Plagio ovvero i mediocri copiano…
Renato Noto
professore emerito di Chimica Organica dell’Università di Palermo
e-mail: renato.noto@unipa.it
Abstract. Among the ethically improper activities that damage Science, plagiarism is that which is committed to the detriment of another by taking some or in toto his work or even an idea.
In this paper I give a brief discussion of how to avoid the indictment of plagiarism and then, demonstrating how insidious this crime can be. A few well-known examples show how the work of distinguished scientists has, in some cases, been considered a form of plagiarism.
Keywords: etica; plagio; scienziati illustri
Negli ultimi anni il numero di ricercatori operanti nel mondo è aumentato notevolmente come conseguenza della comparsa nel mondo scientifico di realtà come quella cinese, indiana e coreana. L’aumentato numero di ricercatori ha comportato un ovvio aumento del numero delle pubblicazioni scientifiche, questo aumento è stato anche maggiore del previsto perché, per poter progredire nella carriera e per poter ottenere finanziamenti, ogni ricercatore è costretto a pubblicare (publish or perish). Il grande aumento del numero delle pubblicazioni ha comportato un minor controllo della qualità delle stesse e, fatto ancora più grave, della loro attendibilità. La comunità europea nel 2011 ha emanato un codice di condotta europeo per l’integrità della ricerca, rivisto successivamente nel 2017 [1]. In questo documento si legge, tra l’altro, che l’attività fraudolenta e/o la cattiva condotta nella ricerca può ricondursi a tre forme: fabrication, falsification, plagiarism. Questi termini specificatamente significano (1) inventarsi dei risultati e registrarli come se fossero reali (fabrication); (2) manipolare la ricerca, modificare o omettere dati rilevanti (falsification); (3) appropriarsi di lavoro o idee altrui senza farne menzione (plagiarism).
L’American Chemical Society (ACS) nel 2015 ha emanato, sul modello di quanto precedentemente fatto dalla Society for Industrial and Applied Mathematics: Authorial Integrity in Scientific Publication, le linee guida per gli autori che volessero sottoporre i loro scritti alle riviste della società. Ben otto dei quindici punti sono in qualche modo riferibili ad aspetti riguardanti il plagio [2].
Fabrication e falsification sono due comportamenti eticamente scorretti che danneggiano l’immagine della ricerca e dei ricercatori; il plagio (plagiarism), però, non solo danneggia l’immagine della ricerca, ma è un reato commesso nei confronti di una persona e la sua gravità è testimoniata dal fatto che è perseguito dal Codice penale (legge 475/25). In questo breve articolo scriverò di quest’ultima attività eticamente scorretta.
Anche se la capacità di imbrogliare è segno di acutezza e di potere, l’intenzione di imbrogliare è senza dubbio segno di cattiveria o di debolezza
Cartesio
Nella XII edizione del vocabolario della lingua italiana lo Zingarelli il plagio viene definito come: appropriazione, totale o parziale, di lavoro altrui, letterario, artistico, e sim., che si voglia spacciare per proprio [3]. Il plagio consiste nell’appropriarsi non solo delle parole di un altro, come avviene quando si copia uno scritto in tutto o in parte, ma anche di idee o altri tipi di informazione, come quando si riassume o si riporta con le proprie parole il contenuto di un testo senza indicarne la fonte. Bisogna comunque sottolineare che malgrado la gravità del reato c’è spesso una certa tolleranza riguardo a coloro che si rendono colpevoli di tale azione. Negli ultimi anni la cronaca ha riportato casi di ministri coinvolti in tale reato per aver copiato ampie parti della loro tesi di dottorato. In alcuni casi ciò ha portato alle dimissioni del colpevole, in altri casi, dopo il clamore iniziale, nessuna iniziativa sanzionatoria è stata presa.
Alcune volte il plagio scaturisce dall’ingenuità di chi lo commette, al quale non è chiaro come deve comportarsi con quanto esiste in letteratura e che ritiene utile o indispensabile per la stesura del proprio elaborato. Vedremo fra poco quali sono le regole che si devono rispettare per evitare di essere accusati di plagio. Non può essere attribuito a ingenuità il copiare pedissequamente interi paragrafi o capitoli di opere esistenti in letteratura. È altresì plagio volontario copiare o tradurre intere parti di pubblicazioni esistenti in letteratura cambiando qualche parola o la costruzione delle frasi, attribuendosi la paternità dello scritto. Un caso clamoroso di plagio è quello che ha visto protagonista Elias A. K. Alsabti (1954-1990) il quale copiò alcune decine di pubblicazioni scientifiche di area medica attribuendosene la paternità [4].
Oggigiorno l’esistenza di programmi idonei a individuare quanto di un elaborato possa essere ritenuto copia di pubblicazioni esistenti dovrebbe scoraggiare coloro che intraprendono le azioni descritte precedentemente.
Qual è il corretto comportamento di chi vuole utilizzare ciò che esiste in letteratura e che ritiene utile per la stesura del proprio elaborato?
In molti siti universitari sono riportate le istruzioni, di seguito riassunte, a cui ci si deve attenere per evitare di commettere plagio.
Bisogna riportare tra virgolette e anche in corsivo le citazioni testuali copiate o tradotte letteralmente. Se queste sono eccessivamente lunghe, è meglio usare una formattazione speciale. Inoltre, è necessario riferire la fonte delle citazioni indicando l’autore, il testo, la pagina e tutti gli estremi utili a identificarla. Costituisce plagio anche parafrasare o riassumere un testo, riportare un’idea altrui senza indicare la fonte.
A questo punto è lecito porsi la domanda: è sempre necessario indicare la fonte? Se in uno scritto si riporta la frase: nel mezzo del cammin di nostra vita …, è necessario, in questo caso, riportare la fonte? Vi sono delle frasi, dei concetti che sono entrati nella vita comune o che si trovano nei libri di testo scolastici, che possono essere considerati ovvi; in questi casi non è necessario citare la fonte. Se da chimico scrivo che fra due atomi esiste un legame covalente, non è necessario riportare il riferimento bibliografico relativo al legame covalente.
Un altro caso da considerare è quando ciò che si riporta non è stato consultato direttamente, ma è stato ricavato da una rassegna bibliografica o qualcosa di simile. In questo caso bisogna fare riferimento a entrambi gli autori, sia il riferimento bibliografico relativo a chi ha prodotto il dato o l’idea, sia quello della rassegna da cui si è ricavata l’informazione. A questo proposito, soprattutto nella vita comune, succede di citare qualcosa attribuendola, in buona fede, a chi quella citazione l’ha resa nota ai più. Due esempi, abbastanza conosciuti, mi vengono in mente. La prima frase è: “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”; la frase è comunemente attribuita a Giulio Andreotti il quale, in realtà, non ne riconobbe mai la paternità che dovrebbe essere di papa Pio XI. La seconda frase è: “I buoni artisti copiano i grandi artisti rubano”; questa frase Steve Jobs l’attribuì a Picasso; in realtà lo stesso concetto è stato espresso, anche se in forma leggermente diversa, da molti altri [5].
Un altro aspetto relativo al plagio che vorrei sottoporre e che ci dovrebbe far riflettere compare in una intervista rilasciata dal filosofo Gianni Vattimo in difesa di Umberto Galimberti accusato di plagio: “… si scrive anche a distanza di anni dalla lettura”; “Il sapere umanistico è retorico”; “Capisco se fossimo scienziati in corsa per il premio Nobel” [6]. Non sono d’accordo col fatto che regole diverse devono valere per i cultori delle scienze umane e per gli scienziati. Sono d’accordo sulla prima frase, nel senso che spesso si esprime un concetto dopo anni che si è letto qualcosa, si è persa la nozione che l’idea che si sta esprimendo non è originale, ma letta o ascoltata da qualche parte, metabolizzata, forse in qualche modo rielaborata e in tutta onestà fatta propria. A questo proposito è istruttiva la storia del legame a idrogeno [7].
La paternità del legame a idrogeno è attribuita a Wendel M. Latimer (1893-1955) e Worth H. Rodebush (1887-1959); i due ricercatori nel 1920 scrivevano di un nucleo di idrogeno tenuto tra due ottetti e ciò costituiva un debole legame [8]. I due ricercatori nella loro pubblicazione in una nota a piè di pagina scrivono che Maurice L. Huggins (1897-1981), dottorando presso il loro stesso laboratorio, affermava che in alcuni composti organici l’atomo di idrogeno era tenuto tra due atomi. In realtà il primo a considerare la possibilità che un atomo di idrogeno potesse essere condiviso fra due atomi era stato Giuseppe Oddo (1865-1954), il quale nel 1907 scriveva “… un atomo di idrogeno trovandosi vicino a due elementi polivalenti, possa dividere tra essi la sua valenza, assumendo posizione di equilibrio stabile mediana …” [9]. In realtà, a ben vedere, in questo caso, nessuno ha commesso plagio, nel senso che nessuno dei tre ricercatori statunitensi si è appropriato dell’idea spacciandola per propria. Ho ritenuto opportuno e importante riportare quanto sopra scritto per mostrare che è possibile che, senza dolo, un’idea già espressa da qualcuno possa essere attribuita a persona diversa. Nel caso precedente c’è anche da dire che purtroppo Oddo pubblicò la sua brillante idea in una rivista marginale e in una lingua poco conosciuta nel mondo scientifico.
Una serie di casi storici, più o meno noti, hanno visto protagonisti illustri scienziati coinvolti spesso in aspre polemiche riguardanti la paternità di una idea. I personaggi, i fatti sotto riportati e tanti altri non riportati (ad esempio, vedi Meucci-Bell) sono, a mio parere, indice di quanto possa essere “subdolo” il reato di plagio.
Una disputa storica di grande interesse è quella che vide protagonisti Sir Isaac Newton (1642-1727) e Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). La disputa riguardava a quale dei due spettasse la priorità dell’idea del calcolo infinitesimale, e fu combattuta in gran parte da insignificanti comprimari che circondavano i due grandi protagonisti. Tra questi comprimari si distinsero Nicolas Fatio de Duillier (1664-1753) e John Keill (1671-1721) che accusarono Leibnitz di plagio. Apparentemente, Newton, almeno inizialmente, non si mostrò coinvolto, ma probabilmente, anche tenendo conto che, come uomo, era considerato moralmente discutibile, crudele, vendicativo e altro ancora, sfruttò la carica di presidente della Royal Society per influenzare in suo favore la decisione della commissione, istituita da detta Società. Oggigiorno sembra acclarato che Newton fu il primo che sviluppò l’idea del calcolo infinitesimale (da lui detto metodo flussionale), ma Leibnitz fu il primo che lo pubblicò dandogli una struttura e una formulazione molto più evoluta [10].
Uno scontro differente dal precedente è quello che coinvolse due valenti scienziati come Sir Humphry Davy (1778-1829) e Michael Faraday (1791-1867). Faraday pubblicò un lavoro su un prototipo di motore elettromagnetico senza riconoscere i meriti del suo mentore Davy con cui aveva discusso di questa idea. Le rimostranze di Davy indussero Faraday a sospendere le ricerche in ambito elettromagnetico sino alla morte di Davy [11].
Nei libri di testo di chimica organica è riportato comunemente che la struttura ciclica del benzene fu proposta nel 1865 da Friedriche A. Kekulé von Stradonitz (1829-1896); in realtà, nello stesso anno e indipendentemente, il chimico scozzese Archibald S. Couper (1831-1892) pubblicò una struttura ciclica del benzene. Ma l’idea che composti organici potessero assumere una struttura ciclica non era assolutamente nuova; infatti, in un testo di Auguste Laurent (1807-1853), pubblicato postumo nel 1854, compare una struttura ciclica esagonale del cloruro di benzoile, mentre nel 1861, in un testo di Johann J. Loschmidt (1821-1895), sono riportate varie strutture cicliche e il residuo fenilico è rappresentato come ciclico. Quindi, l’idea di Kekulé non era assolutamente originale e, per di più, Kekulé era a conoscenza sia del testo di Laurent sia del lavoro di Loschmidt [12].
Un’altra disputa fra maestro e allievo è quella fra Philippe A. F. Barbier (1848-1922) e F. A. Victor Grignard (1871-1935). Barbier nel 1899 pubblicò la sintesi di un alcol terziario facendo reagire un chetone con ioduro di metile e magnesio; successivamente incaricò il suo allievo Grignard di migliorare la reazione. Grignard fece reagire in un primo tempo lo ioduro con il magnesio, ottenendo quello che oggi è conosciuto come reattivo di Grignard, e successivamente con il chetone. Grignard fu insignito del premio Nobel per la Chimica nel 1912 e, come scrisse a un amico, avrebbe preferito che gli fosse stato assegnato insieme a Barbier, riconoscendo così implicitamente il fondamentale contributo di quest’ultimo [13].
Di notevole interesse è la disputa che vide coinvolti nei primi anni ‘20 del secolo scorso Sir Robert Robinson (1886-1975), premio Nobel per la Chimica nel 1947, e Sir Christopher K. Ingold (1893-1970). La competizione riguardava la spiegazione dell’effetto dei sostituenti sull’orientamento nella sostituzione elettrofila aromatica (SEAr). Ingold si rifaceva al modello di Bernard Fluerscheim (1874-1955) basato sull’idea delle valenze parziali, mentre Robinson sposava l’idea dello scozzese Arthur Lapworth (1872-1941) che all’estremità di una molecola esistessero polarità opposte. Bisogna notare che in quel periodo gli elettroni non avevano ancora fatto la loro comparsa nei ragionamenti dei chimici organici. Alla ricerca di un substrato opportuno che potesse dirimere la questione di quale modello fosse preferibile, Ingold studiò la nitrazione della N,N-diacetilbenzilammina. Se questo substrato fosse stato nitrato in posizione meta l’idea di Fluershcheim sarebbe risultata quella corretta, viceversa si sarebbe dovuto accettare il modello sostenuto da Robinson. Ingold annunciò con grande enfasi l’ottenimento nei suoi laboratori del meta derivato. Robinson, convinto della giustezza della sua idea, che nel frattempo aveva adeguato alla struttura elettronica del benzene e riconsiderato in base ai flussi elettronici, ripeté l’esperimento, trovando che si ottenevano in modo prevalente gli isomeri orto/para; pertanto, la sua idea era quella corretta. L’aspra disputa terminò nel 1926 quando Ingold scrisse a Robinson annunciandogli che si era convinto della correttezza del suo modello. Robinson aveva vinto la disputa, tuttavia, la capacità di Ingold nel sistematizzare i dati, la sua chiarezza nello scrivere e trovare mezzi appropriati di comunicazione ebbero la meglio rispetto al linguaggio di Robinson più difficile da comprendere [14]. Tutto ciò ha avuto come risultato che il padre dei meccanismi di reazione e delle teorie elettroniche che li spiegano è da tutti considerato Ingold, autore del testo Structure and Mechanism in Organic Chemistry [15]. Concludo su questa controversia riportando la domanda retorica che si pose il premio Nobel per la Chimica Derek A. K. Barton (1918-1998): “Perché Ingold non ricevette il premio Nobel?” La risposta che lo stesso Barton dà è che Robinson si oppose fortemente e usò la sua influenza e le sue amicizie per impedire che a Ingold fosse dato il giusto riconoscimento per il suo eccezionale contributo all’affermarsi della chimica organica dei meccanismi di reazione [16].
Robinson da “vittima” a “carnefice”. Nel 1947, Robert B. Woodward (1917-1979), premio Nobel per la Chimica nel 1965, e Robinson cenarono insieme in un ristorante di New York. Durante il pasto Woodward disse a Robinson di aver riflettuto sulla struttura della stricnina. Dal momento che Robinson aveva un gruppo di una quindicina di ricercatori concentrati su questo argomento, dovette ammettere che il problema era interessante. Woodward chiese a Robinson cosa pensasse della “sua” struttura della stricnina e disegnò sulla tovaglia di carta quella che era la sua idea. Robinson la guardò per un po’ e affermò: “Questa è spazzatura, una vera spazzatura!” Così, da allora, Woodward la chiamò “formula della spazzatura” e fu davvero molto sorpreso nel vedere, un anno dopo su Nature, che questa era anche la formula dedotta alla fine da Robinson [16].
Gli studi sulla fissione nucleare dell’uranio erano iniziati a Berlino, negli anni ‘30 del XX secolo, e avevano coinvolto, fra gli altri, la fisica teorica Lisa Meitner (1878-1968) e il chimico Otto Hahn (1879-1868). L’ebrea Meitner, a seguito delle leggi raziali, fu costretta a emigrare in Svezia, ma anche da lì continuò a collaborare col gruppo in Germania. Hahn, che aveva assunto la direzione del gruppo, iniziò una campagna volta a dimostrare che la scoperta era essenzialmente chimica sminuendo il contributo degli altri e soprattutto della Meitner. Nel 1939, indipendentemente, pubblicarono risultati relativi alla disintegrazione dell’uranio con neutroni: la Meitner trattò l’aspetto teorico, Hahn riportò il risultato chimico [17].
Nel 1944 il premio Nobel per la Chimica fu assegnato a Hahn e nessuna menzione fu fatta circa il contributo della Meitner [18]. Il valore della Meitner come scienziata e il riconoscimento del suo contributo agli studi sulla fissione nucleare si possono desumere dal fatto che all’elemento con numero atomico 109 è stato dato il suo nome: Meitnerio (Mt).
Un ultimo esempio di plagio, nel senso di “furto” di dati altrui, è quello che riguarda James D. Watson (1928) e Francis Crick (1916-2004). I due pubblicarono su Nature, nel 1953, un articolo nel cui testo inserirono una figura con la struttura a doppia elica del DNA. Gli autori non diedero il minimo rilievo al lavoro del biochimico Erwin Chargaff (1905-2002), che nel 1950 aveva determinato per il DNA il rapporto 1:1 fra adenina e timina, e fra guanina e citosina, e non citarono neanche il lavoro di Rosalind Franklin (1920-1958) che aveva effettuato le misure ai raggi X del DNA. Le lastre relative a tali misure erano state mostrate, all’insaputa della Franklin, a Watson da Maurice H. F. Wilkins (1916-2004). La fotografia era la conferma dell’ipotesi della doppia elica che Watson e Crick avevano elaborato. Watson, Crick e Wilkins ebbero il Nobel per la medicina nel 1962 [19]. Nessun riconoscimento ebbe la Franklin che nel frattempo era deceduta.
Gli esempi riportati mostrano che tranne i casi di furto totale (Alsabti) o parziale (Hahn) del lavoro altrui, di appropriazione di un’idea altrui (Robinson), in altri casi possiamo parlare di rielaborazione in modo originale di dati altrui (Watson e Crick), o di valorizzazione di idee e/o di dati altrui (Liebnitz, Grignard, Ingold) per cui è difficile, a mio parere, parlare di plagio in senso stretto. Ritengo utile e istruttivo considerare ciò che diceva il premio Nobel per la Fisica Erwing Schrödinger (1887-1961): “Il compito non è tanto di vedere ciò che nessun altro ha ancora visto, ma pensare ciò che nessun altro ha ancora pensato, riguardo a quello che chiunque vede.” A tal proposito, in una lettera di Augusto Righi (1850-1920) a Emanuele Paternò (1847-1935), il primo dichiarava che la scoperta delle onde radio era sua, ma riconosceva a Guglielmo Marconi (1874-1937) l’intelligenza di aver saputo trarre l’applicazione pratica [20].
[1] The European Code of Conduct for Research Integrity Revised Edition Published in Berlin, 2017, by ALLEA-All European Academies.
[2] Ethycal guidelines to publication of chemical research, J. Am. Chem. Soc., 1994, 116, 8A-10A.
[3] N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1999.
[4] W. J. Broad, Science, 1980, 208, 1438-1441.
[5] P. Trellini, https://www.ilpost.it/pierotrellini/2017/12/23/la-frase-sugli-artisti-rubano/
[6] Intervista di Pierluigi Panza, Corriere della Sera del 23/04/2008.
[7] D. Quane, Bull. Hist. Chem., 1990, 7, 3-13; D. A. Smith, ACS Symposium Series; American Chemical Society, Washington, DC, 1994.
[8] W. M. Latimer, W. H. Rodebush, J. Am. Chem. Soc., 1920, 42, 1419-1433.
[9] G. Oddo, Gazzetta Chimica Italiana, 1907, 37, 83-105.
[10] G. Cantelli, La disputa Leibnitz-Newton sull’analisi, Bollati Boringheri, Torino, 2006; C. Djerassi, Calcolo, Di Renzo Editore, Roma, 2006.
[11] F. Bagnoli, R. Livi, Substantia, 2018, 2(1), 121-134.
[12] J. I. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico dal ‘600 ai giorni nostri, E. S. T. Mondadori, Milano, 1976, 233.
[13] R. K. Dieringer, H. North, D. Lewis, Synform, 2018/10, A155-A159.
[14] T. M. Brown, A. T. Dronsfield, P. J. T. Morris, Education in Chemistry, 2003, 40, 129-134, Traduzione di P. Mirone, CnS, 2004, 3, 78-82; M. D. Saltzman, J. Chem. Education, 1980, 57, 484-488; L. Cerruti, VIII Convegno Nazionale di Storia e Fondamenti della Chimica, Arezzo, 28-30 ottobre, 1999.
[15] C. K. Ingold, Structure and Mechanism in Organic Chemistry, Cornell University Press, Ithaca, 1953.
[16] D. H. R. Barton, Bull. Hist. Chem., 1996, 19, 43-47.
[17] O. Hahn, F. Strassmann, Naturwissenschaften, 1939, 27, 11-15; L. Meitner, O. R. Frisch, Nature, 1939, 143, 239-240.
[18] R. L. Sime, J. Chem. Education, 1989, 66, 373-376, dalla Relazione presentata da G. Marino, al VII Convegno Nazionale di Storia e Fondamenti della Chimica, L’Aquila, 8-11 ottobre 1997.
[19] L. Cerruti, La Chimica e l’Industria, 2003, 85, 59-64.
[20] M. de Condé Paternò di Sessa, O. Paternò di Sessa (a cura di), Emanuele Paternò di Sessa. Dall’esilio alla fama scientifica, Gangemi Editore, Roma, 2018.