre direttrici: i) relazioni reciproche tra le parti del sistema stesso; ii) relazioni tra sistema inteso come un tutto e le sue parti costitutive; iii) relazioni tra le parti e il sistema inteso come un tutto. È proprio questa rete di relazioni circolari a configurare una data porzione di mondo materiale come sistema: “È l’organizzazione che dà forma, nello spazio e nel tempo, ad una realtà nuova: il sistema (p. 19). Di conseguenza, il sistema non è decrittabile secondo una causalità lineare: a ciascuna delle tre direttrici sopra elencate deve corrispondere un diverso tipo di causalità: upward (o bottom up, ossia dalle parti verso il sistema), downward (o top down, ossia dal sistema verso le sue parti) e circolare (a indicare che un effetto può modificare la sua causa, divenendo causa della modifica della sua causa, com’è tipico dei meccanismi di retro-azione così comuni nei sistemi biologici).
Un sistema è dunque più, ma anche meno della somma delle sue parti: esso è infatti caratterizzato da proprietà emergenti, che derivano dall’interazione tra le parti e dunque amplificano il significato funzionale (e ontologico) del sistema stesso; d’altra parte, qualsiasi sistema è caratterizzato da vincoli che limitano gli stati possibili sia delle sue parti sia del sistema inteso come un tutto integrato.
Ciò distingue radicalmente il sistema dal semplice aggregato, in conseguenza delle relazioni causali che operano entro il sistema stesso.
Un ulteriore aspetto del sistema che viene evidenziato e approfonditamente discusso nel testo è la sua dinamicità, essenziale per comprendere gli organismi viventi, ma anche i sistemi reattivi oggetto della chimica. Al fine di comprendere questo aspetto, il sistema deve essere indagato in relazione all’ambiente nel quale è immesso. Ciò comporta un’ulteriore complessificazione della prospettiva di studio, che non si limita a considerare i due livelli (parti/tutto), ma implica tre distinti livelli interagenti fra loro (parti/tutto/ambiente).
Rifacendosi alla lezione di Morin, Villani ricorda che “l’idea di sistema non è soltanto armonia, funzionalità, sintesi superiore; essa porta in sé, di necessità, la dissonanza, l’opposizione, l’antagonismo. Ogni sistema la cui organizzazione è attiva è in realtà un sistema in cui sono attivi degli antagonismi” (p. 21). La relativa stabilità di un sistema dinamico nasce dunque da un disequilibrio che viene continuamente compensato.
Il concetto di ente dinamico del quale Villani si serve per discutere sia sistemi specificamente chimici (ad es. una molecola) sia sistemi biologici nelle loro diverse scale dimensionali e temporali (una cellula, una macromolecola biologica, un organismo, ecc.) è una proposta che tenta di superare la dicotomia ente/processo. Esso sembra rifarsi a un approccio filosofico di ispirazione eraclitea (panta rei), opportunamente aggiornato alla luce della visione scientifica odierna. Nell’universo nulla è statico e, dunque, l’identificazione e la definizione degli enti e dei processi di cui si occupa una disciplina o sotto-disciplina scientifica dipendono dall’intervallo spaziale (dimensionale), temporale ed energetico entro il quale ci si colloca. In quest’ottica, l’ente inteso come oggetto statico è una completa astrazione, quando non addirittura un’illusione: “Il punto essenziale filosofico/scientifico è che non tutto si trasforma alla stessa velocità. È proprio la differente velocità di trasformazione delle diverse proprietà degli enti che ci permette di «creare» il concetto di ente, come oggetto statico e indipendente dal tempo. Le differenti velocità di trasformazione determinano la scala dei tempi che, con quella della dimensione e quella dell’energia, ci consentono di separare il «complesso» che si modifica in un «semplice» fatto di una parte statica e una sua dinamica di trasformazione” (p. 12).
Un ente (ad es. una macromolecola proteica) è intrinsecamente dinamico nella misura in cui può modificare sia le proprie relazioni interne (ad es. la propria rete di legami secondari e quindi la sua conformazione), sia le proprie relazioni esterne (ad es. quelle che intrattiene con altri enti simili o con l’ambiente) senza perdere la propria identità. Il concetto di ente dinamico, secondo Villani, ingloba e concilia i concetti tradizionali di ente (definito staticamente) e quello di processo. Ciò ha evidenti conseguenze sia per la chimica (in quanto, per esempio, consente di ripensare la relazione tra atomo e molecola) sia per la biologia (in quanto, per esempio, consente di ripensare il concetto di organismo e quello di omeostasi).
Il vantaggio di tale prospettiva si spinge anche oltre: permette di mettere in luce una caratteristica che è tipica di enti di interesse chimico e biologico, distinguendoli nettamente dagli enti descritti dalla fisica. Ci riferiamo alla individualità degli enti e dunque ad aspetti qualitativi, che in chimica e in biologia sono ineludibili, ma che la fisica esclude in quanto non misurabili. Ecco che, nella sua proposizione di un approccio sistemico alla realtà, Villani tocca un argomento che solleva dibattiti importanti fra i filosofi della scienza e che contribuisce a differenziare la disciplina chimica e quella biologica da quella fisica, rimarcando l’indipendenza epistemologica delle diverse scienze.
A partire da questa ‘attrezzatura concettuale’, presentata nella parte iniziale del libro, l’autore conduce il lettore attraverso una lettura (e una rilettura) di enti, processi e problemi di interesse e pertinenza biologica e biochimica. Ci si avventura così in un viaggio attraverso il concetto di gene e il significato regolativo della modulazione della sua espressione, il rapporto tra strutturistica biologica e chimica supramolecolare, il metabolismo (qui preferenzialmente designato come chimismo cellulare), la sua regolazione dinamica, basata essenzialmente su meccanismi chimici, e le implicazioni di quest’ultima in termini adattativi, le problematiche relative alla trasmissione dell’informazione quando si passa da un organismo unicellulare ad organismi pluricellulari, l’epigenetica, la metagenomica, il concetto di superorganismo e di ecosistema, la biologia sintetica e i tentativi di fabbricare artificialmente la vita secondo approcci bottom-up o top-down.
Nei capitoli finali (VIII e IX) viene poi introdotta la prospettiva termodinamica, con ampio riferimento a Prigogine e alla termodinamica dei sistemi lontani dall’equilibrio. Qui Villani precisa e discute le categorie di sistema aperto e chiuso, unitamente alla distinzione tra sistema all’equilibrio e sistema in stato stazionario dal punto di vista entropico. A pag. 160 si legge: “Riassumendo, i sistemi aperti hanno tutti in comune le seguenti caratteristiche: la possibilità di non tendere a un massimo di entropia, il feedback, l’omeostasi, e una notevole equifinalità.” L’autore ci offre una chiave di lettura a suo avviso decisiva ai fini del superamento della dicotomia tra mondo vivente e non vivente. I sistemi viventi sono sistemi aperti e presentano le proprietà sopraelencate. Ricorrere al concetto di sistema aperto implica il tener conto del ruolo dell’ambiente e della interazione sistema-ambiente, che agisce in modo bidirezionale e risulta imprescindibile ai fini della comprensione del meccanismo di funzionamento dei sistemi viventi. Questa visione si concilia anche con visioni del mondo biologico che privilegiano l’aspetto informazionale: un organismo può essere pensato come un sistema capace di processare informazione. In quest’ottica “Il principio di feedback può essere riferito alle informazioni che sono introdotte nel sistema” (p. 160). D’altra parte, secondo l’autore, queste caratteristiche non sono esclusive del mondo vivente: è possibile interpretare anche sistemi non viventi secondo un’ottica sistemica, che è intrinsecamente dinamica e che tiene conto della relazione sistema-ambiente, dal momento che “il sistema dispone di una rete di interazioni dinamiche interne, nonché di una rete di interazioni dinamiche con altre entità esterne presenti nell’ambiente e con l’ambiente in generale” (p. 197).
In questa prospettiva, Villani sembra suggerire che l’utilizzo del concetto di ente dinamico (strutturato) e di sistema aperto, ossia attivamente interagente con l’ambiente, contribuisca a una migliore problematizzazione del fenomeno vita: “Collegare la vita ad un set di stati di un sistema aperto con una specifica proprietà globale consente di superare sia la vita come singola proprietà emergente sia seguire la trasformazione del sistema e la perdita di questa proprietà” (p. 112).
Come è possibile intuire da questa breve presentazione, il testo di Villani tocca un ampio spettro di problematiche, principalmente di natura biologica, utilizzando gli strumenti concettuali della chimica per formulare possibili percorsi di indagine e proporre una rilettura della distinzione tra mondo animato e inanimato al confine tra scienza e filosofia.
Il testo presenta molte riflessioni originali, che si estendono anche oltre la problematica biologica. Particolarmente interessanti le osservazioni relative alla diversa concettualizzazione delle trasformazioni della materia secondo la fisica e la chimica: “La coppia concettuale trasformazione/transizione sintetizza la differenza tra l’approccio fisico e quello chimico, al problema concettuale delle reazioni” (p. 15). Secondo Villani, laddove la fisica vede una transizione tra due stati di uno stesso sistema, la chimica individuerebbe un passaggio da un sistema ad un altro.
Ugualmente stimolante la riflessione secondo la quale “in chimica e in biologia, la scarsezza di leggi specifiche è spesso supportata da un ruolo preponderante dei concetti. In base ad un’accezione radicalmente diversa del ruolo dei concetti in queste due discipline, essi possono diventare analoghi per forza euristica a leggi. L’indagine scientifica in queste discipline, infatti, usa questi oggetti concettuali come degli invarianti.” (p. 31).
Ancora, in relazione alla diversa natura delle leggi fisiche rispetto a quelle chimiche, Villani sostiene che queste ultime “riguardano la costituzione piuttosto che il comportamento degli enti materiali e tali leggi hanno un limitato valore euristico ed esplicativo. Non sono leggi di necessità, ma norme limitative” (p. 29). Quanto alle leggi biologiche, egli segnala che in biologia non esistono leggi prescrittive, ma unicamente di tipo proscrittivo: “vincoli d’impossibilità” (p. 30); ciò segna una sostanziale distinzione tra la lettura del mondo naturale offerta dalla fisica e quella offerta dalla biologia.
Avviandoci alla conclusione, non possiamo non osservare che un testo di questa ricchezza si presta a robuste discussioni e non manca di sollevare questioni problematiche, considerata la rilevanza del tema di cui si occupa.
Sul piano concettuale, ci pare particolarmente interessante il discorso sulla causalità complessa e sulla sua natura non lineare. Parlare di causalità in relazione agli organismi viventi comporta fare i conti con un elefante nella stanza: il finalismo. L’argomento è notoriamente spinoso, in quanto si tende a considerare la causalità finale come questione di pertinenza metafisica, quando non esplicitamente religiosa. E così, il finalismo in biologia viene generalmente taciuto in nome di un malinteso, che lo farebbe coincidere con concezioni religiose quali l’Intelligent Design. Di fatto, Villani ci ricorda che perfino Monod, nell’elencare le proprietà generali degli esseri viventi cita la teleonomia (p. 110). Altre grandi figure della biologia (ad es. Szent-Gyorgy) riconoscono questa necessità concettuale, in quanto - sono ancora parole di Monod - i viventi sono oggetti dotati di un progetto (p. 110) e, aggiungiamo noi, tutta la loro organizzazione è finalizzata al mantenimento di quello stato stazionario che chiamiamo omeostasi. Se guardiamo al pensiero filosofico, e in particolare ad Aristotele, notiamo che egli contempla quattro tipi di causalità, tra i quali la causa finale, senza attribuire a essa alcuna connotazione religiosa. Viene spontaneo chiedersi se la biologia non potrebbe trarre beneficio da un approccio più laico e meno timoroso rispetto alla questione della causalità, proprio ispirandosi alla lezione di Aristotele.
Sul piano più strettamente formale, notiamo che in vari punti del testo vengono utilizzati concetti che richiederebbero di essere definiti, in quanto suscettibili di varie interpretazioni. Ad esempio, il termine complessità e l’espressione grado di complessità (alquanto problematica!), così come il concetto di ordine, che riteniamo controverso in quanto antropomorfo.
Infine, un dettaglio tipografico: a pag. 150 e 157 è saltata la scrittura esponenziale di alcuni numeri. Così 1013 è diventato un incongruo 1013, un 107 è diventato un 107.
La ricchezza di citazioni e riferimenti proposti dall’autore è un valore aggiunto di questo testo. Tuttavia, considerando che in più parti si rivendica la maggior potenza interpretativa della chimica nei confronti del fenomeno vita rispetto alla fisica, stupisce non trovare alcuni riferimenti ai lavori di chimici che si sono occupati di problematiche analoghe, in particolare per quanto riguarda l’origine chimica della vita e la caratterizzazione chimica degli organismi. Ci riferiamo ad autori quali Robert J. Williams e al suo concetto di chemotipo - anche in rapporto all’evoluzione biologica - o a testi più recenti quali A world from dust, di Ben McFarland, la cui visione potrebbe ben conciliarsi con quella esposta da Villani.
In conclusione, il lettore avvisato avrà reperito in questo testo molti riferimenti a precedenti opere dello stesso autore: quest’opera si configura come una stimolante summa, che offre una visione complessiva e unitaria della riflessione filosofica sviluppata negli anni da Villani. In particolare, troviamo in queste pagine un valido e interessante tentativo di incarnare la prospettiva complessa in un approccio scientifico che passa per la chimica, intesa come scienza intrinsecamente complessa.
La posizione di Villani rispetto ai fenomeni biologici è ben esplicitata nelle pagine conclusive del suo testo: “La vita è la proprietà emergente che interconnette i piani chimici delle molecole e delle macromolecole alle funzioni globali che tali componenti, raggruppati e organizzati, svolgono in un altro piano, quello biologico. Non esiste, quindi, nella mia ottica nessuna nuova biologia da creare che sorpassi il piano molecolare e macromolecolare” (p. 171).
La questione che Villani affronta in questo libro è filosofica, prima ancora che scientifica: l’élan vital di cui parlava Bergson è un epifenomeno, un’emergenza o un fenomeno di natura ontologicamente distinta dai meccanismi e dalle relazioni che lo rendono possibile? La risposta dell’autore va decisamente nella direzione della continuità tra mondo vivente e non vivente. Che si concordi o meno con questa posizione filosofica, la lettura del testo costituisce un intelligente stimolo alla riflessione per tutti coloro che subiscono il fascino di quel misterioso fenomeno che prende il nome di vita.
Da ultimo, non possiamo non sottolineare il potenziale didattico di questo libro: esso offre agli insegnanti molti strumenti atti a delineare gli intrecci esistenti tra la biologia, la chimica e la filosofia intorno al tema della vita intesa non solo come zoé, ma come bìos. Così facendo, Villani ci suggerisce che è possibile ampliare lo sguardo su questo argomento, superando la tradizionale trattazione scolastica e aprendosi all’universo esistenziale degli allievi.